coversanti150.jpgdi Gianluca Bavagnoli

[Romanzo del quale Carmilla ha tessuto le lodi, il libro di Flavio Santi è degno di una pratica che sempre più la nostra rivista adotterà: tornare a ragionare sul testo e sull’autore, indipendentemente dalla durata commerciale del libro in libreria. E’ una risposta che intendiamo fornire alla sciaguratissima abitudine, ormai invalsa presso i grandi editori, di non depositare in catalogo alcune delle opere migliori di questi anni – problema a cui la Rete fornirà prossimamente un’adeguata risposta. gg]

frecciabr.gif FLAVIO SANTI, L’ETERNA NOTTE DEI BOSCONERO, RIZZOLI 24/7, € 16

Goethe, nel suo Viaggio in Italia, aveva descritto tutte le meraviglie della penisola incontrate durante la sua permanenza (1786-1788).
Ma c’è un capitolo che il genio tedesco non ha mai avuto il coraggio di raccontare, qualcosa di inaccettabile che solo in punto di morte, solo negli ultimi istanti di solitaria lucidità, la coscienza lo ha spinto ad affidare al giudizio dell’umanità.
Ne L’eterna notte dei Bosconero (Rizzoli, 280 pp.) Flavio Santi descrive l’arrivo di Goethe a Palermo, l’impatto potentissimo con il sistema dell’isola, il mistero insondabile della manifestazione del diabolico.

Ecco il fulcro magmatico del romanzo, ed ecco il punto di non ritorno delle ricerche del poeta tedesco: Mefistofele, il diavolo nella sua rappresentazione più pura, nella forza inarrestabile dell’essenza stessa del Male, sarà il suo Faust.
Per spingersi fino a sfiorare il mito diabolico del Male più profondo Goethe aveva unito il culto romantico di Satana agli studi alchemici, le tradizioni popolari sui vampiri ai semi insanguinati e maledetti che ogni cultura ha celatamente coltivato in ogni epoca storico-sociale. Ma l’esperienza siciliana si spingeva oltre ogni teoria, polverizzava ogni sorta d’incubo: Santi, nel suo incantevole volo immaginifico nella Sicilia settecentesca, veste al lettore i panni dello stesso Goethe, calandolo nella vicenda intricata dei Bosconero, casata nobiliare palermitana contraddistinta dalla lugubre Selva Nera sullo stemma, in cui delitti, fatti inspiegabili e atmosfere in bilico introducono, per poi insinuarsi sinuosamente, verso quel Male puro che aleggia scontornato, sotto le spoglie di una piovra gigante, sulla Sicilia e nella mente dello stesso Goethe.
Federigo Bosconero è un barone in decadenza, rimasto solo a Palermo in seguito al parricidio che aveva portato il fratello Adamo al manicomio. Dilaniato dalle frequenti amnesie, in un bilico chiaroscurale tra sogno e realtà, si aggira per l’isola tra le varie residenze di famiglia, avendo ormai perso anche le più elementari nozioni di tempo e spazio. Alla ricerca del fratello si unisce quella del precettore Blasco Telamonio, unica speranza per comprendere la frase che divora la sua mente, pronunciata chissà quanti anni prima, segnale distorto e vaporoso di una perversione che gli è impossibile ricordare, il cui reale significato cade effimero nell’inconscio: “La vita vive nel sangue…”.
Goethe, in visita alla città, viene bloccato in una locanda da uno sconosciuto che gli narra, nell’arco di una notte intera, una vicenda misteriosa, disseminata di crimini efferati e atrocità apparentemente inspiegabili, di cui i Bosconero si rivelano insieme tacite vittime e predestinati artefici.
Il racconto permea la storia, la narrazione a spirale diviene meta-narrazione e inconsapevolmente Goethe ne è già ingranaggio focale: le tenebre lo avvolgono includendolo in un delirante gioco di morte.
Senza tempo, doppio mancato di se stessa è il solo personaggio femminile, l’enigmatica Nervetta che “gioca a perdersi”, unico inerte lampo d’amore che scalda a fasi alterne l’oblio del cuore di Federigo; il tema del doppio attraversa obliquamente il cosmo stesso del romanzo: l’eco inutile della ricerca del servo Barcellona, “uomo specchio” di Federigo; i luoghi che nella mente di quest’ultimo si deformano, alone adombrato di non-luoghi che si sovrappongono a se stessi e ai vani richiami del passato; gli strani episodi di rifrazione e il rincorrersi casuale e spesso circolare di stagioni che svelano un presunto alternarsi umano basato sull’assenza.
Sulla duplicità del tutto affondano le radici la natura alienata del vampiro e l’esistenza, eterna e immobile, del male. I delitti non hanno tempo in quanto l’esecutore non ha passato né futuro, ma si muove, tra inconsapevolezza e impulsività, su un limbo terreno che cancella e vanifica anche il desiderio stesso della memoria.
Flavio Santi è autore di raccolte poetiche in italiano e in dialetto, oltre al visionario e barocco romanzo di debutto Diario di bordo della rosa, edito da PeQuod. Ne L’eterna notte dei Bosconero, accanto a una trama ricca e molto ben costruita, non si avverte alcuna rinuncia alla lingua alta e squisitamente poetizzante che ne contrassegna lo stile; si può cogliere semmai un’armonizzazione e alleggerimento del tessuto paratattico, a vantaggio di una prosa più lineare e diretta, ma che non tralascia gli scatti immaginifici che concorrono a meglio modulare la profondità e il respiro di una narrazione che sa coordinare elegantemente lettura orizzontale e verticale.
E ciò nonostante le caratteristiche ibride del romanzo, che è thriller e romanzo d’appendice, racconto pop e dramma di costume, allestimento horror vampiresco e poliziesco noir.
Oltre a queste osservazioni preventive, vanno almeno ricordate altre due caratteristiche che arricchiscono la riflessione alla base de L’Eterna notte dei Bosconero: una concerne la ricerca preliminare dell’autore, l’altra il suo occhio sulla contemporaneità.
La lucidità dei riferimenti linguistici e geografici siciliani denota una ricerca minuziosa, ma che non eccede mai nel manierismo; anche le conoscenze legate al vampirismo (motivo che si farà gradualmente strada all’interno della vicenda) suggeriscono un’attenzione particolare verso gli approfondimenti di Goethe, nonché verso una delle più istintive e innegabili manifestazioni del male: l’immagine del sangue come unica fonte di vita (“La vita vive nel sangue…”, presente già nell’Antico Testamento) esplicita un timore di cui l’uomo è da sempre testimone consapevole; la nascita del filone tradizionale legato ai vampiri, e con esso quelli connessi ad alchimia e automi, non sono altro che le logiche evoluzioni deviate di tale disumano e insieme umanissimo impulso.
Infine, dietro la vicenda narrata, tra le cene sfarzose e il potere dei baroni isolani, si cela una chiara e sfolgorante allegoria della Sicilia contemporanea; il seme della discordia, riconducibile forse all’origine massonica della Mafia, sembra trovare il suo sviluppo estremo nella scoperta della radice stessa del Male.