di Marilù Oliva

sharia.jpg“Italian Sharia” di Paolo Grugni (Perdisa Pop, 2010, 14 euro) parte da un episodio di estremismo islamico — una ragazza marocchina uccisa dal padre – non per additare l’Islam, tutt’altro: l’autore traccia un trait d’union tra le civiltà intese nel senso etimologico del termine, cittadinanza di uno stesso mondo ovvero appartenenza a valori che potrebbero essere universalmente —e utopisticamente- condivisi salvo poi essere, de facto, quotidianamente calpestati.

Il protagonista è un italiano che di sera insegna a Prato lingua italiana in una media per stranieri, di giorno lavora per il sindaco e, quando riesce a ritagliarsi tempo, scrive romanzi senza commissari. Ha una moglie che ama e due figli mirabili specchi di una gioventù un po’ menefreghista e autoreferenziale. La sua esistenza lambisce accidentalmente quella di Zahra, sorella della ragazza marocchina uccisa. Quando egli scopre che Zahra è stata ricondotta a Marrakech e condannata a morte per non essersi comportata da buona musulmana, si mette sulle sue tracce.
“Italian Sharia” è un libro contro l’esasperazione di alcuni messaggi estremizzati e vorrei proporre, come introduzione all’intervista, due brevissimi brani a dimostrazione del mio assunto.

«… in Italia è più che mai necessario eleggere un nuovo popolo al posto della massa di cialtroni che lo abita, un popolo connivente all’illegale, un popolo accecato dai miracoli alla San Gennaro, un popolo pronto a sollevarsi solo se gli toccano la squadra di calcio, un popolo che non si ribella perché gli piace sguazzare nella fogna della corruzione e si diverte a fottere il prossimo…» (p. 103).

Per riassumere i reciproci pregiudizi di due personaggi, uno maghrebino, l’altro italiano, l’autore smonta i luoghi comuni in un illuminante diverbio:

«- Siamo musulmani, non beviamo alcool.
– Ma lo sai quanti marocchini ubriachi in Italia hanno ammazzato gente che stava attraversando la strada? Non mi prendere per il culo.
– Ma lo sai che a Milano è successo esattamente il contrario? Quello al volante era un pugliese e quello morto un marocchino. […] Un tempo per voi tutti gli stranieri erano marocchini, tutti vu’ cumprà, ma nel vostro paese non solo ci viviamo, ci muoriamo anche.» (p. 135).

Hai dichiarato che “Non c’è davvero giustizia a questo mondo. Mi piacerebbe anche dire che non c’è più religione, ma il vero problema è che ce n’è troppa”. Secondo te perché nonostante la tecnologia e i voli scientifici, la religione continua, per molte persone, ad avere un ruolo impositivo anche solo esteriormente?
Dove ci sono situazioni di disagio sociale ed economico, il sacro riesce a guadagnare terreno in quanto si convogliano le speranze nel soprannaturale: si crede nel miracolo di un dio dato che gli uomini, ovvero i nostri simili, non risolvono i problemi. La secolarizzazione invece avanza nei paesi dove è tangibile un alto tasso di civilizzazione, per cui non è necessario sperare in un risolutorio intervento divino. Meno bisogni primari da soddisfare, meno credulità popolare.

In che senso si può parlare di sharia italiana?
Nelle tue pagine si individua una sharia che trascende dal macro al micro, dalle grandi questioni fino ai gesti quotidiani.
Il richiamo alla sharia, esclusivamente in relazione alla questione femminile, è spesso un pretesto per nascondere leggi patriarcali che vorrebbero ancora vedere la donna sottomessa all’uomo. I delitti di cui sono state vittime Hina e Saana sono più legati alla violazione di un codice d’onore maschile che alla violazione di precetti religiosi. Il titolo del romanzo, “Italian Sharia” vuole richiamare l’incontro – scontro tra Islam e Cristianesimo. Ma tradotto suona come “sharia all’italiana”, ovvero come qualcosa di maccheronico, di confuso, dove nessuno ci ha capito veramente qualcosa.

Le donne sono figure chiave in questo romanzo. Oltre alle donne assenti, le due che ci fai conoscere sono Chiara, la moglie del protagonista, e Giorgia.
Una volta una lettrice mi fece notare che i protagonisti maschili dei miei romanzi avevano storie sentimentali più o meno disastrate. Per cui, in “Italian Sharia” ho voluto ricreare intorno al protagonista un senso di normalità, dove la famiglia fosse fonte di stabilità.

Un romanzo in difesa dei diritti delle donne. Al di là del tema religioso e delle integrazioni possibili o mancate, pensi che la società italiana conceda uguali possibilità a uomini e donne? Nel tuo libro compaiono due donne, di cui una, Giorgia, è un assessore…
Il tema delle pari opportunità mi interessa relativamente. Ovvero, mi interessa molto di più capire come mai le persone che hanno un potere – sia grande o piccolo, siano uomini o donne – subiscano, a causa di questo potere, una trasformazione. Si calano in un ruolo e poi ci credono. Uomini o donne, sotto questo punto di vista, si assomigliano molto.

La scrittura e la rabbia. Tutti i tuoi protagonisti sono incazzati con il mondo. È una costante nella tua scrittura. La scrittura come denuncia rabbiosa o come momento catartico?
La scrittura come impegno politico e civile di denuncia. Altro non mi interessa scrivere né leggere. La catarsi riguarda piuttosto le mie storie private che vengono talvolta trasposte sulle pagine dei miei romanzi per essere definitivamente elaborate a livello cosciente.

Abbiamo parlato di rabbia e di scrittura. Nella vita quotidiana cosa ti provoca maggiormente rabbia?
Gli italiani. Un popolo di servi.

Le reazioni della critica
La critica si è concentrata più sull’aspetto politico del romanzo che su quello letterario. Cose però che nella mia scrittura non sono affatto disgiunte. Non entro nel merito di quanto espresso sul romanzo, preferisco piuttosto sottolineare la totale assenza di recensioni da parte delle riviste femminili che apparentemente tanto si battono per i diritti delle donne, ma che poi, messe alla prova, mettono la testa sotto la sabbia e parlano di rossetti o di libri che non disturbano né la mente, né tanto meno il potere.

La critica in Italia. Cosa ne pensi?
La letteratura italiana è mediamente un prodotto di basso livello. E la critica si affanna a propinarci capolavori dove non ce ne sono, ma così facendo ha perso gran parte della sua credibilità. Poi succede che quando esce un libro realmente degno di essere letto nessuno lo considera. Faccio solo un esempio: “Flemma” di Antonio Paolacci è un romanzo straordinario. Ma chi se n’è accorto tra critici e lettori?

Un commento di una lettrice italiana e di una lettrice musulmana
Una lettrice sarda ha amato la visione pessimistica del protagonista e questo mi ha stupito. Di solito la gente non ama essere turbata o angosciata. Una lettrice di origine italo-marocchina spera si capisca che il libro offre solo una visione su un parte dell’Islam.