di Giorgio Bona

Qui le precedenti puntate.

Dramma è un termine di cui, a volte, si fa uso improprio ed è adoperato con grande superficialità.

Il termine viene utilizzato anche nel caso di una rappresentazione teatrale, attraverso una vicenda che si fonda e si sviluppa su elementi di conflitto significativi nell’’ambito di esperienze sociali e spirituali di determinati ambienti e/o individui o di particolari momenti storici della società.

L’uso della parola dramma, invece, non è un abuso se si riscontra quello che è avvenuto a Casale Monferrato con le conseguenze provocate dalla Eternit per quasi ottantanni.

Faccio memoria di ciò che rilasciò Michele Pondrano, lavoratore della fabbrica, delegato FIOM, poi funzionario sindacale della Camera del lavoro, impegnato sul grave problema amianto, in una sua testimonianza per Afeva, l’associazione vittime.

L’impatto in azienda fu per me sconvolgente. Fin da subito percepii una situazione grave, vedendo i tanti manifesti affissi all’ingresso della fabbrica con l’elenco dei lavoratori morti. Mario, 54 anni. Antonio, 56 anni. Agostino, 59 anni. Ecc. Tutti morivano prima di andare in pensione.

Era uno stabilimento vecchio, c’era una polverosità incredibile. Nonostante l’umidità legata alle lavorazioni. Era un girone dantesco.

Si sapeva che l’amianto provocava l’asbestosi, si parlava di tumore ai polmoni, ma nel 1978 ci fu un caso che sconvolse l’intera comunità. Giannina, la moglie di Franco Vitale, la magazziniera dell’Eternit, da tutti amata e rispettata, morì all’ospedale pneumologico La Bertagnetta di Vercelli. Morì a 49 anni di mesotelioma pleurico.

Fu un pugno allo stomaco ma servì a farci prendere cognizione del problema.

Fummo una spina nel fianco per l’azienda, perché oltre a questioni salariali rivendicammo la tutela e la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Fu un salto di qualità perché portò a una politica di informazione a tutti i lavoratori…

Sule bacheche abbandonate in azienda, piene di polvere, cominciai ad affiggere comunicati con le richieste inoltrate all’azienda. Qualcuno cominciava a leggerli, a interessarsi…

Gli strascichi sono stati dolorosissimi, funesti. Si capiva chiaramente la situazione di disagio in cui versavano i dipendenti.

Il dramma era il disagio che colpiva i lavoratori dell’azienda e si allargò, con il tempo, quando si prese consapevolezza del problema dei danni provocati dalla fibra, alla comunità cittadina.

Metabolizzare.

Reagire.

È il caso allora di parlare di resilienza, un termine usato in psicologia per definire il processo attraverso il quale un soggetto colpito da un evento traumatico può mettere in atto, proprio partendo da quanto gli è accaduto, nuovi atteggiamenti e comportamenti, trasformando le difficoltà, o meglio ancora gli ostacoli, in possibili potenzialità.

A questo si lega perfettamente il concetto di trauma che viene considerato un danno subito dalla psiche a seguito di un’esperienza critica e difficile vissuta da un individuo che si trova in difficoltà per una qualsiasi causa, che può essere di natura soggettiva o oggettiva e può riguardare non soltanto un soggetto singolo, ma anche una intera collettività cui il trauma appartiene nel suo insieme.

Chiaro è il riferimento all’area geografica casalese nel caso dell’esposizione all’amianto e il conseguente diffondersi del mesotelioma.

Il dramma della malattia è legato esclusivamente al luogo di provenienza e il fenomeno colpisce e coinvolge l’intera comunità e non il singolo individuo.

Ciò che può influire e colpire una comunità in modo più o meno grave come un terremoto, una pandemia, una contaminazione, è dovuto, sia a livello psichico, anche a livello fisico, come un lutto o un abuso, all’intensità della pressione che si esercita.

Poi il medesimo trauma che coinvolge una comunità ha una reazione diversa da individuo a individuo. Le risposte personali sono specifiche e si manifestano in modo indifferente.

Stati emozionali, depressione, pensieri fissi e disturbanti, ansia e preoccupazione, incubi. Allora occorre l’elaborazione del trauma, lavorare per la sua trasformazione.

Ecco dunque il significato della resilienza. Il suo termine deriva dal latino resilio, verbo usato dagli antichi romani per indicare il tentativo di risalire sulle imbarcazioni rovesciate in alto mare. Un’operazione assai complessa, che non sempre andava a buon fine, che fa comprendere il grado di difficoltà. Ecco, risalire, andare all’origine del trauma, scoprirlo, metterlo a nudo, di fronte.

Il termine resilienza era utilizzato in metallurgia per indicare la resistenza di un metallo alle forze che gli vengono applicate e agli agenti atmosferici. Alla fine si vedeva quanto era mutata la forma dell’oggetto e quanto aveva conservato della sua forma originale.

In questo caso, come ci insegna la psicologia, resilienza è il comportamento, il nuovo atteggiamento, la condotta assunta da un individuo in reazione a un evento traumatico. Quindi non ha provenienza diretta dalla causa che ha provocato dolore, dall’episodio che lo ha generato, ma è la risposta che l’individuo colpito si dà e la reazione che si manifesta per risolverlo.

Chiara Barbasio, Fabio Ferrero e Laura Giovannelli, psicologi e docenti presso l’ateneo di Torino, hanno fatto una profonda riflessione su ciò che è accaduto a Casale Monferrato e al dramma che ha colpito una comunità, come uno tsunami che arriva improvviso e inarrestabile.

Partendo da uno scritto di Primo Levi, in Se questo è un uomo, l’autore ha rivelato al mondo intero gli orrori provocati dall’olocausto, ma anche la forza di tutti quelli che con la forza d’animo hanno cercato di resistere.

È un esempio che calza a pennello in questa situazione.

L’università di Torino, in collaborazione con l’ASL di Alessandria con sede a Casale Monferrato condusse nel 2006 una ricerca per approfondire il punto di vista psicologico sul fenomeno mesotelioma.

Si chiedeva ai soggetti affetti dalla patologia cancerogena e ai loro familiari una valutazione del loro passato e quali prospettive per il futuro.

I risultati hanno portato ad un’azione di rivendicazione da parte dei protagonisti del dramma. Un’azione collettiva legata all’esperienze drammatiche da trasformare in comportamenti attivi.

Dare un senso al dolore e il riscatto avviene in questa richiesta di giustizia. Tutto ciò ha avuto inizio con l’appoggio del sindacato, i mezzi di informazione, le istituzioni politiche che hanno prodotto un sistema informativo cercando di piegare il dramma nel miglior modo possibile. E questi incentivi hanno prodotto denunce, azioni, manifestazioni, insomma una forza di resilienza attiva dove il trauma e il dramma non restavano circoscritti soltanto ai protagonisti in una forma di ripiegamento interiore.

Una serie di azioni rivolta a chiedere giustizia e anche un risarcimento non solo per chi è passato da quella fabbrica, ma anche di una comunità che di quella fabbrica ne è stata succube sotto il profilo ambientale con gravi conseguenze per la salute.