di Mario Trotta (da “Il Manifesto”)

Ristampato «L’ultimo sparo», il romanzo-confessione sulla scelta della clandestinità di Cesare Battisti.

La casa editrice DeriveApprodi ha di recente mandato in libreria una nuova edizione de L’ultimo sparo di Cesare Battisti (pp. 160, € 13), romanzo già pubblicato nel 1998. Il ricavato delle vendite servirà per contribuire alla spese legali connesse alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto l’autore.

Battisti, militante negli anni Settanta in un gruppo della sinistra rivoluzionaria e attualmente autore di noir di successo in Francia, è stato arrestato il 12 febbraio scorso a Parigi in base ad una richiesta di estradizione in Italia, già respinta nel 1991, in seguito alla condanna per quattro omicidi politici rivendicati dalla organizzazione della lotta armata dove lo scrittore aveva militato dopo la scelta della clandestinità. Dopo avergli concesso la libertà provvisoria, i giudici francesi prenderanno una decisione definitiva il prossimo 12 maggio. Duro, scarno, tagliente, L’ultimo sparo racconta, senza retorica né ideologismi, le vicende di un gruppo di militanti rivoluzionari a partire dal 1977, sul finire della stagione dei cosiddetti «anni di piombo». La voce narrante è quella di Claudio che, come recita il sottotitolo, è un “delinquente comune” nella guerriglia italiana. Tra rapine, fughe, attentati, evasioni, il gruppo si avvia, da «una stagione creativa dove si scopriva, per esempio, la liberazione del corpo, l’ironia, la trasgressione, la comunicazione libera» verso una tragica sconfitta. E se all’inizio l’obiettivo «non era di conquistare il potere ma di dissolvere quello di un Paese che non aveva ancora mai conosciuto una vera democrazia», a poco a poco tutti si ritroveranno sempre più avviluppati in una spirale di gesti disperati e situazioni senza via d’uscita, che nessuno appare in grado di governare, quasi si trattasse di seguire un destino preordinato, a cui sembra impossibile sfuggire. E, alla fine, qualcuno si pentirà, qualcun altro fuggirà, qualcuno morirà.

Il racconto, condotto in prima persona, alterna fatti e situazioni a riflessioni e considerazioni, riproducendo nel ritmo, incalzante, e nella struttura linguistica e narrativa – caratterizzata da frasi brevi e dialoghi serrati – gli stilemi tipici della narrazione hard-boiled o noir. Claudio, il protagonista, sembra possedere tratti in comune con gli eroi dei libri di Raymond Chandler oppure di Dashiell Hammett o, ancora, con i vari detective o fuorilegge dello schermo modellati sui tanti personaggi interpretati da Humphrey Bogart: duri, apparentemente cinici, disillusi, coinvolti in qualcosa di più grande di loro che si rivelerà profondamente diverso da quella che appariva all’inizio, ma che scelgono, comunque, di attraversare fino in fondo, pur sapendo che alla fine si annuncia soltanto una sconfitta bruciante.

In L’ultimo sparo, però, non c’è assolutamente traccia di romanticismo, né alcun tentativo di giustificare in qualche modo le azioni e i gesti dei protagonisti. Non c’è, inoltre, alcun giudizio morale, né assolutorio né, all’opposto, di condanna. C’è soltanto la nuda e coinvolgente esposizione di fatti, di personaggi, di pensieri del narratore che in questo modo – senza cioè ricorrere ad alcuna «sovrastruttura» interpretativa – riescono ad offrire una ricostruzione di quegli anni, delle ragioni e delle modalità per cui tanti si avvicinarono alla lotta armata. E, soprattutto, del clima che si respirava, un clima via via sempre più crepuscolare, di catastrofe incombente: «Non c’era da essere chiaroveggenti per indovinare che ormai era finita. Il Potere aveva giocato la carta dello scontro armato e l’armata Brancaleone era caduta nel tranello: ci stavano massacrando. […] Della decennale ricchezza culturale e politica di un movimento sociale, sicuramente il più ampio e irriducibile che il mondo occidentale avesse prodotto dal dopoguerra in poi, alla fine degli anni Settanta rimanevano appena qualche sacca di resistenza civile e degli sparuti fuochi di guerriglia. Lo Stato, che aveva vigliaccamente fatto ricorso alle bombe stragiste per contenere le masse in rivolta, infine vittorioso, si sentiva più che mai legittimato ad agitare lo spauracchio del terrorismo rosso contro la democrazia. Una volta rotto il vincolo di solidarietà che li legava al mondo operaio e intellettuale, le organizzazioni armate e i Comitati autonomi si dispersero nella sterilità di mille rivoli divergenti».