di Ivan Arillotta
Ivan.jpgIl tempo incalza. Il tempo in calza. È qui, ai miei piedi. È in nessun posto, in nessun tempo.
Cordoglio, qui nella penombra. Non c’è luce, non c’è oggetto nel buio, non c’è amore nel corpo, non c’è desiderio nell’uomo, non c’è presente nel futuro: c’è il memento di un traditore nella propria fortezza, settimo piano, cella a destra, scrittoio pieno di fogli, buco del culo devastato dalla solita panca. Fui. Perché, è forse necessario un significato per riempire le vostre labbra di versi? Le labbra, non certo la testa, nella testa non vi è nulla, nonostante la seducente convinzione che i luoghi silenziosi custodiscano gli scintillanti tesori di un’anima. Bruciati.

Vi riempio di botte e di significati, se allungate un dito nella mia reggia. Non ho padroni, sono il gran sovrano di sedici metri quadrati. Non sono un oppresso, lo sono stato, mi avete depresso, non sono più niente. Vedete, miei cari fantasmi, gli uomini vivono per gli altri, esattamente come i simboli. Io sono un mutilato, simbolicamente parlando, specializzato in richiami sessuali e allettamenti verbali: versi d’uomo che si versa senza parsimonia.
Ogni cosa vi pare chiara, così come la parola che vi si associa. Vi si associa, ma in realtà delinque. Cos’è questa, un’esistenza allucinata, un rapporto confidenziale, un vaneggiamento che sta incubando e che domani darà al mondo altri mille gemelli, logorroici e stronzi, identici a me? Cos’è, cos’è, cos’è: la domanda dei bambini e dei cretini, quando i bambini non siano già cretini. Libertà, voglio solo quella. L’ho avuta. La rivoglio. Nessuno me l’ha mai levata. La libertà contro se stessi non è logica, e se tanto vi basta non faticherete a giustificare l’apparizione improvvisa di un piccolo carcere, tutto mio, una divertente miniatura di quel mondo sinistro in cui, con qualche violenza, vi sopravvivete reciprocamente. Con disgusto e malumore. Il mio gesto è onesto ma impossibile. Non avrò quella torre, non avrò alcuna gabbia, ma avrò molto di peggio. Siete delle creature orribili e petulanti. Sfacciati e veramente umani, almeno quanto modellini da masturbazione, imbarazzanti e puri, come è puro lo sterco di una vacca incontaminata, vergini della libertà, mostrate i muscoli di un’arte che non vi degna, la vita. Miei cari fantasmi, non sono più niente. Non sono una proposizione, non sono un cieco a mezzogiorno, miracolato a mezzanotte, non sono un levriero, faccia di cane e corsa elegante, raffinato in nessun dettaglio, cavaliere senza staffa e di nessuna cavalleria, non sono il tempo, non sono il bubbolo che suona la sveglia per le coscienze morte, il segnale da oggi si vive, col cazzo, non sono un uomo particolare, questo o quello, non sono carta rilegata, sebbene sia pieno zeppo di parole, non sono il vestibolo della morale, quando si entra si entra nudi e quando si esce si è persino più nudi, nulla da fare, solo terra quanta ne ho vista e stronzi quanti ne ho resi, non sono un uomo equilibrato che procede a passo sicuro verso un’esistenza di quiete domestica, canti di augelli ingabbiati e duelli con le bistecche, non sono meno distinto e rispettabile di un uomo che, diritto per la sua strada, deviando ogni tanto per ragioni incomprensibili, segua la rotta di un benedetto patibolo, tanto benedetto quanto lontano, non sono un combattente nato ma sarò un combattente prima erratico e poi morto, non sono colui che chiude le sedute ufficiali con un colpo di martello, con la battuta giusta, con una buona imbeccata per una famigerata massoneria, non sono un popolano di questo popolo, non sono l’umile che spruzza il nome di dio sulle più gravi ferite, non sono più il sacerdote della mia chiesa, che non esiste, non sono anonimo ma il mio nome è francamente irrilevante, non conosco le domande e mi chiamo come credo, osservando l’effetto, annotando ogni cosa, lasciando su tre fogli dieci perplessità e, a volte, una sola decisione, non sono un segretario, non sono il suo odiato registro, non sono un callo ma sono altrettanto molesto, non sono i calzoni di mio padre, ma forse la sua toppa scucita, divorata dagli anni, divorato dagli anni, non sono altro, non sono fuori di senno, non sono il mio posto, non sono bravo né buono né giusto, allora cosa sono, non sono un mal di testa né un colpo di tosse, sono una stanza senza finestre, sono il cazzo che mi pare, in questo luogo, e domani chissà.