reagan.jpgSe ne è andato uno stronzo. Ronald Reagan, attore avvizzito e presidente con disordini neurologici, all’età di 93 anni ha lasciato il pianeta ed è sceso giù, ai piani bassi. E’ un coro unanime di tutte le destre mondiali: il ricordo enfatico di quella chioma che in Doonesbury prese fuoco durante un immaginario quanto geniale spot. Uno che finanziò Bin Laden, sterminò nicaraguensi, progettò contro l’isolotto di Grenada il primo intervento militare Usa all’estero dopo i fasti del Vietnam, ricoprì d’oro Saddam Hussein, ricoprì d’oro Noriega, ricoprì d’oro la lobby petrolifera dei Bush & co., organizzò un rapimento di americani per fare cadere l’antagonista elettorale Jimmy Carter, fece della Colombia una riserva stupefacente per il suo Paese, si inventò una bufala detta ‘Scudo Stellare’ a cui destinò comunque fondi che avrebbero sfamato il Terzo Mondo, distrusse il sindacato americano e lasciò a casa da un giorno con l’altro 12.000 operatori di volo, favorì la speculazione finanziaria contro la crescita reale, ghettizzò le minoranze di colore impoverendole allo stremo, in più si vantò di avere sconfitto il comunismo senza avere contribuito in nulla a questo risultato sbandierato ora dai neocon di tutto l’occidente. Non lo sostengo io, bensì Lawrence S. Wittner è professore di Storia alla State University di New York e autore del recente ‘Toward Nuclear Abolition: A History of the World Nuclear Disarmament Movement, 1971 to the Present’, pubblicato dalla prestigiosa Stanford University Press… [gg]

Il rafforzamento militare di Reagan ha davvero portato alla vittoria della Guerra Fredda?

di Lawrence S. Wittner

In un commento pubblicato sul New York Times del 5 gennaio, il professor Kiron Skinner ripropone un familiare ritornello del trionfalismo repubblicano, secondo cui la retorica aggressiva e la politica militarista di Ronald Reagan migliorarono i rapporti fra sovietici e americani e portarono alla fine della Guerra Fredda.
Questa favoletta può riscaldare i cuori di quelli che credono davvero nell’efficacia delle escalation militari e delle guerre, ma ha poco a che fare con la realtà.
In effetti, i rapporti fra sovietici e americani furono congelati fino all’inizio del 1985. Spaventato dallo sviluppo delle armi atomiche e dalla leggerezza con cui l’amministrazione Reagan parlava di guerra nucleare, il governo sovietico incrementò a sua volta la propria potenza militare. Il nuovo segretario del partito, Yuri Andropov, concluse che “la pace non può essere ottenuta elemosinandola dagli imperialisti. Può essere mantenuta solo facendo affidamento sulla invincibile potenza delle forze armate sovietiche.” In risposta al dispiegamento di missili americani in Europa occidentale nel dicembre 1983, il Cremlino interruppe i negoziati sul controllo degli armamenti, riprese lo spiegamento di missili nucleari SS-20 che aveva in precedenza fermato, collocò i missili nucleari SS-23 in Germania Orientale e in Cecoslovacchia e fece avvicinare i sottomarini nucleari sovietici alle coste degli Stati Uniti. Alla fine del 1984, il Cremlino incluse un aumento del 45% delle spese militari nel suo piano quinquennale.
Il discorso di Reagan del marzo 1983 sull’ “impero del male” ebbe vasta eco in Unione Sovietica, come ricorda Vladimir Slipchenko, allora membro dello Stato Maggiore sovietico. “I militari, le forze armate, lo utilizzarono – aggiunge Slipchenko – come pretesto per iniziare una preparazione molto intensa ad un nuovo stato di guerra”. Inoltre, “iniziammo a fare importanti esercitazioni di carattere strategico… Quelle furono le prime esercitazioni militari nelle quali davvero testammo le nostre capacità di mobilitazione. Non esercitammo solo le forze di terra, ma anche le armi strategiche”. Quindi, “per i militari, il periodo in cui eravamo chiamati “impero del male” fu, in effetti, molto positivo e utile, perché raggiungemmo un altissimo grado di efficienza militare… Potemmo anche sperimentare la situazione in cui una guerra convenzionale può trasformarsi in una guerra nucleare”.
I leader sovietici, terrorizzati dall’idea che l’amministrazione Reagan stesse preparando un primo attacco nucleare contro il loro paese, furono vicini a scatenare una guerra nucleare. Nel novembre 1983, durante l’esercitazione militare della NATO denominata “Able Archer”, il nervoso governo sovietico si convinse che, sotto le apparenze di un’esercitazione, si stava preparando un attacco nucleare americano contro l’Unione Sovietica. Di conseguenza, furono allertate le forze nucleari sovietiche, i comandanti passarono in rassegna le loro missioni d’attacco, le armi nucleari furono preparate all’azione. “Il mondo non fu esattamente sull’orlo dell’abisso nucleare – ricorda Oleg Gordievsky, un agente americano infiltrato nel KGB – ma durante Able Archer nel 1983 vi fu paurosamente vicino”.
Così, come ricorda Anatoly Dobrynin, a lungo ambasciatore sovietico negli Stati Uniti, “l’effetto della dura linea politica di Reagan … fu esattamente l’opposto di quello che Washington si era prefisso. Essa rafforzò coloro che, nel Politburo, nel Comitato Centrale e negli apparati di sicurezza, stavano facendo pressioni per una linea politica speculare a quella dello stesso Reagan.”
Fino agli inizi del 1985, fu Reagan che cominciò a modificare la propria linea politica. Reagan arrivò alla Casa Bianca come fanatico avversario dell’Unione Sovietica e strenuo oppositore di ogni accordo per il disarmo o per il controllo delle armi nucleari negoziato dai suoi predecessori democratici e repubblicani. Tutt’altro che sorprendentemente, Reagan e il suo entourage inizialmente invocarono un massiccio riarmo nucleare e parlarono tranquillamente di intraprendere una guerra nucleare. Ma, colpito dalle proteste anti-nucleari, ostacolato dal Congresso, disturbato da alleati non facili, e confrontato con una ostinata leadership sovietica, Reagan finì per ammorbidire la sua linea dura. La sua amministrazione iniziò dei negoziati sul controllo degli armamenti, sostenne l’opzione zero per gli euromissili, venne a compromessi sulle armi nucleari strategiche, e rispettò i limiti del mai ratificato trattato SALT II (che Reagan aveva in precedenza condannato, definendolo una forma di “acquiescenza”). A partire dall’aprile 1982, Reagan cominciò a dichiarare pubblicamente che “una guerra nucleare non potrà essere vinta e non dovrà mai essere combattuta”. Aggiunse: “A quelli che protestano contro la guerra nucleare, posso solo dire ‘Io sono con voi!'”
Da quanto sopra si deduce che Reagan fu seriamente colpito dalle mobilitazioni popolari contro il riarmo nucleare. Nell’ottobre 1983, nel contesto di una protesta di massa contro il dispiegamento degli Euromissili, Reagan disse al suo allarmato segretario di stato: ” Se la situazione diventa sempre più calda e il controllo degli armamenti rimane un problema, forse dovrei andare a trovare Andropov e proporgli l’eliminazione di tutte le armi nucleari”. Il 16 gennaio 1984 diede seguito a quest’idea. Superando le obiezioni di altri funzionari dell’amministrazione, tenne un importante discorso pubblico in favore della pace con l’Unione Sovietica e di un mondo libero dal nucleare.
Per farla breve, nel periodo fino al marzo 1985, Reagan e i dirigenti sovietici si sono spesso confrontati guardandosi dritto negli occhi, ed è stato Reagan che li ha ripetutamente abbassati.
Solo nel marzo 1985, con l’avvento di Mikhail Gorbaciov, Reagan trovò un leader sovietico pronto a realizzare un programma di pace e disarmo. Gorbaciov, naturalmente, era diverso dai suoi predecessori poiché proveniva dalle fila dei riformatori sovietici, favorevoli alla pace e alla democratizzazione. Ciò che però non é altrettanto noto é che le idee di Gorbaciov furono profondamente influenzate dal movimento internazionale per il disarmo nucleare. Come disse egli stesso, “il nuovo pensiero teneva conto delle richieste e aveva riguardo per le considerazioni della gente e della comunità scientifica, dei movimenti di fisici, scienziati ed ecologisti, e di varie organizzazioni contro la guerra”. In tal modo, Gorbaciov e il suo entourage furono pronti a rigettare il tradizionale concetto di “pace attraverso la forza” (il cosiddetto “equilibrio del terrore” – NdT) su cui i sovietici (e gli americani) basavano la propria politica estera. Negli anni seguenti, Gorbaciov e Reagan si lasciarono alle spalle gli ostacoli posti dai falchi nei rispettivi paesi, per fermare il riarmo nucleare e porre fine alla Guerrra Fredda.
Se la spiegazione opposta di questi eventi, la versione trionfalistica strombazzata dal Professor Skinner, fosse fondata, se ne dovrebbe ovviamente rintracciare qualche prova di fonte sovietica. Dopo tutto, il fondamento della versione trionfalistica é l’idea che l’Unione Sovietica si sia arresa essendosi confrontata con la “potenza” militare americana. Ma nonostante i numerosi documenti sovietici che sono stati declassificati, le molte dichiarazioni rese da ex funzionari sovietici e le memorie scritte dai vecchi leader dell’URSS, non é emersa alcuna evidenza a supporto di questa versione trionfalistica.
Inoltre, gli ex dirigenti sovietici l’hanno ripetutamente rigettata. Alla domanda se una linea dura del governo americano avesse forzato il governo sovietico ad assumere una posizione più conciliante, Aleksandr Yakovlev, uno dei più influenti consiglieri di Gorbaciov in politica estera, ha risposto: “Non ha avuto nessun ruolo. Nessuno. Glie lo posso dire in maniera assolutamente certa.”. Arbatov, un altro consigliere per la politica estera di Gorbaciov, ha definito l’idea che il potenziamento militare americano abbia contribuito a modificare la politica sovietica “un nonsenso asssoluto”. “I cambiamenti dell’Unione Sovietica – ha spiegato – non sono solo maturati ma sono anche nati al suo interno”. Dobrynin dà qualche credito al goverrno americano, ma non per quanto riguarda l’efficacia della sua potenza militare. Se Reagan “non avesse abbandonato il suo atteggiamento ostile nei confronti dell’Unione Sovietica – ricorda il diplomatico sovietico – Gorbaciov non sarebbe stato in grado di lanciare il suo programma di riforme e il suo “nuovo pensiero”, ma sarebbe stato costretto a proseguire le politiche conservatrici dei suoi predecessori.” Quando fu chiesto a Gorbaciov della versione trionfalistica adottata durante la campagna presidenziale di Bush nel 1992, egli rispoese semplicemente: “Suppongo che si tratti di cose necessarie in una campagna elettorale. Ma se si tratta di un’idea seria, sarebbe una grossa delusione.”
Dovremmo credere a delle illusioni? Per decenni, funzionari del governo americano, storici ed esperti ci hanno detto che fu la mobilitazione militare da parte dell’amministrazione Kennedy a portare ad una conclusione pacifica della crisi dei missili a Cuba. Poi, ad un tratto, alcuni importanti funzionari americani hanno rivelato che la crisi era stata superata grazie alle concessioni americane. Ora i falchi sono di nuovo al lavoro, riempiendoci di fantasie trionfalistiche circa la fine della Guerra Fredda. Non dovremmo forse essere scettici di fronte a questo modo di procedere, in particolare quando – come nel caso del professor Skinner – viene manifestamente utilizzato per giustificare l’attuale politica estera statunitense?

Documento originale: Did Reagan’s Military Build-Up Really Lead to Victory in the Cold War? – Traduzione di Matteo Missaglia

Lawrence S. Wittner è professore di Storia alla State University di New York ad Albany e autore del recente ‘Toward Nuclear Abolition: A History of the World Nuclear Disarmament Movement, 1971 to the Present’, Stanford University Press. Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su History News Network (http://hnn.us)