di ma.ca.

gatesmicrosoft.jpgCon ostentata nonchalance, Microsoft ha annunciato nei giorni scorsi un cambio di politica nel sistema di concessioni relative ai brevetti detenuti dall’azienda. Cambio motivato — si sono affrettati ad assicurare i dirigenti dell’impresa di Redmond — esclusivamente dall’assai “routinario” desiderio di venire incontro a richieste più volte avanzate dalla rispettabile clientela. Chris Sharp, director for platform strategy di Microsoft per l’area Asia-Pacifico, ha anche affermato che investire nell’open source è solo uno spreco di soldi perché ferma l’economia (rosicchiando quote di mercato ai produttori), perché di fatto regala la proprietà intellettuale non usufruendo di tutti i benefici che essa comporta, e perché la strategia di RedHat dimostra che non é gratuito.
Ma nel campo nemico – ossia nel mondo della “fonte aperta” e del Linux — la notizia s’è egualmente diffusa come una sorta di “allarme rosso”.

Microsoft è infatti detentrice di qualcosa come 4.500 brevetti, in pratica capaci di coprire ed accompagnare ogni singolo gesto di chi usa un personal computer, un server o qualunque altro aggeggio in qualche modo legato all’alta tecnologia. Ed il complesso di queste proprietà intellettuali può in effetti avere – se usato in modo concertato e malizioso contro chi cerca di affermare la logica del “libero software” – l’effetto d’una vera e propria arma di distruzione di massa.

Molti dei teorici dell’ “open source” — e molte delle imprese che, in questi ultimi tempi, proprio sull’ open source hanno puntato i propri destini — temono che l’iniziativa di Microsoft tenda a riprodurre, moltiplicandola all’infinito, la tattica legale di recente sperimentata da SCO, l’impresa dello Utah che ha denunciato IBM ed altre imprese rivendicando la proprietà intellettuale di alcuni dei codici abitualmente usati dal Linux. Microsoft ha ovviamente negato ogni “secondo fine”. Ma è un fatto che le leggi sul copyright attualmente in vigore — definite “terribilmente obsolete” da Eric Raymond, presidente della Open Source Initiative (OSI) — le consentono di giocare in modo devastante l’arma della guerriglia legale.
Ed è per questo che nei territori della “fonte aperta” già hanno cominciato — metaforicamente parlando – a scavare trincee. Oggi, solo il 25 per cento delle cause intentate per violazione dei diritti di proprietà intellettuale si conclude con la vittoria dei denuncianti. Ma, in realtà, solo le imprese di grosso calibro possono affrontare le spese legali necessarie per combattere e vincere la battaglia.
[da l’Unità]