di Valerio Evangelisti

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Ricordate Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, i due prodi corrispondenti de La Repubblica che dal canale satellitare Skynews avevano tratto la notizia fasulla di un’insurrezione sciita a Bassora? Li avevamo lasciati trincerati tra le sabbie, intenti a guardare la tv, come si conviene a ogni buon corrispondente di guerra. Bene, rieccoli qua con un articolo drammatico già dal richiamo di prima pagina, La fuga dei disperati (La Repubblica, 29 marzo 2003), scritto ad Avhaz, che non è in Iraq ma in Iran. Non è precisamente il luogo in cui si svolge il conflitto, però è lì vicino. E poi c’è sempre il sospetto di un equivoco nell’acquisto del biglietto aereo: in fondo ciò che separa Iran e Iraq è una semplice consonante. L’importante è che l’articolo informi della situazione sul campo.

Nel caso nostro lo fa, con estrema efficacia. L’apertura è incalzante, e anche illuminante: “Alle sette della sera del settimo giorno di assedio, le truppe inglesi sono a cinque miglia dal centro di Bassora (NDR: stampa e tv ripetevano da giorni che la città era sotto controllo anglo-americano, del tutto o in parte; ma può darsi che a Bassora il centro sia piccolissimo e la periferia smisurata). “Da qui non possiamo dire esattamente cosa accade nei quartieri della città – dice al telefono un portavoce del comando inglese a Doha – ma possiamo confermare che ci sono stati due tentativi della popolazione civile di abbandonare la città. Durante il secondo, le milizie di Baghdad hanno sparato sulla folla.“
Perbacco, ciò è terribile. Intendo non tanto la sparatoria dei miliziani iracheni contro i loro concittadini, quanto lo scoprire che il duo Bonini & D’Avanzo raccoglie le proprie notizie per telefono. Nello specifico, telefonando a un osservatore quanto mai neutrale quale il portavoce del comando inglese.
Perché è terribile? Per il costo della bolletta telefonica che deve gravare su La Repubblica, oltre a tante spese d’albergo. Però ciò forse spiega perché il giornale abbia mandato i suoi due inviati di punta in Iran, quando, se telefonare si doveva, tanto valeva farlo da casa. Magari in Iran le tariffe del telefono sono più economiche.
Ma addentriamoci nel cuore della notizia. Non prima di avere rilevato, en passant, che è quasi identica a quella spedita da Bonini & D’Avanzo due giorni prima. Allora l’esercito iracheno avrebbe sparato con i mortai su masse di sciiti in rivolta, fino a un provvidenziale bombardamento che avrebbe posto fine allo scempio. Poi è risultato che nessuno, a Bassora, si era accorto dell’insurrezione repressa, anche se tutti avevano notato le bombe anglo-americane; ma la notizia era ugualmente suggestiva. Ora la scena si ripete. Narra al telefono il portavoce inglese, incurante degli scatti (paga Ezio Mauro):
“Da ovest, intorno alle 10 del mattino, si è allontanato un altro corteo di profughi. Era appena fuori dalle ultime case, quando è cominciato il fuoco dei mortai e delle armi automatiche. La nostra artiglieria ha reagito, ma il tentativo dei profughi di lasciare la città è fallito. Non sappiamo se ci sono stati morti e quanti. Possiamo solo dire che, nel luogo della sparatoria, sono poi giunti alcuni camion su cui i miliziani hanno trascinato chi aveva tentato la fuga”.
E’ evidente che l’esercito iracheno spara anzitutto sugli iracheni stessi, per trattenerli dal correre a migliaia, o magari a milioni, verso i liberatori. Non si era forse arresa, fin dal primo giorno di guerra, l’intera 51^ Divisione di Saddam Hussein? (NDR: no, non si era arresa per niente. Lo ammette, sullo stesso numero de La Repubblica, un altro corrispondente del giornale, Leonardo Coen).
Dobbiamo però registrare un’omissione grave, nel resoconto accurato di Bonini e D’Avanzo. Nel corso dell’edizione delle 19 del TG3 del 28 marzo, il corrispondente dal Kuweit, Giuseppe Bonavolontà (che ricordo simpaticamente impegnato, in Afghanistan, nel ritrovamento dello schedario completo di Al Quaeda, “inspiegabilmente” trascurato dagli americani; mentre in un angolo un afgano dall’aria furbesca contava i soldi), dà la stessa notizia (si sospetta di identica fonte), ma non parla di artiglieria alleata. Dice infatti che, per proteggere i civili in fuga, gli aerei anglo-americani hanno dovuto bombardare per l’ennesima volta Bassora, facendo 116 morti. Se è vero, immagino il giubilo della popolazione.
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Però Bonini e D’Avanzo non sono così rozzi, e a sostegno del loro racconto citano altre fonti. In particolare, l’ayatollah Muhamad Bakir Al Hakim, leader supremo degli sciiti di Ahvaz. Cioè della località iraniana in cui, guarda caso, risiedono Stanlio e Oll… pardon, i due inviati de La Repubblica. Secondo costui, chi spara sulla folla che cerca di lasciare Bassora sono i dissidenti iraniani del MKO (? Che siano i Muhaidjin del Popolo?), “come già quattro giorni fa (NDR: in realtà sarebbero due) quando ci fu un accenno di rivolta dei ragazzi tra i 16 e i 18 anni che chiedevano acqua”.
L’età tra i 16 e i 18 anni deve comportare in Iraq una sete particolare, non riscontrabile tra le fasce superiori e inferiori. Infatti un giornalista saudita, dunque tutt’altro che favorevole a Saddam Hussein, recatosi a Bassora (http://www.arabnews.com/Article.asp?ID=24446), racconta che là l’acqua non manca affatto, diversamente a ciò che accade a Umm Qasr (solo centro finora conquistato dagli “alleati”, e tutt’altro che domo), e nemmeno l’elettricità. Dice anche che la città vive come può la sua vita grama, non parla di rivolte e segnala come i militari regolino come vigili urbani il traffico in entrata e in uscita. Un resoconto totalmente coincidente con quello fornito dai sette giornalisti italiani arrestati mentre cercavano di entrare a Bassora e già rilasciati; nonché dal corrispondente locale di Al Jazeera. Coincidente anche, se vogliamo, con le immagini di colonne di civili che abbandonano la città – disperati, certo, ma apparentemente non in fuga da mortai puntati su di loro. Portatori, persino, di una certa dignità.
Il problema è che tutti costoro, a differenza di Bonini e D’Avanzo, non hanno fatto le telefonate giuste per conoscere quale sia la situazione, e si sono fidati dei loro occhi invece che di quelli, ben più acuti, dei fidati Scots Dragoons di Sua Maestà Britannica. Del resto un amico, lo scrittore Luigi Bernardi, mi segnala una precoce applicazione del metodo Bonini & D’Avanzo, da lui raccontata in un articolo apparso sul quotidiano bolognese Il Domani col titolo Il piacere di una passeggiata. La singolare coppia, recatasi (?) a investigare a Bologna in via Valdonica, dove fu ucciso Marco Biagi, notava che non avrebbe senso passeggiare in quella strada in cui non c’è nulla, a parte “laggiù, defilato in una traversa, il pub Golem”. Bernardi, oltre a rivendicare con poetica efficacia la possibilità di passeggiare in via Valdonica, rilevava che il pub Golem non si trova affatto in una traversa della stessa, bensì nella larga piazza San Martino, in cui la strada non sfocia. Da cui il dubbio che il duo avesse un’idea molto vaga di ciò di cui stava parlando.
Conoscendo ormai Bonini & D’Avanzo, non è impossibile che se ne stessero a Modena o a Parma, e raccogliessero notizie vuoi telefonando ai vigili di Rimini, vuoi interrogando un parroco piacentino.
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Ma su Bonini & D’Avanzo mi sono soffermato troppo. Il tormentone proseguirà con lo scrittore horror Magdi Allam, anche lui inviato (in Kuweit) de La Repubblica. Perché, dopo dosi massicce di Stanlio & Ollio, un po’di Charlot distrae e rilassa.