Intervista a Marcello Flores di Andrea Sorrentino

Dachau.jpg
Sideralmente distanti dalla volontà, indiretta, di dar voce a chi nega l’esistenza della Shoah, a chi per scopi di diversa natura tenta di negare o ridimensionare l’esistenza di quel che è stato il genocidio più demoniaco del XX secolo: quello degli ebrei d’Europa. Affrontiamo, oggi, il negazionismo per capire se questi presunti storici, i loro scritti e le loro conferenze internazionali cullino lo stesso odio che ha portato alla costruzione dell’inferno concentrazionario. Lo facciamo fissando nella memoria i volti dei milioni di ebrei uccisi dalla belva nazista. Parlandone con Marcello Flores professore di Storia contemporanea presso l’Università di Siena, direttore del master in “Diritti Umani e Azione umanitaria”, che ha pubblicato Tutta la violenza di un secolo e che fa parte del comitato scientifico che ha promosso la pubblicazione della Storia della Shoah opera che fornisce un quadro globale dello stato delle conoscenze e del dibattito sull’Olocausto.

Qual è il suo pensiero sulla proposta del Guardasigilli Mastella?

La proposta di Mastella, che sembra essere in qualche modo rientrata non riguardando più la punizione di chi nega la Shoah ma, da quel che si legge, l’incitazione a commettere crimini contro l’umanità, si poneva nel solco di altri paesi che hanno da tempo leggi analoghe (Germania, Francia, Austria, Svizzera, ecc). Imporre per legge una verità storica, anche quando è evidente e incontrovertibile, è pratica da paesi totalitari, e rischia di aprire il varco a future intromissioni sullo stesso terreno; è controproducente perché fa passare per vittime della libertà d’espressione gli squallidi personaggi del negazionismo, dando loro risalto mediatico e creando una mitologia e una pubblicità gratuita alle loro posizioni; pone la Shoah al di fuori della storia, come unico evento trattato diversamente e non comparabile e discutibile come tutti gli altri, cioè ne fa una sacralizzazione che è proprio l’opposto di una convinta e critica coscienza storica che dovrebbe essere diffusa e costruita con aiuti e incentivi a chi se ne fa promotore.

A chi giova negare la Shoah?

Non so quanto giovare sia il termine adatto. Non credo, ad esempio, che il negazionismo di Ahmadinejad giovi davvero, se non a rafforzare il suo consenso presso gli strati più oltranzisti dell’Iran e del mondo arabo ma con la contropartita di perdere ogni credibilità rimasta presso i moderati. Serve in generale come mezzo propagandistico forte, perché se ne parla, perché fa scandalo e si viene quindi riconosciuti — sia pure come agenti del “male” — perché si contribuisce a fare confusione sul piano storico e morale. Questo vale per i capi di stato come per gli storici (meglio per i presunti tali), che in questo modo trovano un ascolto che la loro stupidità e incapacità professionale non avrebbe mai permesso loro di avere; ma anche per la gente comune, che attraverso questa iperbolica menzogna cerca di rafforzare altre posizioni (ad esempio quelle politiche contro lo stato di Israele).
Oggi, purtroppo, il dramma del conflitto israeliano-palestinese (e, mi si conceda, della modalità brutale e illegale dell’occupazione come di quella inutile e criminale del terrorismo) favorisce un cortocircuito tra cose diverse: la critica a Israele, una certa insofferenza per gli atteggiamenti di “unicizzazione” della Shoah da parte di gruppi ebrei (si veda l’atteggiamento di molti ebrei americani contro il riconoscimento del genocidio armeno), l’oltraggio della negazione. Si tratta di tre cose diversissime (la prima legittima e anzi sacrosanta, la seconda comprensibile anche se rischia di avere una possibile deriva antisemita, la terza assurda e vergognosa) che nel linguaggio comune, nelle polemiche sui giornali e ormai a volte anche nelle aule universitarie tendono a sovrapporsi e a creare una grande confusione mentale, soprattutto tra chi non una consapevolezza storica che è cresciuta con la crescente scoperta della Shoah come evento storico (ciò che è successo alla mia generazione).

L’idea che il genocidio ebraico sia un’invenzione della propaganda “sionista” e che le camere a gas non siano mai esistite è alla base della conferenza di Teheran, dov’era presente il gotha del negazionismo mondiale. In Italia da chi è rappresentato questo fenomeno?

In Italia ci sono solamente pochi individui, del tutto squalificati sul piano culturale e storiografico, che hanno un ascolto minimo se non in qualche gruppuscolo razzista di estrema destra (e, individualmente, anche nell’estrema sinistra). Non credo che siano posizioni che sono suscettibili di conquistare seguaci, anche se la polarizzazione attorno al legame inscindibile passato-presente, cioè Shoah-stato di Israele (anzi “governo” di Israele) rischia di creare qualche problema in più. La logica, presente purtroppo in molti ebrei anche italiani (ma anche non ebrei), secondo cui ogni critica a Israele si configura come possibile o reale antisemitismo, di cui fa parte anche la confusione tra antisionismo e antisemitismo; come anche il discorso, che mi sembra crescere pericolosamente, di chi vede nel parlare ancora e continuamente della Shoah soprattutto un’arma di difesa ebrea e israeliana per allontanare le critiche dalla politica di occupazione militare nei Territori: ecco, entrambe queste posizioni rischiano di non permettere di emarginare e sconfiggere completamente le posizioni negazioniste, anche se ovviamente non c’è alcun legame tra le prime e queste ultime.

Il non dare credito scientifico a questi presunti storici è sufficiente per relegarli alla periferia del dibattito storico?

Purtroppo il credito ai negazionisti non è mai venuto dalla storiografia (che non li ha presi in considerazione nemmeno come “avversari”), ma dai mass media e da una serie di eventi pubblici sui quali vi è stata una grancassa mediatica che ha giovato loro per farsi conoscere. L’esagerazione del pericolo negazionista e la sottovalutazione della necessità di preparare comunque delle risposte chiare alle loro farneticanti obiezioni hanno ulteriormente contribuito a favorire l’interesse mediatico; che, non scordiamolo, specie in Italia e anche nelle pagine culturali dei maggiori quotidiani, vive più sulla polemica e sulla contrapposizione conflittuale di posizioni che sulla volontà di capire e approfondire.

Grazie alla diffusione di Internet incappare in siti negazionisti non è poi così difficile. Quali sono le “avvertenze d’uso” per un lettore giovane o poco attrezzato?

Effettivamente la realtà nuova introdotta da Internet crea una problematica diversa da quella degli anni passati. Occorre però avere chiaro che questo avviene anche per ogni altro aspetto della vita pubblica (politica, culturale, eccetera). Da un punto di vista culturale credo che il negazionismo delle teorie evoluzionistiche e delle posizioni di Darwin sia assai più pericoloso che quello della Shoah, perché riesce a trovare consensi e alleati molto potenti (chiese, movimenti, eccetera) che nell’altro caso invece non ci sono. Teniamo conto che, al di là di tante valutazioni non condivise, la Shoah è forse l’unico evento storico su cui vi è una vastissima consonanza di conoscenza e anche un riconoscimento del suo significato morale che è abbastanza condiviso in tutto il mondo: una condizione quasi invidiabile, se non fosse che in questo caso il negazionismo può favorire l’antisemitismo ed essere quindi socialmente e culturalmente più pericoloso.

“Per un mondo senza Sionismo” è lo slogan preferito dal Presidente dell’Iran. In che modo i negazionisti danno man forte a queste tendenze?

I negazionisti hanno capito, proprio negli ultimissimi anni, che legare la loro assurda posizione al dibattito politico attuale sul medio oriente può essere utile, e quindi tendono a sottolineare un legame tra la Shoah e la creazione dello Stato di Israele e l’occupazione attuale dei Territori o almeno a suggerirlo, per dare più credito al primo aspetto, che altrimenti non interesserebbe a nessuno perché troppo platealmente inconsistente. Diciamo che il negazionismo è uno strumento offerto a tutti coloro che, per i motivi più diversi, vogliono offendere e insultare lo stato di Israele e gli ebrei e quindi può avere una qualche utilità e diffusione in questo senso.

L’imperativo contro il negazionismo è punire o vigilare?

Punire non serve a nulla, anzi può essere controproducente perché richiama l’attenzione, crea delle vittime della libertà d’espressione proprio tra chi offende l’espressione e l’informazione, perché fa credere che misure giuridiche possano sopperire all’educazione. Questo credo che non valga soltanto per il negazionismo. Una battaglia culturale per la democrazia e la tolleranza, in una società di massa come quella attuale dominata nella formazione dell’identità e della coscienza dai mass media, deve porsi il problema di fare delle grandi campagne “pubblicitarie” (lo dico in modo provocatorio) per portare avanti i propri valori, che non sempre sono autoevidenti e soprattutto accettati e introiettati davvero. Un discorso analogo si può fare per il negazionismo, contro cui può valere solo l’educazione, la creazione di coscienza, l’elevamento del livello di conoscenza medio sia da un punto di vista storico sia morale.

Qual è la verità della Shoah che occorre difendere e far conoscere contro le tentazioni negazioniste intese come culla della cultura della violenza?

La Shoah ha una sua verità storica che ormai è fatta di un patrimonio enorme. E nei suoi aspetti sintetici e generali non ha grandi zone d’ombra. Ci sono questioni su cui divergono le opinioni, ma sono soprattutto considerazioni extrastoriche (l’unicità della Shoah o la diversità strutturale di questo genocidio rispetto ad altri, per esempio). Sul versante storico ci sono cose ancora poco chiare o su cui vi sono opinioni diverse (il ruolo dei Consigli ebraici, ad esempio, di cui le vicende contrapposte dei ghetti dei Varsavia e di Lodz sono un chiaro esempio), ma la “verità” della Shoah, intesa come politica di distruzione degli ebrei europei messa in atto intenzionalmente dal nazismo, che ha portato alla morte di oltre cinque milioni di ebrei attraverso stragi, massacri, campi di concentramento, campi di sterminio e gassazione, marce della morte eccetera, ebbene questa nessuno ormai può pensare di metterla in discussione.