di Valerio Evangelisti

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Ricordate la scena finale di Fuga da Los Angeles di Carpenter? Jena Plisskin si accende ostentatamente una sigaretta, per dimostrare che a lui, delle convenzioni, non importa nulla. E cosa accadeva, alla fine di Independence Day? Il protagonista, dopo avere rimproverato per tutto il film il padre fumatore, si ficca in bocca un sigaro, sicuramente meno pericoloso della sventata invasione aliena.
Parte della fantascienza cinematografica interpreta dunque l’atto del fumare in chiave libertaria. E anche nella fantascienza scritta vi era chi, come Philip K. Dick, fumava come un turco e faceva fumare come turchi i suoi protagonisti.


Ciò contrasta con la paranoia puritana che, irradiata dagli Stati Uniti, investe il mondo intero e pare voler costringere i fumatori all’astinenza o alla vergogna. Questo non ha conseguenze dirette nel campo della sf, in cui i pareri sono divisi (Jack Vance non sopporta che si fumi in sua presenza; Norman Spinrad non sopporta che NON si fumi in sua presenza; Vittorio Curtoni è carta vivente ripiena di tabacco); tuttavia sollecita a usare, su un argomento controverso, l’arma del paradosso che fu tipica della fantascienza sociologica. Eccone un modesto esempio, inerente all’allarme circa il fumo quale causa di cancro ai polmoni.

Brevissima premessa seriosa

Negli USA fuma ormai una minoranza, ma il cancro ai polmoni è ai livelli di prima (o quasi: quest’anno è stata giudicata un successo una diminuzione dello 0,01 %).
A Santo Domingo, il paese dove più si fuma al mondo, l’incidenza del cancro ai polmoni è irrilevante.
I conti non sembrano tornare.
La verità è che le cause del cancro non sono state ancora scoperte.
Esistono teorie tranquillamente accettate da buona parte del mondo scientifico che sembrano contrastare con l’associazione tra cancro e fumo di sigaretta:
– Il cancro ha origine genetica (in questo caso il fumo non c’entra);
– Il cancro deriva da insufficiente ossigenazione delle cellule (qui il fumo c’entra, ma in via indiretta);
– Il cancro colpisce soggetti depressivi (forse per via di un’ossigenazione delle cellule irregolare).
Alcuni (pochi) maliziosi obiettano che il salto in avanti nei casi di cancro ai polmoni avvenne negli anni ’60, quando USA e URSS si dedicarono agli esperimenti nucleari a cielo aperto. La connessione tra cancro ai polmoni e tasso di radioattività è quasi l’unica dimostrata e spiegata in tutte le sue fasi. Data a quei tempi l’avvio della campagna americana contro il fumo (per l’appunto, una “cortina fumogena”). Gli USA si sono sempre battuti a coltello perché il General Surgeon (che dirige l’OMS) fosse americano.
Per giustificare la costanza percentuale dei casi di cancro al polmone, malgrado la diminuzione dei fumatori, l’OMS ricorre al cosiddetto “fumo passivo”. Ma:
– Fino a pochi anni fa, l’OMS escludeva la pericolosità del “fumo passivo”, che del resto è una baggianata scientifica;
– E’ ovvio che, se diminuiscono i fumatori, diminuisce anche il “fumo passivo” imposto a terzi.
Insomma, qualcosa non va.
Ciò non toglie nulla ai mali secondari attribuiti con fondatezza al fumo (difficoltà respiratorie, problemi cardiovascolari), né ai suoi benefici (quando si beve alcool, questo dilata le arterie, mentre il fumo le restringe; è accertata la maggiore reattività cerebrale del fumatore; ecc.).

Entriamo nel merito: fumo, cancro e mal di schiena

Da una puntata di “Elisir” (Rai 3) ho appreso che il fumo è una delle principali cause del mal di schiena. Veramente il medico intervistato aveva esordito dichiarando che non si conoscono le cause del mal di schiena, però il fumo sarebbe tra le poche certezze.
E chi ha il mal di schiena e non fuma? Be’, c’è sempre il fumo passivo, no?
Il fumo passivo è come il fumo delle donne. Entrambi sopperiscono alle statistiche pencolanti. I fumatori diminuiscono ma le percentuali della gente colpita da cancro al polmone restano invariate. Come mai? Semplice: gli uomini fumano di meno, ma le donne fumano di più (ah, l’infida stirpe di Eva!).
Obiezione: però le statistiche dicono che il cancro al polmone colpisce soprattutto gli uomini. Come mai?
Risposta obbligata: è a causa del fumo passivo generato dalle donne fumatrici.
Siamo a un passo dall’ipotesi di un mostruoso complotto delle donne fumatrici per intossicare gli uomini. Che sia un complotto è dimostrato dal fatto che loro non sono colpite in egual misura.
(Come mai? Perché fumano di meno. Ma allora???… Insomma, piantala, quante domande!)
In realtà, se le donne fumano è forse per vendicarsi del fatto di essere sessualmente insoddisfatte. E’ infatti accertato (lo sosteneva l’inserto di Repubblica qualche mese fa, ma ormai la cosa è universalmente ammessa) che il fumo è una delle cause principali dell’impotenza maschile. Se la fertilità è alta nei paesi in cui si fuma di più (Asia, America Latina), certo dipende dal fatto che là le donne fumano di meno. In Occidente, dove la fertilità è bassa, ciò forse si deve al fatto che le donne fumano e rendono impotenti sia gli uomini che fumano (ma loro si castrano da soli), sia quelli che non fumano, grazie all’arma perversa del fumo passivo. Questo per vendicarsi dell’impotenza di entrambe le categorie.
Come si vede è una spirale (di fumo).
Se incontrate un uomo impotente col mal di schiena, non pensate subito che sia il tipico fumatore incallito. Potrebbe essere solo una vittima delle diaboliche donne fumatrici.

Fumo e cioccolata

Adesso ci si mette anche Legambiente.
Al TG3 di lunedì 21 ottobre 2002 un suo esponente protestava perché le multinazionali del tabacco mettono nelle sigarette additivi che le rendono più gradevoli. Ne citava due: zucchero e cioccolata.
Da ciò discendono due rischi:
– Con simili additivi, le sigarette diventano più appetibili per giovani e giovanissimi, e magari persino per i bambini;
– La cioccolata dilata i condotti nasali, e di conseguenza il fumatore inala più fumo.
In effetti la denuncia è preoccupante. Molto inquieto, avanzo una proposta e mi permetto un’osservazione.
– La proposta è quella di sigarette alla merda. Il sapore sgradevole, e l’odore ancor più sgradevole, scoraggeranno giovani e giovanissimi, e anche un bel po’ di fumatori incalliti.
– L’osservazione è che, secondo la mia esperienza personale, il naso non serve al fumatore per inalare il fumo, bensì per espirarlo. Guardandomi attorno, vedo pochissimi che fumano inalando dal naso (cosa sfuggita al solerte ambientalista). Dunque, se la cioccolata allarga i condotti nasali, ne occorrerebbe piuttosto di più in mezzo al tabacco, per espellere meglio le sostanze nocive.
Il mio discorso parrebbe logico, ma qui potrebbe scattare quello del fumo passivo. In effetti, i fumatori passivi inalano dal naso. Si può obiettare che la cioccolata rimarrebbe comunque in bocca ai fumatori attivi, e che sarebbe il loro naso a dilatarsi. Mi rendo conto io stesso che l’obiezione è debole. Essa infatti non tiene in considerazione i fumatori passivi presenti nelle pasticcerie, e dovunque si consumi cioccolato. Le loro narici si allargano e dunque assorbono più fumo. Ho visto raramente piccole folle di fumatori nelle pasticcerie, ma è un evento che non può essere escluso.
Il fumo alla merda rimedierebbe a queste contraddizioni. Infatti, se coloro che fumano nelle pasticcerie esalassero puzza di merda, coprirebbero l’odore di cioccolata, e le narici di chi sta mangiando pasticcini tornerebbero a restringersi. Inoltre, il fumatore sarebbe probabilmente malvisto, ed esortato a uscire o a togliersi il maledetto viziaccio di fumare merda.
In realtà non potrebbe farlo, perché immediatamente l’odore di cioccolato presente nell’ambiente gli allargherebbe i condotti nasali e gli farebbe inalare il fumo pregresso, nonché quello degli altri fumatori di merda non convertiti.
Non gli resterebbe che ritirarsi a fumare nelle toilettes della pasticceria, che è poi lo scopo strategico che Legambiente si propone con la sua utile campagna.

Le diaboliche sigarette californiane

La Repubblica dell’11 dicembre 2002 riportava a pag. 3 un’intervista al ministro della sanità Sirchia circa il fumo e l’utilità di proibirlo. Sirchia citava, tra l’altro, un dato interessante. In California, dove i fumatori diminuiscono dell’1% ogni anno, anche i casi di cancro ai polmoni calano annualmente dell’1%.
Non so l’origine dei dati (quelli nazionali riferiti agli Stati Uniti sono completamente diversi), ma la statistica, in sé impressionante, si presta a varie considerazioni.
Anzitutto la più ovvia. Se i casi di cancro ai polmoni seguono esattamente, in California, la curva discendente dei fumatori, ciò vuole dire che il fumo è l’unica causa di tumore polmonare. Tale dato non è riscontrabile altrove, ma in California sì. Questo può significare due cose: 1) in California si fumano sigarette particolari, sconosciute, mettiamo, in Florida o nel New Mexico; 2) in California esiste una specie umana particolarmente vulnerabile a fronte del fumo da tabacco (ma stranamente resistente a tutti gli altri fattori cancerogeni).
Nessuna delle due circostanze, se accertate, permette generalizzazioni all’infuori dello Stato di origine. In particolare io mi sento abbastanza al sicuro, in quanto 1) non fumo le letali sigarette californiane; 2) non ho collegamenti genealogici di sorta con ceppi familiari della California.
Certo, se vivessi in California, prenderei il treno e andrei a fumare in uno Stato confinante sigarette prodotte in loco (forse è per questo che si parla, a proposito della California, di un tasso insolitamente alto di mobilità).
Ma qui sto interpretando troppo alla lettera il pensiero di Sirchia. In effetti, qualche riga sotto, il bravo ministro fornisce una chiave di comprensione della sua analisi (o del suo pregiudizio contro la California), chiamando in causa il “fumo passivo”. Non lo dice esplicitamente, ma è questo l’elemento che consente di chiarire molte delle contraddizioni californiane. Non tutti i fumatori di quell’infelice regione muoiono di cancro ai polmoni. Una percentuale imprecisabile delle vittime ha dovuto soccombere al fumo passivo.
Però non è che i conti tornino tanto. Se il numero dei fumatori cala, dovrebbe calare anche quello dei fumatori passivi. Se i primi diminuiscono dell’1% all’anno, avvelenano anche un numero minore di non fumatori. Non dico l’1% esatto, ma certo una percentuale rilevante. Diciamo allora (è pura ipotesi) che una diminuzione dei fumatori dell’1% annuo, di cui uno 0,8% destinato ad ammalarsi, liberi della stessa sorte lo 0,2% dei fumatori passivi. Adesso sì che il calcolo funziona (per la California).
O almeno funziona in apparenza. C’è uno 0,2% di fumatori che non si ammala affatto. E’ pari allo 0,2% di non fumatori che si ammala comunque, per via passiva. Socialmente, sono questi ultimi a rappresentare il problema: i loro equivalenti nell’altro campo lo hanno superato, benché fumino sigarette californiane in contesto californiano. Sono diventati resistenti alle aggressioni. Gli altri no: rappresentano quella specie di cittadini californiani esposta ai tumori che stavamo cercando. Senza molta speranza: se si deciderà a fumare, solo lo 0,2% di essa può confidare nella sopravvivenza. Gli altri cadranno nello 0,8% condannato a morte. Perché? Perché non hanno sviluppato la stessa resistenza al fumo dei loro fratelli dello 0,2% (di fumatori). O, per meglio dire, delle loro sorelle, visto che in tutto il mondo (California compresa), le donne sono meno soggette ai tumori ai polmoni di quanto non lo siano gli uomini.
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Si noti che fin qui sono ricorso a percentuali di comodo. Un fumatore attivo inquina una percentuale di fumatori passivi molto maggiore di quella fin qui ipotizzata. Basta un fumatore in un ristorante per avvelenare almeno venti o trenta persone. Ne consegue che, nella percentuale dell’1% in meno degli ammalati di cancro polmonare, non lo 0,2%, ma una percentuale molto maggiore – mettiamo lo 0,8% – è rappresentato da fumatori passivi. Dunque il calo delle malattie è legato essenzialmente alla diminuzione di numero di coloro che non fumano, ma subiscono il fumo altrui. Risultato: i fumatori attivi inquinano gli altri ma non se stessi. Che è quanto volevasi dimostrare.
Il non-fumo è dunque una piaga sociale, che va sradicata. A patto che si evitino con cura le sigarette della California.

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