di Mauro Mirci

camilleri.jpgbattiato.jpg“Il regno delle due Sicilie emblematizza due generi opposti di rappresentazione: una mitologica e perciò umana (quella di Battiato), l’altra finzionale e antiumana (quella del Camilleri televisivo).”
“Contro questa Sicilia, si schiera quella cartolinistica, inesistente, falsissima, radiosamente crepuscolare che gli italiani hanno subìto assistendo alla veterofiction di Montalbano.”

Ho stampato l’articolo di Giuseppe Genna, pubblicato il 9 maggio su Carmila on line, e sottolineato le parole che, in questo mio scritto, riporto in apertura, a mo’ di citazione. Amo tantissimo Battiato, e da anni leggo con piacere i romanzi di Camilleri (che non ha scritto solo storie imperniate su Salvo Montalbano), e devo confessare che sono parole che mi hanno fatto molto riflettere, forse mi hanno anche turbato un poco.

Per questo ho messo su un cd di Battiato e posato accanto a me, vicino alla tastiera del computer, il romanzo di Camilleri che amo di più – La concessione del telefono -, come se i due oggetti, l’uno esplicando i suoi effetti attraverso gli altoparlanti, l’altro mostrandomi civettuolo la copertina, potessero dare risposta ai miei dubbi.
Alla fine sono giunto a una conclusione alla Catalano: la musica è musica, la fiction è fiction. E i film di un musicista sono i film di un musicista. Aggiungerei anche: “La Sicilia è Sicilia”, se non temessi di dilungarmi troppo in simili, tautologiche, affermazioni.
Innanzitutto un appunto a Giuseppe Genna (ma piccolo piccolo, ché, in fin dei conti, non ha comunque sbagliato il centro che di pochi millimetri): se parla di Montalbano in TV, non parla del Montalbano letterario. Quello della fiction TV è un Montalbano decorativo, utile alla finzione televisiva; chiunque abbia letto i romanzi che lo vedono protagonista, sa che il Montalbano di carta è cinquantino e non si sa esattamente che aspetto abbia, mentre il Montalbano TV ha la faccia di uno Zingaretti che impersona perfettamente il poliziotto rude ma buono, poco propenso a rivelare i propri sentimenti, epperò profondo e legato a valori positivi e, per soprammercato, gaglioffo e amato dalle donne. Dicevo, un appunto piccolo piccolo, perché le fiction TV, in fin dei conti, rispecchiano pressoché integralmente i romanzi.
Fatto l’appunto, però, devo concordare con Genna. E’ vero: Montalbano (intendo la fiction-romanzo, non il personaggio) è falso, slegato dalla realtà locale, talvolta macchiettistico; tende a rappresentare una Sicilia iconografica, evocativa di sensazioni comuni e comprensibili a spettatori cresciuti a storie di mafia, e di poliziotti buoni che non rispettano le gerarchie burocratiche, e di episodi di bontà deamicisiani, e di piccoli episodi quotidiani che s’incasellano nel grande trascinarsi degli eventi, e tante altre cose ancora.
Trovo che sia una cosa naturale: la fiction (così come i bestseller) vive della propria capacità di essere compresa da ampi strati della società, senza necessità di un valore qualitativo eccelso.

Ma è fiction. Solo fiction.

Una fiction che forse ci fa sentire (noi siciliani, intendo) talvolta stupidotti, talvolta scaltri, oppure insistentemente ossequiosi, dediti a complotti, capaci di grandi slanci come di azioni terribili, o in mille altri modi. Comunque mai come persone normali, che vivono la vita di ogni giorno senza raffrontarsi in continuazione col resto del mondo oltre lo Stretto.
Camilleri infarcisce i suoi romanzi di poliziotti semianalfabeti o imbecilli e di poliziotti volponi. Non esiste la via di mezzo (che poi sarebbe il poliziotto ordinario, quello che, probabilmente incontreremmo recandoci in un qualsiasi commissariato). E poi: professori in pensione legati a valori antichi, vecchi boss mafiosi che parlano come filosofi, giovani boss mafiosi irruenti e violenti, anziane e sagge signore in carrozzina che danno consigli sulle indagini, operai umili ma onesti, immagini di miseria e di unità tra poveri, collaboratrici domestiche che ringraziano il commissario di aver arrestato i loro figli straviati (non è una citazione!).
Tutto eccessivo? Tutte immagini per palati dai gusti poco raffinati? Finzione scenica di bassa lega?
Forse. Però a me piace… Piaceva, prima di leggere l’articolo di Genna.

Ma è finzione anche l’opera di Battiato, che, per inciso, fu pure lui accusato di fare musica commerciale e di bassa lega.
Non ho visto il film diretto dal musicista, ma lo intuisco attraverso le parole di Genna.
“La Sicilia di Battiato è l’India: un’India shankariana vista con occhi sudamericani. Colombiani, per la precisione: è un’adolescenza che Garcìa Marquez iscriverebbe nella sua Macondo quella che Battiato illumina con una luce per nulla abbagliante, aprendo porte strane e metafisiche:…”
Chi vive in Sicilia – chi vive la Sicilia! – non vede ciò che lo circonda con “occhi sudamericani”, non sa nemmeno cosa voglia dire “shankariano”, e ritengo che quelli che sanno cosa sia Cent’anni di solitudine, siano in numero molto minore di quello che sanno dove trovare “Cronaca vera”.
Battiato, nella musica (come, suppongo, nel suo film) racconta spesso la sua infanzia e la sua giovinezza.

Mammanu ca passunu i jonna
Sta frevi mi ntrasi nta l’ossa
Cu ttuttu ca fora c’è a guerra
Non mori
Mi sentu stranizza d’amuri
L’amuri

E ancora

E quannu t’ancontru nta strata
Mi veni na scossa nto cori
Cu ttuttu ca fora si mori
Non mori
Stranizza d’amuri
L’amuri

Trovo bellissimi questi versi, così come questi altri, tratti dalla stessa canzone:

Nto vadduni da Scammacca
Ogni tantu i carritteri
Ci lasaunu i loru bisogni
E i muscuni c’abbulaunu supra

Jemmu a caccia di lucettuli
A litturina da Ciccumettnea
I saggi ginnici, u Nabuccu,
a scola sta finennu

Descrizioni commoventi di un’infanzia rivista sotto una luce soffusa, ambrata. Nostalgie di un poeta, capaci di evocare nostalgia in chi le ascolta.
E’ vero (cito Genna): “La Sicilia di Battiato è un’esperienza del sogno che ha attraversato lo sguardo di un’infanzia sicula e mitologica, vera, storica, una coincidenza miracolosa che capita all’artista, quando fa incrociare la storia dell’umanità con la specola di se stesso.”; ma fino a un certo punto!
La profondità del messaggio, il fatto che scaturisca dalla volontà di esprimere se stessi e non solo dalla necessità di conquistare nuove fette di mercato, la sua bellezza intrinseca, non deve indurre a pensare che sia “più vero” di quello trasmesso dai romanzi-fiction di Camilleri, che è siciliano quanto Battiato (e quanto altri cinque milioni e mezzo di persone), ma fa un mestiere diverso e, soprattutto, vuole raggiungere (per il tramite di Montalbano) fini diversi.
Prendersela, per come la vedo io, può essere forse una naturale presa di posizione di chi ama la propria terra e non desidera che venga messa in ridicolo assieme a tutti i suoi abitanti; ma è pur vero che la rappresentazione sintetica, edulcorata e romanzesca della realtà (la scimmia di cui parla Genna) non riguarda solo la Sicilia. Per anni abbiamo trangugiato film wester e avventure di Bruce Lee (due esempi a caso, ché la lista sarebbe lunga), senza chiederci come potessero sentirsi gli abitanti del Far West a essere descritti come truci sterminatori di indigeni. O gli abitanti di Hong Kong a essere immaginati come una razza di esseri litigiosi e perennemente dediti a cavarsi, con le dita, gli occhi l’un l’altro.
Mal comune, mezzo gaudio; e forse è comunque positivo che la Sicilia abbia un’immagine sua, un’identità, una dignità (magari vilipesa): altre regioni d’Italia non sono altrettanto fortunate.
Il compito di chi vende divertimento è attirare il pubblico, e il pubblico, nelle sue considerazioni, non è sempre sottile come si desidererebbe.
Piacerebbe anche a me che i siciliani non fossero immediatamente identificati con i personaggi de Il Padrino (due sequel, se non ricordo male, tutti di grande successo), o de La Piovra (tantissimi sequel!), o come i ragazzi dentro (verissimi eppure iconografici anch’essi), di Mary per sempre. Mi piacerebbe perché, ogni volta che vado più su di Napoli – e per il solo fatto che cerco di comportarmi secondo l’educazione che i miei genitori mi hanno impartito – mi sento dire che non sembro siciliano, come se quella siciliana fosse una razza particolare, una genìa che adora andare in giro armata a terrorizzare e uccidere, o anche solo a intessere importanti relazioni votate a chissà quali fini illeciti.
In questo contesto, trovo che Montalbano sia il minore dei mali, probabilmente il più innocuo dei modelli negativi. In fin dei conti si tratta di un poliziotto buono che combatte i grandi incubi del giorno d’oggi: pedofilia, traffico d’organi, politici corrotti, trafficanti di droga, caronti di extracomunitari. Anche qualche mafioso, ogni tanto.
Ecco, ora che ho messo su carta i motivi del mio turbamento, e ad esso ho dato sollievo, mi sento meglio.
Continuerò ad ascoltare Battiato e andrò a vedere il suo film. E continuerò a leggere Camilleri, a guardare le fiction in TV, divertendomi a riconoscere i posti dove sono state girate le scene – tutti posti lontanissimi da Vigata-Porto Empedocle -, magari per decidere di andarci a fare una capatina.
E’ fiction. Solo fiction.