gowan.jpg Pubblichiamo qui la seconda parte dell’intervista rilasciata a Carmilla da Peter Gowan.
Peter Gowan insegna relazioni internazionali alla Metropolitan University di Londra ed è redattore della prestigiosa rivista della sinistra britannica New Left Review. Nel suo ultimo libro, The Global Gamble – America’s Faustian Bid for World Domination (Verso 1999), ha analizzato il dispiegarsi del progetto statunitense di egemonia globale dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

3. Questa guerra ha spaccato l’Unione Europea in due: un centro “renano” (Francia, Germania e Belgio), sempre più convinto della necessità di una politica europea autonoma, e una periferia (Gran Bretagna, Europa meridionale ed Est ex-comunista) maggiormente legata alla prospettiva euro-atlantica. Come potrà questa frattura influenzare lo sviluppo dell’unificazione europea?

L’unica cosa certa è che le istituzioni euro-atlantiche (NATO, UE) rimarranno in crisi profonda per lungo tempo, mentre i riallineamenti politici progrediranno e faranno saltare i precedenti compromessi istituzionali. Una possibilità molto concreta è che la frattura politica dell’Europa occidentale giunga all’isolamento della Gran Bretagna, se e fino a quando non deciderà di rompere con l’iniziativa americana in Medio Oriente. E anche in quest’eventualità, le élites europee hanno ormai visto molto chiaramente i veri colori politici dello stato inglese: il discorso di Blair sull’Europa come “destino” della Gran Bretagna ha dimostrato di essere una menzogna. Il vero programma di Blair si è rivelato un’alleanza anglo-americana nella quale il ruolo britannico in Europa non è un destino ma una destinazione, come cavallo di Troia filo-americano ed euro-guastatore.

Allo stesso tempo, se l’alleanza franco-tedesca tiene e va avanti con prudenza secondo l’idea belga di “cooperazione avanzata” in campo politico-militare, potrebbe diventare un polo unificatore per una riorganizzazione dell’Eurolandia, recuperando alla fine anche gli Spagnoli e gli Italiani. E’ estremamente importante per tutti i principali stati europei che l’UE/Eurolandia continui ad avere un forte atteggiamento di coesione politica nella situazione attuale, e questo probabilmente richiede la via della “cooperazione avanzata”. La polarizzazione dell’UE provocata dagli anglo-americani è arrivata troppo presto, prima che l’Europa “unita e libera” fosse istituzionalmente completa. Nel frattempo, il raggruppamento franco-tedesco offrirà un programma di compromesso agli USA per coprire per un po’ la crisi istituzionale.

D’altra parte se gli USA ottengono ciò che vogliono cercheranno di irrigidire la determinazione del raggruppamento a guida britannica nell’UE e nell’Europa centro-orientale, di separare il governo tedesco (o un nuovo governo tedesco) dalla Francia e di isolare e sconfiggere Chirac. Gli USA hanno un interesse vitale nel punire la slealtà francese al centro imperiale, per il bisogno di dimostrare chi è che comanda su tutti gli altri. Se questa iniziativa dovesse trionfare – e ci sono moltissimi gruppi influenti vicini al centro del potere dello stato britannico che la appoggerebbero con forza – il risultato potrebbe essere la riduzione dell’UE a un mercato unico dominato dal grande capitale e politicamente bloccato. Ma questo farebbe rapidamente perdere legittimità politica al livello europeo, in mezzo ad una forte ascesa delle tensioni nazionaliste interstatali, e potrebbe minacciare di sfilacciare l’intero progetto europeo.

4. Sul medio termine dobbiamo aspettarci un’intensificazione delle rivalità interimperialistiche e della regionalizzazione economica e politica in Europa ed Asia, o la schiacciante forza militare USA condurrà a un riallineamento generale dietro la loro leadership?

Nella relazione transatlantica sono presenti potenti forze centripete: attraverso l’unione l’asse transatlantico può sperare di dominare il mondo e plasmare i caratteri del cambiamento economico. Queste pressioni centripete sono tuttavia al giorno d’oggi per lo più razionali / ideologiche, salvo in Gran Bretagna dove esistono potenti legami materiali con gli Stati Uniti: l’estesa simbiosi dei rispettivi capitalismi, specialmente nel campo finanziario, e i forti legami nei campi della sicurezza / dell’intelligence / militare – il Ministero della Difesa britannico è profondamente soggiogato allo stato americano, per esempio. Ma tra l’Europa continentale e gli USA linee di frattura persistono e tendono a prevalere sulle pressioni centripete: gli Stati Uniti sono raffigurati come uno stato egemonico che mira a dominare i propri alleati attraverso strutture come la NATO e si comporta in campo politico-militare come un Impero. Essi tendono inoltre a trattare le istituzioni dell’economia politica globale come proprietà manipolabili a proprio piacimento (il dollaro, il Fondo Monetario e la Banca Mondiale) o scavalcabili unilateralmente (WTO), e a comportarsi allo stesso modo verso le Nazioni Unite. D’altro canto, il concerto dei capitalismi di Eurolandia ha bisogno di una base politica sicura e di un certo livello di autorità politica coesa. Gli sforzi di utilizzare l’UE come il principale strumento per indebolire il potere sociale del movimento operaio interno, non fornendole una solida legittimazione democratica, spingono gli stati dell’Europa occidentale a cercare di dotare l’UE di autorità politica in altri modi. E l’Eurolandia ha un grosso interesse nel conservarsi come un soggetto politico coeso nell’economia politica globale e nei negoziati che le danno forma. Inoltre la fine della Guerra Fredda ha ridotto l’influenza degli Stati Uniti sulle principali potenze dell’Europa occidentale, mentre attribuiva loro nuove leve d’influenza quali le Nazioni Unite. Gli stati europei possono inoltre sostenere la propria influenza unendosi su alcune questioni alla Russia e persino all’Asia orientale. Tutto questo comporta conflitti continui, aperti come al momento o più coperti come in passato.

Con grande probabilità le rivalità interimperialistiche verranno accentuate ulteriormente dall’aggressione anglo-americana contro l’Iraq. La logica dell’attacco statunitense implica che Washington è ora costretta ad impegnarsi in un lungo e faticoso lavoro in Medio Oriente, in condizioni dove le capacità militari risultano prive di effetti politici positivi. Come abbiamo ripetutamente visto, le vittorie militari degli Stati Uniti tendono a non accrescere la propria base politica: mentre ampliano la portata materiale dell’espansionismo USA, non generano un sostegno locale allargato. Questo si è visto dopo la Guerra del Golfo, in un Medio Oriente diventato in fretta una palude strategica per gli Stati Uniti. Si è visto nei Balcani occidentali, e senza dubbio accadrà di nuovo in Asia centrale. Ciò è connesso al fatto che il capitalismo USA non è oggi in grado di produrre sentieri di sviluppo positivi per le altre società. Il programma di globalizzazione economica non offre nulla alla massa dei popoli che cadono sotto l’influenza politica statunitense.

Così la nuova iniziativa USA per l’egemonia regionale nel mondo arabo ricalcherà quasi certamente questi stessi modelli, ponendo enormi tensioni sulle risorse politiche, amministrative, militari e finanziarie statunitensi.

Il potere americano è equipaggiato per distruggere gli stati. Non è equipaggiato per controllare direttamente le popolazioni. Quel tipo di lavoro deve essere compiuto da élites di stati subalterni o da coalizioni ONU o NATO manipolate dagli Stati Uniti nei livelli alti. Se il personale militare ed amministrativo USA venisse coinvolto direttamente nel controllo capillare della popolazione irachena per un lungo lasso di tempo, ciò potrebbe rappresentare un pericolo molto grave per Washington. Perciò essere lasciati a Baghdad per anni praticamente soli, con Israele come amico più vicino, non è certo una prospettiva allettante. Non è assicurato che gli Inglesi resterebbero in corsa. Potenti pressioni sorgerebbero a Washington perché fosse abbandonata la visione di Wolfowitz, limitati i danni e raggiunto un compromesso con gli alleati europei. Se questa marcia indietro non avvenisse sotto Bush (con il licenziamento di Rumsfeld e la marginalizzazione di Cheney), potrebbe avvenire con il Presidente successivo.

D’altra parte, Washington potrebbe tentare con decisione l’escalation nei rapporti con l’Europa occidentale, intensificando la propria violenza militare in Medio Oriente, scatenando ulteriormente l’aggressione israeliana fino ad una “soluzione finale” nei Territori Occupati e forse attaccando la Siria, l’Iran ed eventualmente la Corea del Nord. Ciò potrebbe essere accompagnato dalla disponibilità a forzare una spaccatura molto profonda con i propri alleati tradizionali, e a minacciare una configurazione di alleanze completamente nuova che includa gli Inglesi e alcuni stati dell’Europa orientale, Israele etc. Tutto questo sarebbe accompagnato dalla disponibilità americana a sopportare rivolte nel mondo arabo. Per quanto assurdo possa sembrare, tale scenario è il tipo di opzione che influenti policy maker a Washington saranno pronti a considerare.

Se gli USA si indeboliscono e fanno marcia indietro, ci si può aspettare un progresso della regionalizzazione politica in Europa e Asia orientale. Se gli USA inaspriranno il confronto con i propri alleati, la formula politica in Europa occidentale potrebbe invece tendere a riequilibrare le alleanze di sicurezza, fatto che frantumerebbe gli schemi tradizionali di alleanza e condurrebbe per la prima volta alla competizione geopolitica all’interno dell’Unione Europea.

La posta in gioco per gli Stati Uniti è estremamente alta. L’amministrazione Bush sta operando scientemente per assicurare l’egemonia globale degli USA nel 21° secolo. Questa non è la prima volta che gli Stati Uniti lanciano la sfida per l’egemonia globale. L’amministrazione Roosevelt ha operato con lo stesso obiettivo nell’ultima parte della Seconda Guerra mondiale. Dovette accontentarsi del risultato più modesto del dominio sui margini capitalisti alle due estremità dell’Eurasia, a dispetto del fatto che negli anni quaranta e cinquanta la potenza militare statunitense fosse l’avanguardia di una forza di modernizzazione industriale immensamente potente. Oggi gli Stati Uniti stanno tentando di conquistare nuovamente l’egemonia globale, ma dietro al loro potere militare sta un programma gretto e in larga parte predatorio di capitalismo finanziarizzato e rentier. Che attrae, fuori dai paesi capitalistici avanzati, solo ristretti strati di élites ricche e minacciate. E tende a distruggere il tessuto sociale e a minare l’autorità statale in larga parte del Sud, come illustra oggi l’America Latina. La grande domanda è quanto saranno distruttive e perfino barbariche le forme del suo fallimento.

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