Sul dibattito letteratura/editoria/mercato pubblichiamo la replica di Antonio Franchini al precedente intervento di Giulio Milani.

di Antonio Franchini

Ho accettato il confronto con Giulio Milani per due ragioni. La prima è che se qualcuno mi chiede un dialogo sui temi sui quali lavoro e rifletto da svariati decenni non vedo perché dovrei sottrarmi.
Certo, se uno dei due, più che fare ragionamenti espone una serie di convinzioni tanto assolute quanto indimostrabili o indimostrate, il dialogo non è più tanto un dialogo, ma diciamo che questo rischio fa parte del gioco.

La seconda era curiosità. Avevo dato naturalmente una scorsa alle argomentazioni di Milani, ma frettolosa. Mi erano parse perlopiù farneticazioni e mi sembrava giusto approfittare dell’occasione per capire meglio e magari ricredermi.

Devo dire che più la conversazione andava avanti, più capivo, come diceva Totò, questo dove vuole arrivare, più mi mancava la voglia di continuare. E, come spesso succede in questi casi allo scoraggiamento dell’uno corrispondeva l’accanimento dell’altro e la foga di Milani è cresciuta di pari passo ai miei sorrisi rassegnati: l’interazione tra il “cinismo empatico” e l’”euforia apodittica” è difficile.

Sintetizzo il tambureggiante argomentare di Milani per come l’ho capito io: “Da qualche decennio a questa parte i grandi gruppi editoriali o fanno un editing con strumenti vecchi e spuntati forgiati da un postminimalismo di maniera o non fanno editing perché non lo sanno fare. Il risultato è che i libri sono tutti uguali, i lettori diminuiscono e i giovani non leggono. È l’effetto del “paradigma Rollo -Franchini, che ha imprigionato l’editoria italiana costringendola a vivacchiare. Invece l’editing va fatto, un editing nuovo che farà crescere il livello letterario degli scrittori, riavvicinerà anziani e giovani alla lettura e incrementerà in maniera esponenziale il numero dei bestseller. Naturalmente Giulio Milani saprebbe benissimo come fare questo editing palingenetico che salverebbe capra e cavoli, le sorti della letteratura italiana e i conti degli editori, solo che nessuno finora gli ha concesso l’occasione per farlo.”

Ora, con il passare degli anni io ho sempre dato meno peso alle riflessioni teoriche, che pure da giovane mi interessavano molto, e più alle opere creative o ai fatti nei quali le teorie si traducono. Se per esempio un critico elaborava un brillante sistema valutativo e poi sistematicamente ignorava o fraintendeva i suoi contemporanei, mi suonava un campanello d’allarme. E da allora i trattati di estetica e le dichiarazioni di poetica hanno cominciato ad appassionarmi molto meno, nel bene e nel male.

Una trentina d’anni fa, se uno mi scriveva una lettera accompagnatoria in cui si paragonava a Tolstoj o a Proust oppure annunciava la sua discesa nell’agone come l’evento che avrebbe modificato i destini della letteratura occidentale pensavo che si trattasse di un cretino e non andavo avanti. Adesso invece mi dico: vediamo, non si sa mai. In fondo, un grande poeta esaltato e un pessimo poeta esaltato spesso sostengono le stesse cose o cose simili, sono le poesie a essere diverse.

Con questo voglio dire che Giulio Milani potrebbe anche essere un buon editor, se si prescinde dalle sue teorie. E anche nelle sue teorie alcuni spunti sensati ci sarebbero, se non fossero a tal punto glassati da una spessa croppa di ideologia, propaganda, approssimazioni e falsità da risultare, almeno al mio sguardo, grottesche.
La politica, per esempio, ogni volta che la vedo evocata, come Milani fa assai spesso, assieme alla poetica come altro grande assente dall’editoria contemporanea, a me che sono, è vero, un uomo del Novecento, rammenta le ombre più sinistre del secolo a cui appartengo.

Altro che “prospettiva libertaria e dissidente”, quel che mi vedo scorrere davanti agli occhi sono i fantasmi di Andrej Zdanov e del Minculpop.

Diciamo che, leggendo con più attenzione i criteri ispiratori del “paradigma Milani”, non mi sorprende che la grande editoria non gli offra la chance che egli a gran voce invoca. Il che però è un peccato perché, costringendolo a lavorare, l’editoria non solo non si pregiudicherebbe la possibilità di risolvere, una volta per tutte, i suoi eterni problemi, ma impedirebbe a lui di infestare la rete con i suoi proclami.

Se fossi un editore visionario e ardimentoso offrirei a Milani la possibilità di esprimersi. Tuttavia, per concludere, una cosa vorrei aggiungerla: se fossi uno scrittore, oggi come in futuro, pregherei gli dèi perché non mettessero mai sul mio cammino un editor con la testa di Giulio Milani.

(Foto di Avedon)

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