evangelisti1.gifdi Valerio Evangelisti
(Introduzione ad A. Baggi, Vertigini, ed. Phenix, 1998)
Preparatevi alla più orrenda di tutte le invasioni. L’aveva già delineata Barry Malzberg in un romanzo terrificante, Fase IV. Non so quanti conoscano il libro, ma molti di più ricorderanno il film omonimo di Saul Bass, altrettanto spaventoso. Là si trattava di formiche, cresciute in intelligenza e in organizzazione al punto di contendere agli umani la sovranità territoriale. Uno spunto da fantascienza classica e un po’ ingenua, ma arricchito da Malzberg e Bass con l’aggiunta di un dettaglio nuovo e sconvolgente. Man mano che le formiche avanzavano, spandevano una patina di gelo sul terreno conquistato, investendo con essa i rapporti tra gli uomini e modellandoli secondo la fredda e troppo razionale società degli insetti. Come in Ultracorpi: l’invasione continua di Abel Ferrara, il fine non era la distruzione, bensì l’assimilazione. Fine ottenuto con la nascita di una nuova umanità ibridata con le formiche e soggetta alle loro regole di vita. Condannata a continuare a esistere in un mondo algido e alieno, privo di sentimenti che non fossero un vago senso di mestizia.

Con un’invasione del genere si apre il viaggio negli incubi di Alessandro Baggi. Anche in questo caso gli invasori sono insetti, venuti però dallo spazio, o comunque da un mondo remoto e imprecisato. Ciò che hanno in comune con le formiche di Malzberg e Bass è l’intenzione di assimilare gli umani, subito attuata con silenziosa efficienza. Solo un gruppo di ragazzi si rende conto della mutazione, che ha colpito per primi i loro insegnanti, e si illude di poterle resistere. Ma gli inviti ad abbandonarsi alla nuova condizione ibrida sono insistenti, e la violenza non serve contro creature che non sono monadi, bensì legione. La sconfitta dei giovani ribelli, proiettati Oltre il corpo e trasformati in contorti elementi di una natura divenuta estranea, segna l’avvento di un nuovo tempo: il tempo dei prati di erba nera che odorano come capelli bagnati. Il tempo in cui Gregor Samsa si è trasformato pienamente in baco pur mantenendo un’apparenza umana. E il suo unico sentimento è una solitudine implacabile. Se la legione domina, è la monade la realtà esistenziale.
Ecco quindi il protagonista di Tre compresse che non riesce a convincere nessuno della materialità dei suoi incubi, ed è condannato a trascorrere ogni notte assistendo angosciato, dal proprio letto, alle lotte di mostruosità zampettanti, irte di chele e di antenne, che scivolano fuori dai muri. Ecco la coppia che si stabilisce in un Bilocale, ottenuto a prezzi stracciati a condizione di ospitare, in una stanza blindata, una creatura ignota e paurosa, che si manifesta solo con rumori soffocati. L’alienazione più radicale è ormai padrona del mondo, tanto familiare da essere scambiata per normalità.
Che la quotidianità sia prigioniera di modi di vita abnormi è segnalato dalle domande che i protagonisti non si pongono, anche quando cercano di reagire alle leggi oscure che li sovrastano. Così il grigio individuo che abita l’appartamento più grande di un ballardiano condominio tutto si chiede, quando iniziano I lavori che lo condurranno prima all’isolamento e poi a una sorte impensabile, salvo il fine dei lavori stessi. Fini non ne esistono più, in una comunità che ha smesso di essere tale. E se i protagonisti dei romanzi di Kafka, cui Baggi esplicitamente si richiama, cercavano nei limiti del possibile di stare al gioco, di conformarsi a regole ignote, di mercanteggiare la propria sorte, sbagliando sempre qualcosa, per le spente creature del mondo dell’alienazione totale non esiste nemmeno questa facoltà. Perduto il rapporto con i propri simili, non possono fare altro che vivere attimo per attimo la loro tragedia, non avendo altra dimensione temporale che un presente solitario uniformemente ostile.
Anche quando si muovono in gruppi, come i soldati accasermati in un fortilizio da deserto dei Tartari, destinati a mutarsi uno dopo l’altro in Anatre, la nozione di comunità, come assieme di vite e di intelligenze, è fuori della loro portata. Nella società conformata all’impero degli insetti, l’unica comunità possibile è quella meccanica tra chi compie gesti per conto di volontà inconoscibili e remote, e si adegua alle mutazioni di cui è succube fino alla mutazione finale. La fine della parabola di vita non è infatti la morte, ma, come avveniva in molti racconti di Lovecraft, l’ingresso in una condizione ancora più alienata, in cui tutti i parametri della conoscenza umana saranno presumibilmente alterati e sconvolti. Come forse era successo, già un paio di secoli prima dell’avvento degli insetti, all’uomo-balena che barcollava in un vascello Senza rotta, mentre il comandante inglese rimasto solo con lui a bordo si interrogava sul suo grado di lucidità. “Credo che sappia che sto morendo”. Certo che lo sapeva. Ma negli uomini mutati la conoscenza non si accoppia ad alcuna risonanza emotiva. Se in epoca di velieri era realtà sporadica, nel tempo dell’erba nera diventa la norma.
Meglio allora immergersi Nell’erba, come gli scolaretti che sotto il solleone, in un contesto che sta tra Picnic ad Hanging Rock e Grano rosso sangue, camminano smarriti e muti tra campi percorsi da un nemico invisibile. Noi sappiamo chi è il nemico: la sua scia di gelo ricopre ormai la terra. Ai bambini – gli ultimi? – non resta che il silenzio, e la passiva accettazione di una decimazione progressiva. Ormai dovrebbe essere chiaro, a loro come a noi, che quando scenderà la notte li aspetterà non la morte, ma un’altra vita capace di far rimpiangere la morte.
Per fortuna, in tanto freddo, un’intelligenza umana rimane viva. Quella di Alessandro Baggi, profeta dell’orrore assoluto e, come tale, lucido profeta dei tempi che potrebbero attenderci. L’unico ad avere capito che pessimismo e ottimismo sono nozioni futili, e che volontà e ragione stanno scomparendo assieme.