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di Vincenzo Latronico

Giovanni Robertini, Il barbecue dei panda, Milano, Agenzia X, 2010, € 12.00, pp. 144

0.
Come in un magnifico videogioco
si moltiplicano le congiure.
Fuori c’è odore di crolli di borsa.
Nelle toilette delle donne le popstar uggiolano misericordia.
I ratti sono i primi ad abbandonare
la discoteca in fiamme.
Le autorità competenti assicurano
che la popolazione non corre alcun rischio.

H. M. Enzensberger, Tutto sotto controllo (estratti)

1.
C’è una festa, ed è una festa a cui andranno tutti. Intorno, come sempre, la routine della metropoli italiana: ronde di picchiatori che aggrediscono i malvestiti, incursioni punitive in casa di chi non esce la sera, nuove forme di socialismo basate sul culto del corpo, un piano per la gentrification coatta di un campo rom, esauriti ormai i quartierini a sei passi dal centro. Gli invitati, come sempre, sono scrittori, dj, giornalisti e modelle, ognuno col cartellino di riconoscimento, comprato o innato o impiantato chirurgicamente. L’aria è tesa, ma stemperata dal fatto che, tutti lo sanno, due rivoluzioni sono all’orizzonte: le nuove collezioni, autunno-inverno e primavera-estate. C’è una festa, ed è una festa a cui andranno tutti. Si festeggia, come sempre, la chiusura di una casa editrice.


kras01.jpg2.
Intorno a questa festa è organizzato Il barbecue dei panda, di Giovanni Robertini, uscito da poco per Agenzia X, e accompagnato da splendide illustrazioni di Ana Kras. Il libro si presenta come una serie di profili, di tutti gli invitati, contenenti biografie, schizzi, frammenti narrativi. C’è lo stagista non pagato e l’artista che ha comprato il kit con i libri Guy Debord, Gilles Deleuze, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman già sottolineati sulle frasi ad effetto; lo scrittore giovane a quarant’anni e l’intellettuale di destra che affida al correttore dell’iPhone la cancellazione della parola “utopia”; c’è l’autrice tv che progetta la sua vita come un palinsesto che da dark lady la trasforma in finiana e il ricercatore, specializzato in storia dei movimenti, ritrovatosi improvvisamente senza un oggetto di studio. Il libro, scritto dal giovane autore presente anche alla festa, è un ricordo che l’editore vuole dare ai suoi amici prima di chiudere la casa editrice e aprirvi un sushi bar. Il profilo del giovane scrittore è l’ultimo, e in esso, improvvisamente, l’autore passa alla prima persona. “Lo scrittore sono io”, scrive, “e sono incazzato. Solo al pensiero di un nuovo personaggio mi viene la nausea. Non so”, scrive poi, “se è perché mi annoiano, mi assomigliano troppo o mi urtano.”

3.
Anche questa recensione passa alla prima persona. Io non riesco, con precisione, a mettere a fuoco cosa mi abbia colpito così tanto di questo libro, ma lo ha fatto, in modo quasi doloroso. All’inizio è facile scambiare Il barbecue dei panda per una raccolta di profili facili, ironici e sarcastici, che prende amabilmente in giro il demi-monde intellettuale di Milano e dintorni, tutte le figure un po’ tristi e un po’ comuni che si incontrano, o anche solo si immaginano sbirciando qua e là: quello che è passato a destra perché paga, quello che usa l’anticipo sul libro per una giacca di Jil Sander, quello che piange un movimento morto chissà quanto tempo fa. Eppure c’è qualcosa, a un certo punto della lettura, che sfonda il sarcasmo e il gioco dei rimandi, che arriva a colpire molto più a fondo, che arriva a farti vedere che la satira, qui, è solo una copertura. E se quello che c’è sotto è coperto, è perché fa paura.

kras02.jpg4.
Ho provato qualcosa di simile leggendo La letteratura nazista in America, di Roberto Bolaño. Benché in modo molto diverso, anche quel libro è una serie di profili: le biografie di una sequela di scrittori fittizi di estrema destra, xenofobi, nazisti, vissuti in Nord o Sud America nel ventesimo secolo. Leggendolo, ci si perde nel fantastico, nel grottesco, nel borgesiano, e la storia politica soggiacente sembra quasi sparire: il “nazista” pare essere più una caratterizzazione di colore che non un termine inzuppato nel sangue, e la frequente apparizione di torturatori argentini o cileni si riduce, incredibilmente, a una presenza pittoresca ma neutrale. Alla fine, nelle ultime pagine, inizia ad apparire nello sfondo una voce che dice “io” (poi avrà anche un nome, Bolaño, ma all’inizio no), che collega agli eventi i suoi ricordi personali. Improvvisamente si disperde la nebbia, prima densissima, del “gioco letterario”, la fantasticità perde ogni rilevanza: quegli scrittori sono finti, ma le storie sono vere. Le morti, le torture, sono vere. Qualcuno c’era, davvero, e ha visto amici e compagni morire o sparire o tornare dopo assenze lunghissime, emaciati e distanti, poco inclini a parlare. Sotto la forma del gioco letterario, di questo scrive Bolaño.

5.
Anche Il barbecue dei panda, per quanto meno tragico, nasconde una storia dolorosa: la storia della sterilizzazione di una classe intellettuale. Eccoli lì: ognuno con un’identità precostituita che insegue come un traguardo irraggiungibile, ognuno perso in calcoli strategici o d’immagine che non rubano spazio alle idee, ma le sostituiscono completamente. Concetti come lotta di classe, rivoluzione, utopia sono parole d’ordine più o meno utili a seconda del proprio posizionamento tattico, del proprio look. Certo, c’è da ridere, leggendo quei profili C’è da ridere, ma poi improvvisamente lo scrittore dice “c’ero anch’io”. E ti rendi conto che, forse, c’eri anche tu, e che come loro sei stato sterilizzato, e che come loro non hai fatto niente a riguardo. Anzi, questo non è vero: sei andato a una festa.

6.
Ci sono anche degli intellettuali “positivi”, alla festa, ma sono proprio quelli che al lavoro culturale hanno rinunciato in partenza: sono il tamarro che è la versione riuscita dell’intellettuale di destra, o spacciatore che legge Pascal e teorizza vie di fuga dalla società dei consumi, il palestrato che vuole rifondare il socialismo, la modella che per leggere Spinoza senza che nessuno la veda è costretta a chiudersi in bagno e fingere di vomitare. Paiono gli unici portatori sani di cultura, quelli che, non costretti a fare leva sul proprio lavoro intellettuale per farsi strada lavorativamente, riescono a dedicarvisi in un modo, per qualche senso del termine, “puro”. kras03.jpgE proprio alla modella lettrice di Spinoza è affidata, per dir così, la morale de Il barbecue dei panda. È una morale illustrata in un racconto, che lo scrittore riesce a infilare, all’insaputa dell’editore, alla fine del manoscritto, sapendo che tanto nessuno in casa editrice lo leggerà. Il racconto si intitola, naturalmente, Il barbecue dei panda. Le parole della modella, invece, sono queste: “In quanto esseri pensanti, al mondo d’oggi siamo come i dinosauri: per anni abbiamo cercato di mettere in pratica un modello di vita sostenibile, masticando foglie, e purtroppo non ha funzionato. Ora siamo costretti a distruggere l’etica bio-eco-wellness-eccetera che abbiamo creato e, se non vogliamo estinguerci del tutto, dobbiamo tornare carnivori e predatori.”

7.
Uno dei pochi personaggi felici, realizzati e attivamente colti del libro è il tamarro consapevole. Il suo profilo si chiude con una serie di domande: “Perché quello che viene chiamato intellettuale oggi si accorge delle brutture del mondo solo quando la prima classe del Freccia Rossa Roma-Milano è piena e gli tocca viaggiare in seconda? Perché l’intellettuale di cui sopra non riesce ad ammettere che gli altri, quelli diversi da lui, gli stanno sul cazzo? Perché se un tamarro critica il sistema, dicendo le stesse cose dell’intellettuale di cui sopra ma con altre parole, non viene ascoltato? Perché mentre i tamarri sognano, gli altri soffrono d’insonnia?” Il racconto finale, in cui una comunità di panda, minacciata dall’estinzione, decide infine di fare un banchetto a base di hamburger, si chiude così: “Con lo stomaco satollo e le zampe all’aria, sdraiati nell’unico prato della foresta dove il bambù non copriva la magnifica visione delle stelle, i panda uno a uno chiusero gli occhi, che erano rivolti al cielo, e s’addormentarono col sorriso sulle labbra, mentre il fuoco del barbecue lentamente si spegneva. E quella notte, per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, i panda sognarono.”