di Alberto Prunetti

controintesta.jpgMarco Rovelli, Il contro in testa, Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. 143, euro 12

Di Marco Rovelli avevo già apprezzato due libri che considero tra le cose migliori che ho letto negli ultimi anni nel campo della saggistica italiana, per la profondità umana della scrittura e la sensibilità politica, ovvero Lager italiani e Lavorare uccide. Il primo è un’indagine che riesce a dare la parola ai migranti costretti nei centri democratici di detenzione che punteggiano la nostra penisola; il secondo racconta, con un meccanismo narrativo simile, le storie di alcuni lavoratori vittime di un genocidio che si compie ogni giorno in un paese in cui il lavoro è descritto come un diritto costituzionale. Questa nuova pubblicazione di Rovelli segna apparentemente un cambio di registro, perché non è dedicata a una categoria di subalterni ma a un territorio. Eppure la continuità con l’opera precedente di Rovelli è forte, per la radicalità politica e per la coralità della forma enunciativa scelta. Il tema ispiratore del “Il contro in testa” è l’Apuania, la terra di montagna su cui l’autore è cresciuto. E ancora una volta le pagine di Rovelli mi hanno scaldato il cuore.

Un doppio legame lo lega a quelle montagne al confine tra Toscana e Liguria: la fuga e l’attrazione, e questo zoom prospettico gli permette di mettere a fuoco le tante storie che su quello sperone di marmo bianco continuano a fiorire nel segno della durezza della pietra, refrattaria a ogni accomodamento verso l’autorità. Storie di cavatori e di anarchici, di cui ancora ricordo quell’accento forte, col fiocco libertario al collo davanti alla libreria carrarina; storie di osterie e di partigiani, del bianco del marmo e di quello del lardo di Colonnata, delle canzoni di Pietro Gori; delle pecore nere massesi (di cui discettai una sera proprio con Marco) e di un cavallaio che dalle Apuane è arrivato in sella fino al Tibet, per riscoprire una mobilità diversa. Un libro ribelle, corale, scritto con mille mani, dietro a mille storie, a cui Rovelli offre la propria penna come cassa di risonanza. Un libro che si legge come si beveva un tempo un gottino in un’osteria di Carrara: tutto d’un fiato.

Vittorio Giacopini, Non ho bisogno di stare tranquillo, Milano, Elèuthera, 2012, pp. 173, euro 14

Un libro sorprendente, scritto con una penna fine e sofisticata, che riesce a dar ragione di pulsioni profonde e di una vita dedicata al sogno della mobilitazione operaia di massa e dello sciopero generale: la storia dell’anarchico Malatesta, che l’autore racconta con l’escamotage narrativo, riuscitissimo, di una voce narrante che coglie in terza persona la prospettiva, offuscata, quasi priva d’ossigeno, del vecchio ribelle, del Lenin d’Italia — come veniva suo malgrado chiamato durante il biennio rosso — volto al tramonto del suo percorso biografico, quando anche i suoi ideali sembravano ormai distrutti dall’avvento del regime fascista e a lui, costretto in un appartamento romano, rimaneva solo la memoria come percorribile via di fuga. Ecco allora il tentativo insurrezionale del Matese negli anni di gioventù, l’amicizia con Cafiero, la fuga in Argentina, dove fece proseliti per l’Ideale e si inventò cercatore d’oro, l’esilio a Londra e le fratture del movimento anarchico, gli anni ruggenti delle mobilitazioni per il caroviveri e il biennio rosso, la Grande Guerra e il fascismo. Con un grido che rimane in testa, durante la rivolta del Matese del 1877: “I fucili e le scuri ve li avimo dato, i cortelli li avite. Se volete facite, se no vi fottite”.

Carlos Busqued, Sotto questo sole tremendo, Roma, Atmoshere libri, 2012, pp. 141, euro 14, traduzione di Silvia Roccampo,

Un esordio strano e conturbante, con uno zoo di pulsioni umane e animali, con personaggi miserabili che accennano, in maniera profonda ma sottintesa, alla storia dell’ultima dittatura militare argentina. Un vecchio militare dell’aeronautica in pensione che gestisce un piccolo spaccio d’erba e un’attività di sequestri di persona come un pensionato potrebbe fare l’idraulico; un ragazzino che lo segue con efficienza ottusa; un mondo di strade di fango e di giovani di mezz’età disoccupati e storditi da erba cattiva e dai documentari di Animal Planet. Una storia che racconta quanto di bestiale c’è nell’uomo.

Laura Beritelli (a cura di), + Kaos, dieci anni di hacking e medi attivismo, Milano, Agenzia X, pp. 288, 14 euro

Un altro libro corale che racconta un’esperienza antagonista: il tentativo di costruire un network per sostenere con la tecnologia tanti progetti di militanza fioriti in tutta Italia. E’ la storia del collettivo autistici inventati, su cui mi appoggio io stesso ad esempio per il mio blog personale, assieme a tante altre migliaia di persone in Italia e in Europa. Un network costruito dal basso, con competenze cresciute e affinate nei seminari autorganizzati dal basso nei centri sociali e nel movimento, una storia ricostruita attraverso le interviste agli animatori del collettivo (tra cui voglio citare due amiche, reginazabo e pinke). E’ proprio Pinke che spiega al meglio la situazione dei primi tempi del collettivo: “All’inizio era un casino”. Oggi Autistici/Inventati è un efficientissimo collettivo all’avanguardia che permette a migliaia di compagni e di liste, di realtà di movimento e di centri sociali di comunicare in tutta Europa.