di Alex Calvi

Calvsogn.jpgPhilip aveva sempre desiderato diventare uno scrittore.
Un’aspirazione che condivideva con tantissime altre persone, più e meno dotate di lui. Eppure aveva sempre sentito di essere in qualche modo diverso da quegli altri. Come se fosse un predestinato. Era qualcosa che si era radicato in lui talmente in profondità e da così tanto tempo, che ormai ne era fermamente convinto.
Sì, prima o poi sarebbe diventato uno scrittore. Doveva solo continuare a crederci e continuare a provarci.
Non che per Philip fosse difficile: in fondo era un sogno che coltivava da quando ne aveva memoria. Probabilmente era qualcosa che risaliva alla sua adolescenza, anche se non lo ricordava più chiaramente. Di certo non credeva di essersi svegliato una mattina con quell’idea in testa. Quelle son cose che capitano solo nei film.



No, Philip riteneva semplicemente che quella convinzione dovesse essergli entrata dentro poco a poco. E ormai era diventato un chiodo fisso.
Non riusciva più a pensare ad altro. Per fortuna il suo lavoro era talmente noioso e ripetitivo da permettergli di andarsene a spasso con la mente quanto più gli pareva e piaceva. Era lì, però, che sopraggiungevano i primi problemi.
Per quanto si sforzasse, infatti, Philip non riusciva a pensare a nulla. Quantomeno a niente che valesse la pena di essere scritto. Tutto quello che riusciva a immaginare erano situazioni estremamente banali, come l’andare a fare la spesa, la fila in banca, lavare l’auto o far da mangiare. Chi mai avrebbe voluto leggere qualcosa di simile? Non c’era il minimo pathos, il minimo cenno di avventura, di intrigo. Non c’era neanche una spruzzata di horror o di fantascienza. Mancava perfino una donna, per cui addio alle storie d’amore. Al massimo poteva passare per uno di quei romanzi profondissimi sul significato dell’esistenza, ma mancavano anche le riflessioni sul perché della vita.
Quando, una volta tanto, gli veniva in mente una trama che sembrava interessante, presto o tardi scopriva di averla semplicemente letta sulla guida tv o nella quarta di copertina di un libro. Come poteva diventare uno scrittore, un grande scrittore, se non aveva idee?
Eppure Philip sentiva che quella era la sua strada, il suo fato, il suo karma; e niente e nessuno l’avrebbe distolto da quel proposito.
Continuando a pensare e a ripensare a cosa avrebbe potuto fare per risolvere la sua situazione, gli sovvenne un ricordo. Non rammentava quando, ma una volta aveva letto di un autore divenuto famoso perché metteva per iscritto i suoi sogni o qualcosa di simile. Quell’uomo aveva una immaginazione così fervida che non si fermava neanche quando andava a dormire. A volte faceva sogni, o meglio incubi, così vividi, particolari e interessanti, che si alzava nel cuore della notte per scriverli.
Forse era quella la soluzione. Se di giorno non riusciva a trovare un’idea o una trama interessante, avrebbe fatto ricorso a ciò che gli passava per la testa di notte.
Philip si mise d’impegno in quel nuovo compito che si era prefisso. Tutte le mattine, diligentemente, avrebbe annotato i sogni e gli incubi della notte precedente. Era convinto che in men che non si dica si sarebbe trovato tra le mani un bel po’ di materiale su cui lavorare.
Per quanto Philip si sforzasse, però, nei giorni successivi non fu in grado di ricordare un solo sogno. Non che non avesse sognato, anzi, sentiva di averne fatti a bizzeffe. Sogni tremendi e meravigliosi, eccitanti e angoscianti. Era quasi stanco da quanto aveva sognato, come se avesse vissuto in prima persona tutte le vicende di cui era stato protagonista mentre dormiva. Solo che tutte quelle idee, quelle trame, quelle situazioni, erano appena al di là della sua capacità di afferrarle.
Era quasi più frustrante di quando non riusciva a farsi venire in mente niente.
Cosa avrebbe dovuto fare a quel punto?
Arrendersi? Ammettere la sconfitta?
No, Philip non era quel tipo di persona. Qualcuno, forse, l’avrebbe definito un po’ ottuso, ma quando si metteva in testa una cosa era il tipo che la portava a termine, costi quel che costi.
E poi aveva passato anni a cercare una trama per un libro senza trovarla, senza mai perdersi d’animo: ora che sapeva di essere in grado di tirar fuori qualche idea, non si sarebbe certo arreso alla prima difficoltà. Era convinto che fosse solo questione di tempo e di determinazione, presto o tardi sarebbe stato in grado di rammentare i sogni che faceva.
Tutte le mattine, prima ancora di aprire gli occhi, Philip si sforzava di ricordare. Ogni giorno si impegnava un po’ di più. E ogni giorno otteneva lo stesso risultato: niente.
I sogni rimanevano sempre una spanna più lontano di dove riuscisse ad arrivare lui. Gli sembrava quasi di riuscire a vederli, eppure non poteva afferrarli.
I giorni passarono e divennero settimane. Le settimane divennero mesi. I tentativi continuarono con sempre maggior determinazione, ottenendo sempre quello che a Philip parve lo stesso esito.

In realtà un risultato ci fu, ma Philip all’inizio non ci fece caso.
Poco a poco, però, fu costretto ad accorgersene: non aveva mai sofferto di déjà vu, ma da qualche tempo avevano iniziato a moltiplicarsi. Prima la semplice vista di un gatto che passeggiava o una nota scritta su un bloc notes. Cose che a lui sembrava di aver già visto o scritto. Poi da pochi, singoli, eventi isolati, fino a interi frammenti della giornata.
Possibile che tutto ciò avesse a che fare con i suoi tentativi di ricordare i sogni? Philip era restio a prendere in considerazione una simile eventualità, ma non poteva neanche scartarla. Era ridicolo pensare che lui potesse aver immaginato in anticipo quello che sarebbe successo il giorno dopo! D’accordo per le situazioni che si verificavano tutti i giorni, ma gli imprevisti? Come poteva prevederli? Eppure viveva anche quelli come déjà vu al pari degli altri.
Per sicurezza Philip decise di sospendere per qualche giorno i suoi tentativi di ricordare i sogni.
Non servì a nulla.
Al contrario il fenomeno divenne sempre più ampio. Ormai viveva tutta la sua giornata – da quando si svegliava a quando si metteva nuovamente a dormire – come un unico ininterrotto déjà vu: era come se avesse dato inizio a una reazione a catena che non poteva più essere fermata.
Chiunque altro si sarebbe spaventato. Avrebbe cercato aiuto. Si sarebbe fatto curare.
Non Philip.
In fondo lui era sempre stato convinto di essere diverso. Di esser destinato a qualcosa di grande. Credeva che fosse diventare uno scrittore, ma forse si era sbagliato. Il suo destino era quello: sapere le cose in anticipo. Quanti disastri avrebbe potuto sventare? Quante vite salvare? Sarebbe diventato un eroe!
Doveva solo riuscire a ricordare i suoi sogni, gli eventi, prima che si verificassero.

Così Philip si rimise all’opera, con più impegno di prima, nel cercare di ricordare.
La routine quotidiana riprese. Tutte le mattine, prima di aprire gli occhi, provava a rammentare. Ma, tutte le mattine, non vi riusciva.
Ormai la sua vita era un solo e unico déjà vu, qualcosa che lui aveva già vissuto in precedenza, incapace di sorprenderlo. Forse per questo, inizialmente, non si rese conto delle novità e dei cambiamenti attorno a lui. Piccole cose, come una singola virgola fuori posto in un romanzo, ma che ben presto crebbero e divennero sempre più grandi.
La rivelazione gli arrivò un mattino, guardando fuori dalla finestra della cucina. Osservava il suo vicino che portava a spasso il cane. Tutto come sempre. Tutto normale.
Se non fosse che, osservando l’animale alzare la gamba per fare i suoi bisogni, Philip si rese conto che qualcosa non andava.
In un primo momento ebbe quasi difficoltà a realizzare. Probabilmente aveva già visto quella stranezza, ma non ci aveva fatto caso e il suo cervello, ormai, l’aveva registrata come normale. Eppure Philip ne era quasi certo: gli alberi non crescono a testa in giù, sospesi nel vuoto.
Corse fuori ad osservare quel prodigio più da vicino. Era un evento inaspettato, totalmente al di fuori di ogni logica, e che percepiva inconsciamente come se lo avesse già vissuto, e questo lo faceva sentire vagamente ridicolo e a disagio.
Ad ogni modo si guardò attorno e a quanto pareva era l’unico ad accorgersi di quegli alberi. Anzi, di tutti gli alberi: fin dove si estendeva la sua vista, infatti, tutte le piante si comportavano alla stessa identica maniera. E per le altre persone era normale: sembrava che fosse l’unico a rendersi conto di quelle anomalie. Prese a osservare con attenzione il mondo che lo circondava, in cerca di altri segni di cambiamento. Lì trovò.
Ne trovò così tanti che si domandò come avesse fatto a non accorgersene prima.
Inoltre, giorno dopo giorno, si rese conto che si stavano moltiplicando.
Per quanto Philip avesse grandi aspirazioni, non riteneva certo di poter essere in qualche modo responsabile di quanto stava accadendo. Non credeva, però, neanche di stare impazzendo. Pensava, semplicemente, di essere in qualche modo speciale e di esser l’unico a rendersi conto di tutti quei cambiamenti.
Così la sua routine quotidiana non cambiò. Ogni mattina, prima di aprire gli occhi, cercava intensamente di ricordare i suoi sogni, di sapere in anticipo cosa gli sarebbe successo e quali mutamenti avrebbe notato in quella giornata.
Ben presto, però, i particolari fuori posto divennero così tanti e così numerosi, che non era più questione di notarli in mezzo agli altri, perché a cambiare era la realtà stessa.
Ogni giorno Philip si svegliava in un mondo nuovo. Un mondo diverso. Che di volta in volta poteva apparire alieno, spaventoso, uscito da un libro di storia o da un romanzo fantasy.
Quel senso di eccitazione, di sentirsi speciale, di vivere ogni nuova giornata come un’avventura, ben presto finì. Le incertezze che avevano dato sale alla sua vita, lo stupore di aprire gli occhi ogni volta su qualcosa di nuovo, lasciarono il posto all’angoscia. Philip cominciò a sentirsi prigioniero di qualcosa più grande di lui. Come se qualcuno giocasse con la sua esistenza, curioso di vedere cosa avrebbe fatto.
Iniziò a desiderare che tutto quanto finisse.
Adesso, ogni mattina, prima di aprire gli occhi, pregava che non ci fosse niente.
Nessuno ascoltò la sua richiesta di aiuto o, forse, più semplicemente, non vi era nessuno in ascolto.
Le giornate passarono in quella che a Philip parve una successione infinita. Tutte diverse, tutte cariche di angoscia, paura e tormento.
Ormai credeva di essere arrivato vicino al punto di rottura. Sentiva che non avrebbe retto ancora a lungo.
Poi, un giorno, avvenne.
Quella mattina, come sempre, prima di aprire gli occhi cercò di ricordare, ma si rese conto, con sgomento, di non aver sognato nulla. Era una sensazione diversa dalle altre volte: i sogni non erano lì. Aveva in testa solo il nulla.
Era una situazione talmente nuova per Philip che, invece di esserne sollevato, per un momento provò un’istintiva paura, poi, con un misto di speranza e preoccupazione, aprì gli occhi.
Nulla.
Così come vi era il nulla nella sua testa, così era fuori. Pensò solo che fosse buio, che mancasse la luce, poi tutti gli altri suoi sensi corsero in suo aiuto per segnalargli il niente. Le tenebre erano assolute e lui non era seduto, sdraiato o in piedi. In realtà non aveva neanche un corpo. Percepiva già il tatto, l’odorato, il gusto o la vista come sensazioni vecchie, ancestrali.
Era come se fosse divenuto pura coscienza.
Che razza di situazione era mai quella?
Per un bel po’ di tempo si lasciò prendere dall’angoscia e dalla paranoia. Poi, poco a poco, quando la stanchezza prese il sopravvento, si calmò e tornò in sé.
Che stranezza: non aveva più un corpo, non aveva più bisogno di mangiare o dormire, eppure riusciva ancora a stancarsi.
Pensò a lungo a tutto. Alla sua vita, alla sua situazione attuale, a cosa poteva fare.
Alla fine si convinse che, in fondo, le sue possibilità erano alquanto scarse. Ma così come non poteva migliorare le cose, allo stesso modo difficilmente sarebbe stato in grado di peggiorarle.
In fondo, che male poteva mai fare?

Pensò:
“Luce!”

E luce fu.