di Mario Boffo

Sanaa2.jpg[Mario Boffo è un ambasciatore un po’ speciale. E’ autore di un romanzo, Femmina strega, che Carmilla ha molto lodato. Attualmente in servizio nello Yemen, ha reagito all’articolo di Giuseppe Pensabene Perez pubblicato ieri. Pubblichiamo volentieri la sua replica. Carmilla è pronta a ospitare ulteriori interventi sul tema.] (V.E.)

La prima cosa che mi è venuta in mente, leggendo l’articolo di Giuseppe Pensabene Perez dal titolo “Il nemico che avanza”, pubblicato da “Carmilla on line” questo 30 settembre è stata: ma perché tutti quegli insulti e quelle acide critiche non le ha espresse in mia presenza, visto che, come egli stesso afferma, ha avuto con me varie occasioni di incontro? Che cosa temeva? Tutt’al più gli avrei detto che è un maleducato, che gli insulti non sono un argomento, che denotano, in chi li proferisce, pochezza spirituale, mancanza di idee, rabbia mal repressa, instabilità emotiva. Mah… forse ha preferito lanciare quegli insulti a me, all’Ambasciata e al resto del personale da lontano, dopo qualche tempo, servendosi di una rivista di cui forse non mi suppone lettore, visto che esplicitamente o implicitamente mi dà del fascista, del berlusconiano, del razzista, dello xenofobo…

Invece, essendo un assiduo lettore di “Carmilla”… zac! l’ho beccato subito con le mani (o meglio) con gli insulti nel sacco!!! Gli è andata male… Mi resta un dubbio: nell’articolo che ha scritto dà a tutti i membri dell’Ambasciata del fascista, nazista, eccetera, lasciando intendere che lui non è tutto questo. Lodevole cosa (ovviamente anche nessuna delle persone cui lui fa riferimento è fascista o xenofoba), ma a che serve essere in modo così edificante antifascista e democratico se poi ci si concede la libertà di indirizzare ad altri ingiuriose parolacce, augurandosi quasi che vengano ammazzati in un attentato? La civiltà non dovrebbe avere aggettivi. Il signor Pensabene, inoltre, presenta la sua vicenda come un drammatico caso umano e personale. Ma di che si sta parlando? Nello Yemen in questo periodo ci sono dei rischi. Come fanno tutte le Ambasciate verso i propri connazionali lo abbiamo detto a lui come ad altri e gli abbiamo suggerito di fare attenzione e possibilmente di lasciare il Paese appena compiuto il periodo di studi. Se altri, come i funzionari delle aziende petrolifere, che lui cita, o noi diplomatici siamo qui è per obbligo contrattuale o per dovere istituzionale. Non è certo perché abbiamo voluto concederci il dubbio privilegio di restare a far da bersaglio a eventuali terroristi! Del resto anche lui poteva tranquillamente disattendere i nostri suggerimenti: nessuno ha infatti mai avuto né il potere né l’intenzione di vietare alcunché. Potrei chiudere qui, anche perché non voglio personalizzare. Ma l’articolo del Pensabene, acriticamente pubblicato dalla rivista nonostante il tono chiaramente nervoso e l’abbondante turpiloquio, getta sull’Ambasciata e sul suo operato una luce distorta e profondamente infondata. Quindi credo sia utile qualche chiarimento, facendo riferimento ai principali punti dell’articolo del giovane studente.

La cosa più paradossale è che il giovane Pensabene si è tanto indignato non per essere stato vessato, offeso o represso da qualcuno, ma solo perché l’Ambasciata, in obbedienza al proprio dovere istituzionale che prevede anche, soprattutto in certi Paesi, la tutela dei cittadini italiani, si è occupata della sua sicurezza. Ma sì, tanto si sa come la pensano molti italiani: sputa su tutto quello che puzza di Istituzioni, Governo, Pubblica Amministrazione… forse non sai perché sputi, ma tanto è certo che hai ragione! Vorrei raccontare un caso davvero singolare che mi è capitato qualche mese fa e che è in molti punti collegato al caso Pensabene. Una bambina yemenita di otto anni era stata sposata a forza dalla famiglia a un uomo di trent’anni, che, nonostante l’età infantile, la costringeva a rapporti sessuali. La cosa è emersa sui giornali italiani e… apriti cielo! Come Ambasciatore nello Yemen, ho ricevuto un centinaio di messaggi contenenti critiche acidissime e insulti anche peggiori di quelli del Pensabene, quasi il colpevole fossi io (e il povero collega yemenita a Roma, che veniva pure coinvolto). Mi si accusava (e si accusavano in genere gli Ambasciatori e i diplomatici) di ignavia, di pensare solo ai propri banchetti e agli affari personali, mentre succedono di queste turpitudini. In sostanza mi si accusava di fregarmene dei diritti umani. Anche in quel caso ho risposto a tutti, spiegando che del caso ci stavamo già occupando a livello di cooperazione europea sul posto, quando la piccola è stata liberata (ora è tornata a scuola grazie anche a donatori italiani con cui l’Ambasciata l’ha messa in contatto). Ho spiegato che i diplomatici si occupano eccome, in certi paesi, di diritti umani, che con gli altri Ambasciatori europei abbiamo salvato almeno tre persone dalla pena capitale, che soprattutto i diplomatici italiani hanno strenuamente negoziato nelle varie sedi la vittoriosa campagna per la moratoria della pena di morte. Moltissimi mi hanno riscritto scusandosi, ma sa — dicevano — non sapevamo, non ci fidiamo più dei nostri “rappresentanti”, dei nostri “deputati”. Per non farla tanto lunga, il caso rappresenta un test della tendenza di molti italiani (e ve ne è traccia anche nell’articolo di Pensabene) a mettere tutto sullo stesso piano: la malapolitica e le Istituzioni, la corruzione morale di certa classe diligente e la funzione pubblica, l’inefficienza del sistema e il lavoro di chi tutto sommato cerca di superarla, i “deputati” e i funzionari. Tutti politicanti, tutti corrotti, tutti fascisti, tutti razzisti… Non tutti si rendono conto che il Paese si tiene grazie alle Istituzioni, e che queste rappresentano e servono la generalità della comunità nazionale, al di là di questo o quel governo, di questo o quel settore della società. Quando un’Ambasciata interviene, interviene a sostegno delle imprese italiane, a sostegno degli interessi dell’Italia, a tutela dei cittadini. Ogni volta che si vince una commessa, forse si risparmia il licenziamento a qualche operaio, ogni volta che si avvisa un connazionale su temi di sicurezza, forse si scongiurano guai peggiori. I sei turisti spagnoli saltati su un’autobomba a Marib, le tre turiste belghe uccise a fucilate a Seyun, i cinque italiani sequestrati nel 2006, che solo per miracolo non furono coinvolti in un conflitto a fuoco fra rapitori e forze dell’ordine, forse non avrebbero passato tutto questo se avessero dato retta agli avvisi ai viaggiatori che tutti i Paesi diffondono sui siti informatici. Questi avvisi, e quelli che più in dettaglio si danno individualmente, sono fondati su valutazioni ponderate e sull’esperienza diretta dei luoghi.

Il Pensabene ritiene di confutare la necessità di mettere in guardia la gente con l’argomento che gli yemeniti lo hanno trattato bene, che non si è sentito mai minacciato, che anche i poliziotti lo hanno rispettato. A quest’argomento ricorrono anche molti italiani che continuano a viaggiare per regioni sconsigliate: sono andato e non mi successo niente… Naturalmente, quando non succede niente siamo tutti felici, ma il fatto che non sia successo niente non vuol dire che non si sia rischiato, e il fatto che in una situazione vi siano rischi non vuol dire che questi debbano colpire tutti e ciascuno ventiquattr’ore al giorno! Ma va anche precisato che, nei miei tre anni di servizio nello Yemen, almeno un centinaio di persone, fra turisti e operatori economici e professionali, sono stati uccisi, feriti o sequestrati. Ce n’è d’avanzo per suggerire comportamenti prudenti. Detto questo, potrei naturalmente sottoscrivere tutte le affermazioni del Pensabene sull’urbanità degli yemeniti. Anzi, non esito a dire che il popolo yemenita è fra i più affabili, cortesi, allegri, rispettosi, ospitali e cordiali fra quelli che mi sia capitato di incontrare, e che tutte le autorità, poliziesche o meno, trattano con gli stranieri con rispetto e senso di amicizia. Al Pensabene però sfugge forse il fatto che non era contro gli yemeniti in generale che lo si avvisava, ma contro le cellule terroriste che purtroppo si annidano nel Paese, di cui lui naturalmente non si è mai accorto, perché costoro non si presentano col biglietto da visita e quando invece si presentano sei già morto, ma di cui le Ambasciate e i servizi di sicurezza sanno e sapevano. Era quello il senso della metafora che tanto ha colpito il nostro studente. Ora si sa che le metafore non tutti le capiscono. E’ per questo che, dopo averle proposte, le spiego, come feci nell’occasione citata dal giovane studente. Il senso era che l’uomo sulla torre dispone di molte più informazioni di chi sta ai piedi della torre. Questi non avverte il pericolo perché vede meno cose. Purtroppo alcuni non capiscono le metafore nemmeno quando gliele spieghi… Circa il viaggio dei genitori, inoltre, gli dissi che lo Yemen merita certo visite approfondite, ma che in quel periodo era rischioso. Conveniva allora rinviare la visita e magari visitare altri luoghi, come per esempio… feci qualche esempio di cui ora non ricordo, e forse citai anche Rimini, come luogo tipicamente tranquillo da anteporre a luoghi più turbolenti come lo Yemen. Non mi spiego perché il Pensabene consideri offensivo andare a Rimini. Se c’è qualche riminese che legge, risponda lui. Molte tensioni caratterizzano lo Yemen di questi mesi. Tutti i Governi, tramite le Ambasciate, forniscono ai connazionali informazioni e suggerimenti. Alcuni hanno proceduto a evacuare tutte le famiglie con bambini, ad allontanare il personale non necessario, a chiudere scuole. Noi non abbiamo adottato alcuna misura ufficiale, per non aumentare la tensione e perché la comunità italiana qui non è molto numerosa. Comunque il Pensabene è l’unico a essersi offeso del fatto che intendevamo proteggerlo. Altri si sono addirittura lamentati che li avvisavamo poco (in realtà era un signore che non era venuto ai briefing), oppure hanno essi stessi segnalato casi di intimidazione ricevuti.

Ancora per gettare ridicolo sull’Ambasciata, l’autore dell’articolo si chiede ironicamente come mai abbiamo organizzato la Festa Nazionale in un grande albergo quando in generale questi erano sconsigliati. Il Pensabene non si è naturalmente reso conto dell’immenso dispositivo di sicurezza che c’era, per l’occasione, attorno allo Sheraton, e che non ci sarebbe stato nei giorni ordinari. Osserva che non è stato perquisito. Ma è logico!!! Era conosciuto, perché dovevano perquisirlo? Poi si chiede, il Pensabene, a che vale celebrare la Festa Nazionale a spese dello Stato (una precisazione: la Festa Nazionale viene organizzata a spese personali dell’Ambasciatore), quando l’Italia va male. Ora, non voglio essere retorico, ma l’evento che si celebra il 2 giugno è la ricorrenza del plebiscito che scelse la forma Repubblicana. Si celebra, quindi, l’Italia riportata alla libertà da una lunga lotta di resistenza contro i nazi-fascisti, l’Italia che elaborò una delle migliori costituzioni del mondo, l’Italia finalmente assurta alla democrazia, l’Italia che seppe operare la ricostruzione economica e morale. Forse il giovane studente considererebbe tutto questo delle sciocchezze. Ma l’Italia che celebriamo con la Festa Nazionale è quella, è l’Italia che molti italiani, e certamente noi che operiamo nelle Istituzioni, vorremmo veder risorgere anche ai nostri giorni! Non vale la pena di celebrare la festa? Faccia come crede e celebri ciò che vuole. Pensabene sostiene che alla festa fossero invitati solo riccastri, affaristi, eccetera. Ma quando mai! Intanto c’era anche lui e tutti gli italiani residenti o di passaggio, per studi o altro. C’erano yemeniti e stranieri in qualche modo collegati all’Ambasciata o da essa conosciuti, di tutti gli strati sociali. Vi erano invitati, fra gli altri, artisti, scrittori e poeti, gente che opera nella cultura o nel sociale, persone che abitano nella città vecchia e che fanno mestieri normalissimi, come il medico tradizionale, l’intagliatore, o il sarto, due modestissime e povere famiglie di Sana’a e del vicino villaggio di Bait Baus, gente semplicissima della cui amicizia mi onoro e mi vanto…

Il Pensabene poi contesta il fatto che l’Ambasciata sia stata obiettivo di un attentato, sostenendo (la sa lunga lui…) che le bombe erano dirette invece alle dogane. Così gli hanno detto gli amici yemeniti. Sfido io!!! Per amor proprio gli yemeniti — ed è comprensibile — cercano di negare che vi sia nel Paese qualcuno che attacchi gli stranieri. Nelle prime ore avevano detto addirittura che, nessun problema, si trattava di un’esercitazione! Le bombe in realtà sono finite sulle Dogane solo per sbaglio. Era un mese che venivano attaccate ambasciate occidentali, luoghi di raccolta e residenza di occidentali, aziende multinazionali occidentali: qualcuno mi può spiegare che c’entrava attaccare le Dogane?!?! Del resto l’attacco, per fortuna non riuscito (ma forse Pensabene direbbe sfortunatamente, visto che come si evince dal suo articolo avrebbe in qualche modo gradito la morte per terrorismo di qualche componente dell’Ambasciata), fu espressamente rivendicato da Al Qaeda e i competenti servizi di otto Paesi hanno valutato che l’obiettivo eravamo proprio noi. Se mi soffermo su questo è perché tutti gli italiani non addetti ai lavori con i quali ho parlato si sono detti sicuri che i terroristi non cercassero noi. Forse alcuni italiani coltivano ancora il mito dell’italiano amato dovunque. Dimenticano che siamo attivi in azioni internazionali, che collaboriamo alla lotta contro il terrorismo, che cerchiamo di svolgere un ruolo nel mondo, e che almeno quelli della jihad possono avercela anche con l’Italia. Ah, forse non hanno letto degli attacchi ai nostri soldati in Afghanistan…

Poi il Pensabene si fa beffe dell’eventualità che l’aeroporto internazionale di Sana’a fosse reso inagibile dai colpi della guerriglia, che era oramai alla periferia della capitale. Dice, va bene, avremmo aspettato finché lo riparassero, e poi ci sono altri aeroporti. Stupisce tanta ingenuità in un ragazzo comunque laureato o laureando, non ricordo bene. Se l’aeroporto fosse stato colpito, anche per sbaglio, il colpo alla stabilità del Governo sarebbe stato enorme, e le tante tensioni presenti nel Paese, anche non direttamente connesse alla guerra di Sa’da, avrebbero potuto esplodere, impedendo l’accesso alle strade e agli altri aeroporti. Avrei voluto vederlo, in una situazione del genere, il nostro Pensabene, che sostiene di essersi spaventato anche solo per pochi pacati avvertimenti!

Come gli altri studenti e gli altri italiani, Giuseppe Pensabene è stato accolto e seguito con la massima cordialità da parte dell’Ambasciata, è stato ascoltato quando ha voluto esprimersi ed è stato invitato alla Festa Nazionale con la migliore disposizione di spirito. Non sapevamo, all’epoca, che disprezza tanto questa celebrazione. Mi chiedo perché ci sia venuto, visto questo suo sentimento. In ogni caso, lo avremmo invitato lo stesso, e siamo contenti che abbia comunque partecipato. Sorprende molto, pertanto, tutta l’evidente acrimonia con cui si esprime nei riguardi dell’Ambasciata stessa e dei suoi componenti. Se poi — in preda, come afferma egli stesso, ai fumi dell’alcool — non è riuscito a inserirsi in una conversazione, non dipende affatto dal non averlo gli astanti calcolato o considerato, come afferma. In una conversazione uno si inserisce, se ha cose da dire. Se se ne sta lì e non parla, pazienza, vorrà dire che preferisce ascoltare!

Mi sono risoluto a scrivere questa replica non soltanto per legittima difesa contro volgari insulti, critiche infondate e arzigogolate considerazioni… nonché in difesa dei riminesi… Ma soprattutto perché esso lasciava pensare cose non vere sul senso e l’attività delle Ambasciate e dei diplomatici, segnatamente quelli italiani. Tanto per cominciare, non siamo “quasi tutti di destra”, come insinua il nostro: le opzioni politiche sono distribuite come altrove, e comunque quando operiamo, operiamo per il Paese e per i cittadini italiani: imprese, università, studenti, ricercatori, operatori sociali e culturali, gente comune. Ben lungi dalle scene da operetta descritte dallo studente e diffuse, proprio in questi giorni, da un insulso sceneggiato televisivo, lavoriamo al servizio del Paese e contribuiamo alla sua economia, al suo progresso, alla difesa dei suoi interessi. Ogni commessa vinta contribuisce a evitare qualche licenziamento, ogni avanzamento delle relazioni commerciali contribuisce ad allontanare la recessione. Lavoriamo inoltre per lo sviluppo dei diritti umani nel mondo e per lo sviluppo civile, economico e sociale dei Paesi che ancora abbiano bisogno di aiuti: ogni progetto di cooperazione ben condotto, in quei Paesi, migliora la vita delle persone.

Su questi temi accetto qualunque dialogo o discussione. Anzi, invito tutti coloro che abbiano letto i due articoli, ogni redattore di “Carmilla” che intendesse farlo, a scrivere per dir la loro, se lo desiderano, sperando che la rivista voglia continuare a ospitarci. Chi voglia, compreso lo studente in questione, può anche scrivermi personalmente: mario.boffo@esteri.it, perché è ora che quella parte dell’opinione pubblica che ancora la ignora, apprenda la differenza fra Istituzione e Governo, fra Pubblica Amministrazione e malapolitica, e apprenda qualcosa di più sul nostro lavoro, così mal conosciuto e vittima di tanti infondati stereotipi.

Un piccolo commento finale sulla rivista. “Carmilla” ospita di consueto articoli interessantissimi contenenti su questa o quella questione analisi sociali o politiche, condivisibili o meno, ma ottimamente argomentate. In quest’occasione ha pubblicato uno sfogo del tutto soggettivo e chiaramente steso senza la serenità che sarebbe auspicabile presso chi scriva pubblicamente, contenente insulti ripetuti e basse insinuazioni nei riguardi di enti e persone chiaramente identificabili, senza la possibilità di contraddittorio perché il sito non prevede un link che si possa cliccare per rispondere. Ho potuto infatti inviare questa mia replica solo grazie alla collaborazione di una persona amica. Sbaglierò, ma ritengo che la redazione — che bene fa ad aprire le pagine della rivista a ogni opinione, anche dura, anche polemica, anche aggressiva — dovrebbe tuttavia rifiutarsi di pubblicare scritti in cui la metà delle parole sono insulti gratuiti a persone specifiche, invitando magari gli autori a sopprimere almeno le parolacce! “Carmilla” è una rivista seria e per quanto mi riguarda apprezzatissima, che in molte cose si distingue meritoriamente da tanta malastampa che alligna in Italia. Perché non distinguersi anche evitando di pubblicare articoli basati sul turpiloquio e su manifestazioni ingiuriose puramente soggettive e non argomentate? Sarebbe un eccellente contributo a una stampa civile e corretta. Inoltre, in caso di attacchi così diretti e diffamatori, la rivista dovrebbe secondo me adoperarsi per avvisare le persone attaccate, per favorire il contraddittorio. Io ho scoperto l’articolo incriminato solo per il dato casuale di essere un affezionato lettore di “Carmilla”. Altrimenti quelle infamie sarebbero circolate su Internet per l’eternità, diffondendo immagini e commenti calunniosi e infondati. Se la rivista si comportasse, in questi casi estremi, nel senso che ho umilmente indicato, darebbe un significativo contributo a un giornalismo… equo e sostenibile! A questo principio spero che sia improntato il più ampio reportage sullo Yemen che viene annunciato e al quale sono più che disposto, se di interesse della redazione, a collaborare.

Mario Boffo
Ambasciatore d’Italia nella
Repubblica dello Yemen

[Un piccolissimo commento al piccolo commento finale, che spero non sia preso come una giustificazione. Carmilla riceve ogni giorno decine di articoli, e spesso non è in grado di valutarne l’attendibilità, specie se riguardano paesi ignoti ai redattori, come lo Yemen. Cancellate le parolacce, i toni forti possono corrispondere a uno stato d’animo indignato o a denunce effettive, e su questo non ci sentiamo di esercitare censure. Saremo comunque sempre aperti a smentite o a valutazioni dissonanti.] (V.E.)