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Marta Baiocchi, Cento micron, Minimum fax, Roma 2011, pp. 279, € 11

Marta Baiocchi è una ricercatrice nel campo delle cellule staminali, una scientifica, ma per anni ha militato nel gruppo de iQuindici, la comunità di lettori democratica che si prende l’onore di visionare centinaia di testi inediti e di agevolare i più meritevoli nella pubblicazione. È una donna di formazione scientifica che con la letteratura e l’umanesimo sembra avere un rapporto di sano conflitto: sano perché in questo libro l’oscillazione tra le due anime genera una scrittura solida. Nessuna tesi è portata in dote, nulla è dato per scontato, la fatiscenza della ricerca nel nostro paese si fa narrativa importante, le descrizioni sono al millimetro, siamo messi di fronte alle prove documentali dello sfascio. Il lettore è portato per mano nei laboratori che cadono a pezzi affidati a baroni interessati solo a reiterare le meccaniche del potere più arrogante, quello che affoga ogni meritocrazia e che ha un’idea della competizione molto personale e bizzarra.

Eva è una biologa che lavora in una struttura pubblica, combatte una guerra di trincea con mezzi di fortuna, a volte sembra non aver speranze, ma è forte, rabbiosa, ha dubbi, la ricerca vera forse è altrove, all’estero, in biotech private, lontane da questo paese arretrato e corporativo in ogni sua espressione. Lavora nella trincea della sperimentazione sul campo: …Dentro c’è un cuore di topo, lo ha prelevato e incluso nella resina il giorno prima. Lo deve tagliare tutto, oggi pomeriggio, a fettine di dieci micron di spessore. Ne verranno diverse centinaia di fettine. Vuol dire almeno trenta vetrini, e ci vorrà una settimana a guardarli tutti al microscopio. Non è facile, il Vecchio non riesce nemmeno a farle avere un misero finanziamento per comprare un nuovo set di anticorpi. Ma sa come buttarli in convegni inutili, sa come annettere allo staff dell’istituto figure senza talento, saprà come silurarla all’uscita del bando di concorso per la cattedra universitaria.
L’uomo che convive con Eva è un intellettuale, nel libro spesso è indicato come lo Scrittore. Vivono sfasati, per lo più sono essenze, le loro vite si sfiorano, si intersecano in dialoghi di un affetto formale, Guido si ciba di parole, le sue convinzioni si alimentano da sole con altre parole che a volte sembrano astrattismo puro, non deve dimostrarle in laboratorio, scrive libri, articoli, è forte di convinzioni blindate dal fatto di non toccare le cose con mano, di tenersi in fondo lontano dalle debolezze dell’umano e dalle sue zone oscure. Quando Eva decide di aiutare una ex compagna di classe a farsi impiantare embrioni già fecondati, Guido si arrabbia, si entra nel penale, si rischia di rovinarsi la vita, di corrompere, di mettere il silenziatore alla propria coscienza, di far collassare l’etica, di cedere a compromessi. Bibi è una donna ricca, anoressica e viziatissima, la sua testardaggine si fa arroganza, deve assolutamente avere un figlio dal marito morto in un incidente stradale. Ma le vie possono essere solo illegali. In questo segmento il libro si fa dialetticamente importante, la procreazione nelle le sue vie artificiali, è uno dei punti centrali del nostro tempo. L’opinione pubblica è frastornata dalle semplificazioni urlate dai media. La parola eugenetica rimbalza in modo improprio, fa paura, il controllo dell’umano sulla natura inquieta. Fra pochi anni potremo decidere di avere un figlio alto e con gli occhi azzurri, ma potremo anche limitare al minimo la possibilità che nostra figlia contragga un tumore al seno, quel tumore al seno che ha colpito la nonna e la madre, perché sarà possibile eliminare dagli embrioni tutti i geni predisponenti.

La maternità è un diritto comunque, o ci si deve piegare ai limiti della natura non manipolata e alle leggi dell’uomo? Idealizzazione e concretezza scientifica in collisione. Eva è fuori dai concetti astratti, ha visto con i propri occhi la vita generarsi, ha visto scegliere tre spermatozoi impazziti in un recipiente, li ha visti risucchiati da una sottile punta di vetro, per poi essere iniettati nell’ovulo, tutto succedeva davvero, in quel momento, a pochi centimetri dai suoi occhi.
Questo libro è una storia di corpi che non si bastano, addizionati, mai rassegnati, piegati ai progetti di desideri febbricitanti, organismi in mutazione. Ai ricevimenti di Bibi le femmine sono androidi: I corpi svuotati della materia che gli è propria, riempiti di sostanze a cavallo tra l’organico e il minerale, chimere tra il vivo e il non-vivo, prodotti coperti da brevetto, collageni, siliconi, polimeri azzardosi… e le loro viscere: rivoltate, estratte e rinfilate nei loro corpi, le loro ovaie sfiancate da palestre e diete, ri-insufflate con ormoni di sintesi. È una storia di soldi che vorrebbero farsi onnipotenza e sono l’ultimo dei problemi, frase che rimbalza spesso e che indigna Guido. Bibi è un personaggio detestabile, capriccioso, la sterilità è una maledizione inaccettabile. Sono due donne agli antipodi, eppure Eva non si chiama fuori dal gioco proibito, le rimane a fianco per ragioni difficili da definire, è una sorellanza curiosa, nel libro i flussi di coscienza sono carichi di tensione. Eva in realtà vuole arrivare a vedere le strutture private dove le cose succedono davvero, nei modi più spregiudicati ed evoluti, lontano dalle ragnatele e dove le cose succedono davvero, nelle modalità più spregiudicate ed evolute lontano dalle ragnatele e le cancrene di istituti dove lei fa a fette fegati di topo e dove sembra un ostacolo insormontabile sostituire una caldaia rotta. Ma quando si recano in clinica a Milano per recuperare gli embrioni di Bibi questi sono spariti, il ginecologo bello che assomiglia a Kennedy è affranto, le provette contengono solo il liquido di congelamento. E a questo punto il libro si apre su una deviazione noir perfettamente credibile e calibrata che si dipana tra cliniche private, ville svizzere che si affacciano su laghi fermi e avvocati da 500 euro all’ora di parcella. Il finale riserva una sorpresa, un’accelerazione sul presente più che vera e propria fantascienza, Marta Baiocchi ci porta sulla finestra a guardare il nostro futuro prossimo che sembra alto, ma si abbassa in fretta, sono nuvole gravide di pericoli e di speranze.