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di Rachele Cinarelli

Tyrell: If we gift them the past we create a cushion or pillow for their emotions and consequently we can control them better.
Deckard: Memories. You’re talking about memories.[1]

ties.jpgIl regalo per l’anno nuovo da parte di Mark Zuckerberg per tutti gli utenti di Facebook è Timeline. Un nuovo look, una nuova interfaccia del profilo del più popolare tra i social network, che lo fa somigliare sempre più alla struttura di un blog, o di un sito personale, anche se ripetuto per n utenti. Timeline avrà il compito di rappresentare la storia della nostra vita, e nella versione italiana il termine è stato abilmente localizzato con “diario”.


Una mossa scaltra da parte dell’azienda, che porta al livello successivo la concezione alla base del sito. E’ storia nota che FB sia nato negli Stati Uniti come una sorta di annuario virtuale, un mezzo per identificare i compagni di università, vedere i loro interessi, sapere la loro situazione sentimentale. Con il passare del tempo, una volta laureati, il sito ha iniziato a funzionare da homecoming infinito e sempre a portata di mano. Poi l’uscita dai circuiti studenteschi, alla conquista del mondo. E’ noto anche che il social network è fondato sull’acquisizione di contatti, basati sulle caratteristiche comuni degli individui. Ma una volta stabilita una comunità base di “amici”, essa deve essere alimentata da fatti, esperienze comuni, per cementarla e creare il classico clima cameratesco. Il gruppo deve essere dotato di ricordi condivisi. Con una funzione in più: i ricordi possono essere ripuliti, sistemati, cancellati e spennellati con Photoshop. Per renderci più socialmente presentabili, per essere a nostro modo delle celebrità costrette a mantenere la propria immagine. Nonostante le grandi speranze del fondatore di Facebook, ex hacker, (Quello che mi interessa realmente è la missione, fare sì che il mondo sia aperto [2]) e dei suoi collaboratori ( […] i social network possono essere un mezzo potente per condividere nuove idee, dare risalto a nuovi prodotti e discutere le notizie d’attualità [3]), quello che inevitabilmente salta agli occhi è che in realtà l’aggregazione sociale avviene attraverso modalità per lo più deprimenti, ma molto produttive. Tra tutte, la più gettonata: scrivere ovvietà. “Oggi ho forato”, “finalmente è primavera”, “oggi c’è il sole”, “che giornata di merda”. A seconda dell’avvenenza o del prestigio sociale dell’utente, arriveranno consensi in maniera direttamente proporzionale. Oppure attraverso il commento di circostanza, ad esempio alla vista di una fotografia dove la tua amica, nota per avere una chioma da Rapunzel, esibisce una mohicana, scrivere “Che cosa hai fatto ai capelli?”. Ricordare i momenti salienti della serata precedente, in un moviolone inutile e senza soluzione di continuità. Come al bar, solo che almeno al bar si gioca a briscola. E poi le citazioni. Esprimere il proprio stato d’animo con una citazione, che sia in senso classico o tramite il collegamento a qualche canzone su YouTube. Come Victor Ward, il protagonista di Glamorama, ormai parliamo solo per frasi di canzoni pop e frammenti della cultura dello spettacolo, che si ripetono, si confondono, creano ansia se non colte, e soprattutto alimentano una diffusa sindrome da deficit di attenzione, gonfiando a dismisura leggende metropolitane quali Paul Is Dead e la coprofagia di Gianni Morandi. E quando per caso scappa una frase originale viene trattata come una gemma preziosa, la Divina Commedia, Stairway to Heaven. Ma ricorda, questa sarà popolare solo se tu sei già popolare.
In questo sistema tribale il silenzio equivale all’auto-estinzione sociale. Sembra impossibile accettare che un giorno, o due, o anche tre non abbiamo nulla da dire al mondo. Perché se non abbiamo nulla di ovvio da dire c’è sempre il piano B: il ritorno al passato.

Rachael: I’m not in the business. I am the business.[4]

La semplicità di Timeline è rendere visibile quello che già era latente: noi stessi esistiamo come utenti di Facebook in quanto contenitori di ricordi, esistiamo solo in funzione del nostro passato. E non che faccia schifo alla maggior parte degli iscritti, che sono ben lieti di arricchire il profilo con foto di repertorio come viene richiesto dalle maschere del sito. Siccome FB è più che altro intrattenimento (o come scrivono le esperte techno-chic di Style.it un social network da cazzeggio), proprio come l’industria pop torna perennemente all’antico . Il bottone “Condividi” inviterà a sparare nel cyberspazio elementi del tuo “diario”, dove la personalità dell’utente medio potrà finalmente straripare liberamente e cullarsi nell’auto-adulazione e nell’autobiografia.
Sarà un bene, sarà un male, sarà una cosa che daremo per scontato come un programma di scrittura elettronica? O meglio: la digitalizzazione dei ricordi in futuro sarà una open source così importante e irrinunciabile?

Note:
1. Tratto da “Blade Runner”, di Ridley Scott, 1982
2. Singel, Ryan (28/05/2010). “Epicenter: Mark Zuckerberg: I Donated to Open Source, Facebook Competitor”. Wired News (Condé Nast Publishing). Su wikipedia.org/Zuckerberg, consultato il 26/01/2012.
3.Bakshy, Eytan (17/01/2012) “Rethinking Information Diversity in Networks”, nota pubblicata su Facebook.
4.“Blade Runner”