di Giorgio Bona

Percorrendo la Val Maira, splendida valle alpina che prende il nome dal torrente che la attraversa, troviamo paesaggi incontaminati e bellissimi. Dalla pianura, salendo poco a poco, è dapprima stretta e verdeggiante, poi cambia totalmente, con magiche visuali e molte strade secondarie che collegano diverse vallate.

Qui il vento fa il suo giro perché soffiando da nord trova improvvisamente una strettoia e ritorna da dove è venuto.

In realtà non è così. Potrebbe essere una delle tante leggende occitane, soprattutto quando troviamo davanti il monte Chersogno che imperioso domina, con la sua riconoscibile cima posta a oltre 3000 metri, tutta la valle.

C’è davvero la grandissima tradizione occitana osservando la parete est che guarda la conca di San Michele, costituita da roccia quarzitica, mentre la cupola sommitale è formata da calcescisti, che dall’altro lato danno origine a pendii detritici.

Proseguiamo. Salendo vorticosamente per questi tornanti, dove due macchine che viaggiano in senso contrario, incontrandosi, sono in difficoltà a procedere in entrambe i sensi di marcia dove, se la nostra direzione accosta i tanti strapiombi che troviamo accanto, un senso di vertigine entra sottopelle e fa tremare i polsi.

Manca soltanto una Masca a fare compagnia e a indicare la strada, tanto per stare in tema con la tradizione occitana.

Per chi non lo sapesse le Masche sono figure di rilievo nel folclore e nella tradizione popolare piemontese, in particolare occitana. Sono donne apparentemente normali dotate di facoltà soprannaturali, tramandate da madre in figlia o da nonna e nipote. Il loro grande potere è l’immortalità, ma non l’eterna giovinezza. Sono vulnerabili e quando decidono di morire devono passare il testimone a un’altra creatura vivente che di solito è una giovane della famiglia.

Eccoci a Ostana. In occitano Oustana, piccolissimo comune di circa novanta abitanti, inserito in uno dei borghi più belli d’Italia.

È qui che Philippe decide di dare una svolta alla sua vita. Una comparsa che assume particolare significato per la rinascita di un villaggio di montagna che si sta spopolando.

Philippe, di origine fiamminga, è un ex professore, protagonista del film “Il vento fa il suo giro” con la regia di Giorgio Diritti e la sceneggiatura di Fredo Valla.

Il vento fa il suo giro. Il titolo riprende un vecchio proverbio occitano: tutto ritorna.

Philippe giunge per caso in questi luoghi dalla Francia. Risiedeva in un paesino dei Pirenei dove faceva il pastore. Da lì la fuga a causa dell’installazione di un gasdotto che minacciava un disastro ecologico di grandi dimensioni. Il governo francese aveva dato via libera alla costruzione, in una zona sismica e terribilmente a rischio.

Il suo arrivo, con la sua giovane moglie e tre figli, le sue capre e la sua piccola e modesta attività artigianale di pastore formaggiaio, mostra la vera realtà di quei posti che sembra che il diavolo abbia cagato scappando.

Un villaggio spopolato dall’emigrazione e con l’arrivo dell’ex professore sembra riacquistare vitalità. Ma il limite del genere umano si manifesta anche davanti ai progetti più nobili, è da ostacolo ai grandi sogni. Senza contatti, scambio di valori, accoglienza non si può andare da nessuna parte.

Attraverso la bellezza incontaminata di questo paesaggio non si sventolano facili proclami ecologici come il ritorno alla natura che è come il ritorno alla vita, che diventa un modello di vita,

Philippe e la sua famiglia sono realmente dipinti con la chiusura mentale della gente di montagna, diffidente e subito ostile al primo messaggio negativo che arriva da chi non è radicato come loro.

Il nuovo arrivato è visto dagli autoctoni come uno straniero anche se lui continua l’attività degli avi di queste valli quando si dedicavano interamente alla pastorizia. A fatica e a caro prezzo i paesani hanno concesso di abitare in una casa semidiroccata, di utilizzare alcuni pascoli. Ma l’intruso viene tenuto sotto controllo dai sospettosi abitanti.

Un film che parla di valori forti: la vecchiaia, la speranza, la perdita di affezione nei confronti di alcuni luoghi. Parlato in tre lingue come tradizione: italiano, francese e occitano rispecchia alla lettera la realtà di quei luoghi.

L’abilità sta nell’affrontare con grandezza poetica la complessità di quel momento storico. Ci si chiede se questo paese è pronto ad accettare persone con una cultura diversa. Ci vuole coraggio anche per affermarlo dentro un film che dà segnali forti e lo fa affrontando la bellezza e la naturalezza di un paesaggio da sogno.

C’è un’immagine triste e purtroppo vera del lato più oscuro del vivere, quello della diffidenza e del sospetto, quell’immagine che porta all’autodistruzione dell’umanità.

Philippe è alla ricerca di un posto dove sistemarsi e lo trova in questo paese sulle Alpi, un luogo dove continuare a sognare, dove traslocare e riavviare la sua attività.

Un luogo isolato, ripiegato su se stesso, fa emergere con intelligenza e mostra una chiara visione dell’esuberanza di questi abitanti per tutto ciò che è novità, salvo poi rifiutarlo esattamente un minuto dopo, mettendoci davanti agli occhi un aspro realismo.

Ecco l’amministrazione comunale che si adopera per trovare ai nuovi venuti una casa in affitto, offre una grande disponibilità e poi si chiude a riccio davanti alle richieste più banali.

Il problema dell’integrazione diventa un problema serio, spinoso da superare. Come direbbero i nostri vecchi, con la loro saggezza popolare, ci sono troppe teste da cambiare. Le abitudini, il tenore di vita dei nuovi arrivati non danneggia di sicuro la comunità, ma dà fastidio perché non è gradita e non piace a chi non sa aprire un po’ la mentalità che si porta dietro antichi rancori e pregiudizi mai superati.

Ecco perché è un film dentro il nostro panorama sociale: quella composta gentilezza che si trasforma in insofferenza, che scatena critiche con la bava alla bocca, che si esplicita in veri atti di boicottaggio.

L’ambiziosa sensazione, il sogno di poter vivere in un luogo che ci appartiene, di essere spettatori di una vita che qualcun altro vive al nostro posto è una delle costanti della società di oggi e sta riempiendo pagine della letteratura del nostro tempo.

I fallimenti sbiadiscono come immagini di un mondo che si sta allontanando, che si risveglia da un brutto sogno e ritorna resistente alla vita. Perché quella vita che si è sempre cercato di far uscire dal suo involucro, cercando di nascondere il grigiore che l’aveva avvolta, a cui si è arrivati a forza di star vicino ai sogni, quei sogni in cui si è impigliati e che vanificano ogni cosa. La realtà.