di Valerio Evangelisti, Wu Ming, Alberto Prunetti, Girolamo De Michele

(segue la risposta, che giudichiamo onesta e sincera, di Carlo Lucarelli)

DoppioLucarelli

Caro Carlo,

una doverosa premessa: questa non è una “disputa tra intellettuali”, ma una storia dove lavoratori sono stati licenziati per un giorno di sciopero e poi denunciati, pestati e ripestati, gassati e calunniati dai media. Non sono in ballo le nostre reputazioni: sono in ballo le loro esistenze.

Chiarito questo: tu lo conosci quel «Carlo Lucarelli» che ha rilasciato dichiarazioni sui giornali di Bologna a proposito della vertenza che oppone i lavoratori della logistica alla Granarolo e della manifestazione di sabato scorso a Bologna? Quello che parla di «rabbia fine a se stessa che si traduce in minacce, violenze, liste di proscrizione»?

Te lo chiediamo, ricordando le molte occasioni di incontro e collaborazione che abbiamo avuto con te, perché i quotidiani sembrano voler contrapporre, con una furbesca titolazione, due generi di scrittori: quelli “buoni” e quelli “politicamente scorretti” che legittimerebbero la violenza. Una distinzione inaccettabile.

La «violenza»: ma quale violenza? Non c’è stato alcun atto di violenza da parte dei lavoratori in lotta, in massima parte migranti. C’è stato quell’uso della forza che è proprio di ogni sciopero e si esprime nei picchetti, nei blocchi, nell’intenzione di danneggiare gli interessi economici della controparte.

Al contrario, la violenza fisica delle manganellate e degli spray urticanti, gli arresti ingiustificati dei delegati sindacali (in violazione delle norme), i licenziamenti, il mancato reintegro dei lavoratori in spregio agli accordi sottoscritti (ed anche, a Milano, il pestaggio in stile mafioso del sindacalista del Si Cobas Fabio Zerbini) sono forme di violenza padronale. Una violenza fisica, reale, su cui avremmo voluto sentire da quel «Carlo Lucarelli» qualcosa di più che il semplice «sto dalla parte dei lavoratori». Perché se poi il dichiarante «non entra nel merito», ma proprio nel merito ci sono la violenza e la negazione dei diritti, allora le parole non corrispondono alle cose, e questo tu e noi, come scrittori, giornalisti e lavoratori nella cultura, lo sappiamo bene.

In secondo luogo, nella dichiarazione di quello strano, non molto credibile «Carlo Lucarelli» si mescolano cose diverse in modo improprio: le «liste di proscrizione» di cui si parla sono in realtà una protesta avvenuta non alla Granarolo ma all’università. Una protesta a nostro avviso legittima, contro abusi e illegalità che avvengono ad opera di quelli che un tempo si sarebbero chiamati «baroni universitari», e che è giusto vengano denunciate da chi le subisce, se chi di dovere non se ne accorge, o non interviene. In ogni caso, è una battaglia combattuta con le armi della critica, come in democrazia dovrebbe essere pacifico.

Ma cosa c’entra questa vicenda universitaria con quella delle vertenze nella logistica? Nulla. Però l’accostamento tra le due cose, accompagnato dal nome di uno dei collettivi impegnati nello sciopero della logistica, crea l’impressione che esista un’organizzazione violenta che sovrintende a questo e quello. Abbiamo da tempo constatato che su alcuni giornali ogni volta che c’è un evento “politicamente scorretto” si corre a fare il nome di un centro sociale o un collettivo, per suggerire al lettore che non di movimenti sociali, ma di «cattivi maestri” (o “cattivi allievi”) si tratta. Lo stesso metodo poliziesco che troviamo nell’interrogazione parlamentare presentata da 10 senatori del PD e di Forza Italia, nella quale si nominano centri sociali e sindacati, esortando il Ministro degli Interni a visionare le pagine web dei loro siti. Questa sì ci sembra una lista di proscrizione.

I dipendenti comunali che hanno donato 300 buoni pasto ai lavoratori in sciopero, i lavoratori degli asili nido che hanno annunciato il boicottaggio dei prodotti Granarolo per non rendere i bambini «complici dello sfruttamento», o i partecipanti alla manifestazione di solidarietà che scendevano in piazza sabato scorso, contribuiscono forse a costituire «un clima preoccupante»? Forse preoccupano chi continua a raccontarci che i conflitti sociali, le lotte e i diritti dei lavoratori sono un retaggio del Novecento, epperò vuole il latte fresco in frigorifero ogni mattina, che è anch’esso un retaggio del Novecento.

A noi preoccupa invece il fatto che in questa vertenza – e non solo in questa – si stia perdendo il senso di parole come «padrone», «crumiro», «proletario», «diritti», «sindacato». Ci preoccupa che Granarolo e Legacoop possano comportarsi da padroni, e pretendere di essere considerate cooperative di sinistra, e avere la solidarietà congiunta dei senatori e delle senatrici PD e FI dell’Emilia-Romagna. E ci preoccupa, anche, l’uso della violenza contro i lavoratori in lotta – ma questa, tu ci insegni, è un’altra storia, o no?

 

Valerio Evangelisti

Wu Ming

Alberto Prunetti

Girolamo De Michele

Bologna, 3 febbraio 2014

La risposta di Carlo Lucarelli (ovvero, aggiungiamo noi, le manipolazioni di certa stampa)

Allora eccomi qua. Intanto vi ringrazio di questa lettera aperta che mi permette di chiarire il mio pensiero. Lo farò il più brevemente possibile, perché come dite giustamente qui non è in gioco la nostra reputazione ma le esistenze dei lavoratori.

Allora: la mia dichiarazione su rabbia, violenza e riscaldamento dei toni non si riferiva allo sciopero dei facchini in modo così diretto come è sembrato e come anche voi mi rinfacciate. Sollecitato da più parti perché mi esprimessi su quello che stava succedendo alla Granarolo ho rifiutato di farlo perché non ero abbastanza informato sulla vicenda. Ho accettato di esprimermi soltanto su uno stato generale di rabbia e di potenziale violenza a livello nazionale (di cui mi sento per tanti motivi competente), nella cui deriva temevo potesse finire anche lo sciopero in questione come tante altre battaglie più che legittime o necessarie. Il mio essere dalla parte dei lavoratori in quel contesto significava che sono contro i licenziamenti a prescindere: non si licenziano i lavoratori che hanno bisogno o si ricollocano con giusta soddisfazione.

Attenzione, non sto cercando giustificazioni: ho sbagliato. Una dichiarazione fatta in un determinato contesto, per quanto generica o indiretta, finisce sempre per riguardare anche quello e basta poco per trovarsi arruolato da una parte piuttosto che da un’altra. Per esempio: non mi sono mai espresso contro i blocchi alla Granarolo (sui blocchi in generale penso se fatti in un certo modo siano comunque uno strumento di lotta più che legittimo e necessario) e non intendevo neppure riferirmi a voi (posso essere di diverso parere, “prendere le distanze” è un’altra cosa: non accetto di far parte di una lista di “buoni” contro “cattivi” politicamente scorretti). E non mi sono neppure espresso riguardo alla manifestazione di sabato, la mia dichiarazione era precedente anche se è uscita quel giorno, e non ci ha niente a che fare.

Ripeto, però: non voglio giustificarmi. Ho sbagliato e me ne scuso. Colpa mia, probabilmente come scrittore e comunicatore non sono così bravo come a volte penso. Non esprimerò più nessun parere, neppure generico o indiretto, su nessuna vicenda della quale non sia a conoscenza secondo il metodo che ho sempre applicato: accettare quello che leggo su giornali, blog e newsletter –di una parte o dell’altra- soltanto come spunto di riflessione e poi andare a vedere personalmente. Lo farò anche in questo caso appena sarò di nuovo in grado di muovermi liberamente dopo un incidente che mi tiene confinato in casa da un paio di mesi.

Rivendico, naturalmente, il diritto di non essere d’accordo su tante cose. Per esempio non condivido l’analisi della storia –e in parte anche del presente- del movimento cooperativo fatto su queste pagine, mi lascia perplesso la citazione dello Squalo e continuano a non piacermi le liste di proscrizione in genere. Continuo a pensare che certi toni (e di nuovo, qui non mi riferisco alla vicenda in particolare e neppure a voi) non servano e anzi facciano il gioco di un potere oggi così subdolo e “ambientale” da dover essere combattuto in un altro modo che non frontalmente.

Ma queste sono opinioni che possono essere oggetto di dibattito, come anche le mie precisazioni, ma che in fondo non hanno grande importanza.

Lo avete scritto e lo ripeto: in questo caso non sono in gioco le nostre reputazioni ma il futuro dei lavoratori.

Carlo Lucarelli

4 febbraio 2004