paco.jpgdi Paco Ignacio Taibo II
[da Linea d’ombra]

La memoria
Qualche giorno prima qualcuno mi ha detto “Nessuno si ricorda più dell’assassinio di Salvador Allende e si celebra l’anniversario l’11 settembre. La memoria è corta”;. In quei giorni mi ripetevo quella storia “settembre è il più crudele dei mesi”. Di chi era questa frase? Era settembre il più crudele dei mesi?

Le torri
Non mi sembravano particolarmente belle o interessanti o attraenti, e certo non mi sembravano simboliche. Conosco bene New York e i suoi simboli sono altri. Non per niente hanno scelto una mela e non un grattacielo come emblema. Ma quando le ho viste crollare in mezzo a una pioggia di sangue, fuoco e polvere, mi sono ricordato istantaneamente tutto ciò che mi legava a quelle Torri e ho scoperto le cose nuove con le quali mi sarei identificato. Da un lato c’era la libreria a pochi metri dalla torre, verso Battery Park, dove ero stato a firmare libri un mese e mezzo prima, e la libraia, una signora molto simpatica che adesso era morta. Dall’altro lato c’era il battaglione dei pompieri di Manhattan Sud che erano morti sotto il crollo della seconda torre e ai quali dovevo la vita, perché un paio di anni prima, mi avevano tirato fuori, nel bel mezzo della notte, dalla casa in fiamme di Barney, il regista cinematografico, dove ero ospite, e che si erano presi gioco di me perché avevo solo un calzino, mi avevano offerto una coca cola e avvolto in una coperta. Dall’altro lato c’era un mezzo centinaio di lavoratori messicani, qualche centinaia di portoricani, peruviani, colombiani, nicaraguensi che lavavano vetri, consegnavano pacchi, erano camerieri, impiegati, lavoratori gionalieri di un’impresa di decorazioni, imballatori, lavapavimenti, magazzinieri, e che erano stati assassinati. Dall’altro lato c’erano i passeggeri degli aerei bomba, e per chi prende 80 aerei l’anno, non era una storia da poco. Le prime notizie che attribuivano a un gruppo fondamentalista islamico il sequestro dei quattro aerei di linea usati come bombe, sembravano contaddittorie e destinate in seguito a dissiparsi o a farsi ancora più confuse: un terzo aereo era caduto sul Pentagono, un gruppo che deteneva esplosivi era stato arrestato sul ponte George Washington, un quarto ereo che puntava sulla Casa Bianca era stato abbattuto. Chi era stato? Immediatamente è sorto un nome, mentre gli schermi televisivi mostravano in continuazione gli aerei carichi di passeggeri che si schiantavano contro le Torri Gemelle, Osama Bin Laden.

Il figlio del dottor Frankenstein
Cucinato dalla CIA durante la guerra contro i russi in Afganistan, Bin Laden è l’ultimo mostro mediatico americano, che va a sostituire Gheddafi e Saddam Hussein, il Darth Vader dell’impero, che ha imparato la lezione holliwodiana (l’impero, non Laden) che Bambi ha bisogno dei cacciatori cattivi e l’agente Clarice Starling di Hannibal Lecter, e che non c’è eroe senza un potente malvagio. Bin Laden è un povero diavolo che avrebbe diretto una ditta di trasporti, ereditata dal padre, attraverso gli immensi deserti arabi, se non fosse stato strutturato dai poteri imperiali per costruire la internazionale fondamentalista che armata e dotata di infrastrutture belliche dall’impero americano aveva affrontato i russi in afganistan. Da questa cucina sono sorti molti dei barbari del FIS algerino e degli addestratori degli uomini bomba di Hezbollah. Come era collegato Bin Laden agli attentati? Le spiegazioni fornite dagli americani erano tutto tranne che chiare. Ciò che appariva molto chiaro era che Bin Laden era un protetto dei talebani regnanti in Afganistan. In pochissimi giorni si preparò una guerra.

Presa di parte
L’offensiva mediatica premeva perché noi, milioni di cittadini del pianeta, prendessimo parte e come sempre lo faceva con l’imbroglio: tu da che parte stai? Dalla parte di Bin Laden e dei terroristi o dalla parte di Bush e delle bombe intelligenti? Optai immediatamente per la risposta dell’amico e collega Carlos Monsivais: “Io sto dalla parte delle vittime” Durante un dibattito qualcuno mi disse che gli americani se l’erano cercata, che la loro politica di aggressione degli ultimi 50 anni aveva provocato risentimenti da tutte le parti. Che se lo meritavano. Risposi con una domanda: “E che cazzo c’entrano con la politica imperiale americana la libraia, i pompieri di Manhattan Sud e i latinoamericani che lavavano i vetri? E subito aggiunsi “Che diavolo c’entrano con i talebani le famiglie afgane che si vedono obbligate ad attraversare senz’acqua un deserto minato per fuggire ai bombardamenti? E la televisione parlava di “bombe intelligenti”, perdite di civili necessarie, e non diceva che l’Afganistan nei giochi sporchi della geopolitica era l’asse dell’oleodotto che avrebbe permesso il trasporto del petrolio del Caucaso. E l’Afganistan che era retrocesso allo stato di barbarie sociale sotto il regime Talebano, sprofondò nell’età della pietra sotto le bombe dell’impero. E chiaro, Bin Laden era come il socialismo rumeno, “realmente inesistente”, sebbene un esercito multinazionale e le forze dei servizi segreti più costosi del mondo lo stessero cercando.

Burbank
In un bar di Ciudad de Juárez sentii alle mie spalle una farse piena di ammirazione. “Guardalo, Jeronimo Grajales!” Girai la testa e vidi due contadini che guardavano la televisione. Guardai anch’io: e alla tele Bin Laden stava pronunciando uno dei suoi comunicati. Cercai di indagare e mi dissero che Jeronimo era un taquero (uno che fa tacos, ndr), che era sparito da un paio di anni e che si diceva stesse a Burbank. Poi si insospettirono e lasciarono cadere il discorso. Burbank, una piccola città nell’area di Los Angeles è la capitale mondiale del cinema pornografico, piena di piccoli studi. L’idea che i comunicati di Bin Laden si producessero lì con un taquero messicano al suo posto mi sembrò affascinante. A una conferenza durante la Fiera del libro di Los Angeles ho raccontato questo aneddoto. Il pubblico, trecento americani della classe media, intelligenti e progressisti, non ha riso. La paranoia dominava lo scenario. La credibilità del governo non esisteva, la speculazione si era impossessata del luogo. Tutto era incredibile, e quindi, tutto era credibile.