di As Chianese
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La giustizia è come una ragnatela: gli insetti piccoli vi restano impigliati, mentre quelli più grandi la evitano, bucandola. (Solone)

Sembra che tutto ruoti intorno ad una scoperta (sensazionale?), ad un ritrovamento, che magari neanche le stesse autorità giudiziarie si aspettavano. Insomma: una di quelle brillanti operazioni di polizia internazionale davanti alle quali bisogna dimenticare tutti i luoghi comuni, cancellare le ataviche antipatie e rimangiarsi le vecchie barzellette. Eppure in molti sapevano perfettamente quale strada imboccare per bussare alla porta di casa Battisti, a Parigi. Sapevano del suo onesto lavoro, della sua famiglia e dei sui romanzi noir. Ma c’è voluto pochissimo perché i media, forse ancor prima del potere giuridico, trasformassero la vita, passata e presente, di Cesare in un soggetto cinematografico per un thriller a basso costo: “Il Terrorista della Porta Accanto”.

Sono un critico cinematografico, è non posso fare a meno di notare quanto insensato sia questo film, di quanti “buchi” presenti questa trama.
Facciamo finta che questo soggetto esistesse davvero: vi hanno collaborato alla stesura una serie di potenti personalità coadiuvate da quella sorta di voglioso remake degli anni di piombo, o se volete di amorevole viaggio nella memoria sulla scia del “come eravamo e chi uccidevamo”, che da un po’ di tempo aleggia nel Bel Paese. La produzione poi ha fatto il resto: il cavaliere del lavoro ha inebetito una parte del quarto potere, la stampa, arrivando quasi ad ottenere prima un consenso di critica e poi di pubblico; se ne sono lette di tutti i colori, hanno studiato il personaggio direttamente dai suoi scritti anziché dalla realtà. Il set e la co – produzione francese ha destabilizzato, però, non poco il tranquillo andamento delle riprese. Infatti al “guardato a vista”, dopo un’esasperante attesa, viene incredibilmente riconosciuta una libertà provvisoria aspettando l’esito di una seconda sentenza, ed è il delirio: ad un tratto voltiamo pagina, cambiamo genere, ci troviamo davanti ad un legal thriller che pare più una puntata di “Forum”, dove il giudice di turno rimanda l’agognata sentenza per una questione di audience, di share, che un John Gisham dei tempi belli. Ma d’altronde non c’è da meravigliarsi, volendo dare una connotazione politica ai fatti, c’è da premettere che Cesare Battisti, parte lesa, assiste col massimo sconcerto, impotente come una zattera tra le onde del destino, all’impastarsi di questo incredibile pastrocchio. Perché questo è pur sempre un thriller, un genere che, come mi ha sempre detto un mio amico sceneggiatore, ha un colore, un meccanismo ed una dimensione ben precisa oltre la quale non è lecito spingersi: il colore del thriller è il nero, il thriller è un genere schematico, oseremmo dire: di destra.
Cesare Battisti è il protagonista di questo soggetto, deve , però, affrontare il regno dei morti ed uscire intatto (come se non l’avesse già fatto) per diventare finalmente eroe. Ma durante questo cammino esso si perde, non si riconosce più: si sente diverso da quell’immagine, quel patch work di infamie, cucitagli addosso dai media. Scrive lettere “piene d’amore”, ed intanto attende l’ennesimo rovesciamento di fronte con uno stoicismo che non è da tutti. Si, perché questo soggetto è anche un thriller dai taciuti risvolti drammatici, ma questa roba non interessa al pubblico pagante: loro vogliono maxiprocessi, terrorismo, omicidi e nefandezze varie in salsa rosa. Cesare Battisti invece aspetta. Aspetta la parola “Fine” sul grande schermo della giustizia internazionale. Io credo ciecamente che questo arriverà dopo il più classico degli happy end.

…“Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?”. Il guardiano si rende conto che l’uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: “Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo”. (Franz Kafka “Davanti alla Legge”)

Forse, però, lo svolgersi di tutta questa vicenda, di questo che è “il caso Battisti” è la realizzazione sbagliata di un b — movie che presenta una confezione difettosa. Mi domando cosa sarebbe successo se questo thriller si fosse girato seguendo il “dogma” della scuola norvegese di Von Trier& Co. Si sarebbe rinunciato ai truculenti effetti speciali degli opinionisti della domenica, al bianco e nero di una labile memoria, alla colonna sonora, alla marcia forcaiola che vorrebbe essere l’ultimo tema prima dell’epilogo.

Forse per far quadrare tutto in queste poche pagine di sgangherato soggetto, per garantire quell’happy end che molti agognano, bisognerebbe solo votarsi al “dogma”, fare voto di castità ed iniziare a mettere su pellicola un’onesta realtà anziché delle baracconate mediatiche.

In Italia è tardi. Ma in Francia, sono sicuro, si stanno già attrezzando.


NOTA
Quest’articolo è per Ezio e Mario Di Nardo, miei carissimi amici studenti presso il liceo “Pontano” di Napoli. Loro non conoscevano Cesare Battisti, sono stati però attirati dal tam tam dei media e mi hanno chiesto notizie, fu allora che consigliai loro di leggere “Avenida Revolucion”.