di Sbancor

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Dei tanti linguaggi possibili, il linguaggio giornalistico è, fra tutti, il più volgare. Riduce, banalizza, distorce. L’esercizio sistematico della menzogna è la sua caratteristica specifica. Da Emile Zola a Friederich Nietzsche a Karl Kraus, solo per citare alcuni scrittori, l’esecrazione verso l’inchiostro e sopratutto la carta e gli alberi sprecati nell’esercizio della professione giornalistica è unanime e condivisa.
Ma quando si parla di religioni, culture, etnie, si raggiungono livelli inarrivabili di stoltezza. Il peggio che la “professione” può dare.
Avevo cominciato a ritagliare e collazionare i pezzi che mi sembravano più meritevoli di essere indicati al pubblico ludibrio. Alla seconda lettura non c’è l’ho fatta. Ho preso Panebianco, Magdi Allam, Rampoldi, Scalfari e gli altri innominabili e li ho destinati al bidone della raccolta differenziata, indeciso se andassero in quello della “carta” o in quello dei “rifiuti tossici”.

Un titolo mi è rimasto purtroppo impresso nella memoria: ”Romano Prodi: l’Italia è tornata tra i Grandi!”.
C’è tutta l’Italietta fascista, “Donna di Provincia e di Bordello”, se mi è lecito correggere Dante, tutto ciò che mi spinge da tempo non considerarmi “italiano”.
I Grandi sono quelli che giocano alla guerra. I Grandi sono quelli che decidono il destino dei piccoli. I Grandi sono quelli che hanno incendiato tutto il Medioriente e che se continueranno così scateneranno l’ultima, e definitiva, Guerra Mondiale. Vedere D’Alema nei panni di Ministro degli Esteri è già troppo forte per il mio povero stomaco. Ma vedere Prodi in quelli di Cavour nella guerra di Crimea è veramente troppo!
Ma i giornalisti altro non sono che lo specchio di una “politica” altrettanto deforme.
Nulla ci è risparmiato: pacifisti che sfilano (ad Assisi!) a favore “dell’invio dei soldati in Libano”. D’Alema — impagabile — che dice, a proposito del Libano, che lo Stato deve avere “il monopolio dell’uso della forza”, frase che non avrebbe sfigurato in bocca a un capo del servizio d’ordine del Movimento Studentesco della Statale. Mastella che vuole il permesso di sparare. A chi? E infine Bertinotti e il suo partito – che si era dichiarato addirittura contro qualsiasi forma di “violenza di piazza” e difensore accanito della sacralità e inviolabilità delle vetrine dei negozi milanesi — il quale vota a favore di tre, dico tre, missioni militari!
Non è che alla sinistra “estrema”, in quella sinistra a volte dura, ma se non altro sincera e pulita, che si era battuta, da Genova in poi, contro la guerra, le cose vadano meglio. Leggo con orrore sui siti “di movimento” delle vere ovazioni per bande armate che si richiamano a principi e a governi noti per praticare l’omicidio, la pena di morte, la tortura, la discriminazione sessuale, e altre aberrazioni. A teocrazie ladre e assassine che ben figurano al cospetto della Santa Inquisizione e del Potere Temporale dei Papi. Per non parlare dei “supporters” della resistenza irachena, che oggi nessuno sa cosa sia, fra milizie baathiste, sciiti, sunniti e “qaedisti”- qualsiasi cosa questo nome voglia dire — milizie che hanno scelto la guerra etnico-religiosa come forma di convivenza. Ogni tanto ammazzano anche qualche americano. Più raramente degli inglesi, italiani e membri di altre forze della coalizione.
E’ vero, anche Kropotkin e Malatesta litigarono sulla Grande Guerra. Il Russo credeva che l’abbattimento delle autocrazie degli Imperi Centrali giovasse alla Causa. Errico Malatesta diceva essere i proletari fratelli fra di loro, la guerra strumento dei potenti e l’unica guerra ammissibile quella di classe. Aveva ragione il vecchio anarchico italiano. Ma erano tempi assai remoti.
Capisco che la mia epoca sta finendo. Lo capisco dal fatto di non sapere più dove stare e con chi. La solitudine del pensiero è la prima forma del rincoglionimento senile. O della saggezza. Dipende dai punti di vista.
Poi leggo il pezzo di Wu Ming 1 sul Sionismo apparso in Carmilla on line e l’animo torna a rasserenarsi. Un Wu Ming del 1992 è un vino giovane, ma di cui già si intuisce il corpo, la forza e gli impeccabili retrogusti che acquisirà con il passare del tempo.
E il testo mi spinge ad approfondire l’argomento che sta rischiando di rovinare definitivamente la mia prossima vecchiaia: la rinascita aggressiva delle religioni come deriva identitaria, negazione della differenza, razzismo, violenza.

Recupero dal cestino un articolo. E’ un editoriale del Corriere della Sera del 12 agosto di Gianni Riotta.
“La prima guerra globale continuerà per molti anni, con fasi lunghe di combattimento e tregua. Non è guerra tra Occidente e Islam, è guerra dichiarata dalla fazione fondamentalista islamica contro le democrazie e contro ogni comunità musulmana che non condivida il puritanesimo settario Wahhabi.(…) L’offensiva islamista è impegnata dunque su due campi, contro l’Occidente, da Beirut 1983, a New York 2001, Madrid 2004, Londra 2005 e ora Haifa 2006, alla fitna, la guerra civile tra musulmani.”
Vedo Riotta confondersi e non so se lo fa per insipienza, ignoranza o cospicuo fuoribusta passato da oscuri poteri, come già accaduto al suo collega Farina. Sospetto più banalmente abbia preso lezioni di islamismo da Magdi Allam.
Sorge infatti un problema che il Riotta non ha considerato: wahabiti sono quasi tutti i paesi cosiddetti “moderati” del Golfo – a incominciare dalla dinastia dei Saud che fu fondata da Muhammad bin Saud, Emiro della città di Najad nel 1700. Fu qui, infatti, che l’emiro Saud si convertì alla predicazione di Wahab. Ma oggi wahabita è anche l’emiro del Qatar, da cui trasmette Al Jazeera, oltre a quello del Kuwait per cui combattemmo, anche noi italiani, la prima guerra del Golfo.
Poffare! Stavamo aiutando i “terroristi” senza saperlo? Per non parlare del Pakistan, fedele alleato degli americani e gran fornitore di aspiranti kamikaze sulla Piazza di Londra. Anche i “Ceceni”, tanto cari al carcerato nazionale, Adriano Sofri, sono wahabiti. Insomma Riotta da un lato vuole coinvolgere nella Santa Alleanza contro il “fondamentalismo wahabi” i paesi “arabi moderati”, dall’altro non si accorge, o non sa, che questi sono tutti paesi — ad esclusione di Giordania, Bahrein ed Egitto – a maggioranza wahabita.
Primo segnaccio con la matita rossa e blu.

Ma c’è un secondo errore ed assai più grave. Cito ancora testualmente: ” Non riconoscere che la trappola di Hezbollah è scattata con tempismo su mandato di Iran e Siria, guadagna qualche applauso, interessato o ingenuo, ma è sbagliato. La guerra contro Hezbollah è parte dello scontro con il fondamentalismo”.
Errore rosso! L’uso del termine “fondamentalista” a proposito di Iran e Siria, il primo governato da Sciiti duodecimani, i quali credono che il dodicesimo Imam, l’Imam nascosto, sia l’Imam della resurrezione, il Mahdi, il secondo da Sciiti della setta alawhita, che fra l’altro consente l’uso dell’alcool come bevanda, è come confondere la Chiesa Cattolica con i Testimoni di Jeova.
Bisogna conoscere ciò di cui si parla prima di chiamare a raccolta l’Occidente all’Ultima Crociata!
E non del tutto inutile è intendersi sul termine fondamentalismo.
Riotta non lo sa, ma il termine nasce nel mondo cristiano, non in quello musulmano.
Il termine “fondamentalista” deriva da un movimento che investì il protestantesimo americano alla fine dell’ottocento e all’inizio del novecento per reagire contro le interpretazioni troppo modernizzanti e liberali della Bibbia e contro le contaminazioni della religione da parte del pensiero scientifico. Una collezione di dodici volumi intitolata The Fundamentals, scritta da Milton e Lyman Steward nel 1910, ne fornì la definizione. Fra gli elementi determinanti, oltre a una lettura “letterale” della Bibbia e dei Vangeli, il fondamentalismo ritiene che ci si avvicini alla “fine dei tempi” e che il “ritorno di Cristo” sia imminente. Un’intera letteratura è disponibile sull’evoluzione del fondamentalismo cristiano, ma non è questo il luogo per citarla.
Caratteristica dei fondamentalisti è la riaffermazione del valore letterale del testo della Bibbia, presentata come un testo storico che narrava fatti realmente accaduti nel modo esatto in cui erano descritti, e il rifiuto della “pretesa” dei teologi liberali di sottoporre la Bibbia alla stessa analisi e critica testuale a cui erano stati sottoposti gli altri testi classici dell’antichità (e in particolare il rifiuto della cosiddetta “Ipotesi documentale”, che aveva rilevato all’interno del Pentateuco diverse fonti documentali, che aveva denonimato “yahvwiste”, “elhoiste” e “sacerdotali”). In poche parole, il fondamentalismo rifiutava di trattare la Bibbia come un testo paragonabile, analizzabile e quindi discutibile, alla pari degli altri.
Non tutti gli evangelici sono “fondamentalisti” e non tutti i “fondamentalisti” sono “reazionari”, come dimostra ad esempio la Chiesa Valdese in Italia, ispirata a principi di tolleranza che è raro trovare oggi nel mondo politico e religioso.
Dagli anni ’70 in poi abbiamo assistito a una nuova ondata di risvegli religiosi: tecnicamente fondamentalisti. Resta fondamentalista la gran massa dei neri americani del Sud e del Nord, fondamentalisti sono i “red neck” o “poveri bianchi” del Sud e del West. Di origine fondamentalista è il grande “Fuller Seminary” di Pasadena, alla periferia di Los Angeles. Fondamentalista è il Reverendo Moon e la schiera infinita di telepredicatori.
Metà dei 700 milioni di evangelici che vivono nel mondo di oggi sono fondamentalisti.
Dagli anni ’80-90 (Reagan-Bush) il fondamentalismo prende però una spiccata connotazione all’interno della “right wing” americana, supportando attivamente il movimento “neocon”.
E qui avviene un fatto nuovo. Il “fondamentalismo” neocon stringe un alleanza ideale, oltre che politica con un’altra “lobby”: quella sionista e filo-israeliana. Non dimentichiamoci che molti ebrei americani non sono sionisti e alcuni, anche per motivi di fede, sono anti-israeliani

Alla base dell’Alleanza Giudaico-Cristiana stavano corposi interessi militari e strategici. Nel 1967 (Guerra dei Sei Giorni) L’URSS aveva tolto il riconoscimento allo Stato d’Israele e si era guadagnata in un colpo solo la disponibilità di decine di basi aeree arabe sulle sponde del Mediterraneo. La strategia americana di dominare con la superiorità aerea della VI flotta il Mediterraneo era stata annullata da una semplice mossa diplomatica. Ne seguirono tragedie a tutti note, dal colpo di Stato in Grecia, ai tentativi di colpi di Stato in Italia, alla Guerra dello Yom Kippur, fino alla guerra civile in Libano. La difesa delle basi del Mediterraneo era uno degli assi a cui la strategia militare USA poteva sacrificare tutto. Gli Israeliani lo capirono e sfruttarono la situazione. E lo rimane tuttora. Come l’apertura del “terzo fronte” in Libano dimostra.
Ma non banalizziamo tutto in politica: torniamo alla “teologia”.
L’interpretazione “letterale” della Bibbia, più che del Vangelo, applicato al conflitto arabo-israeliano provocò, nel fondamentalismo americano più reazionario, un vero e proprio delirio etnico-religioso. Fra i principi del fondamentalismo cristiano vi è infatti la credenza che il ritorno di Cristo sia vicino: e se Cristo deve ritornare in Israele, mica può ritrovarsi in uno Stato Palestinese mussulmano!

Un anticipatore ottocentesco del neo-fondamentalismo, aveva la sua teoria: nel 1840, Nelson Darby, inglese, scriveva: “La prima cosa, quindi, che farà il Signore sarà di purificare la Sua terra (la terra che appartiene agli ebrei) dai Tiri, dai Filistei, dai Sidoni – in breve da tutti i malvagi -dal Nilo all’Eufrate.” Lo Stato d’Israele diventa dunque necessario al “Ritorno di Cristo in Terra”.
Nel 1994, da un sondaggio dell’U.S. News and World Report (11 dicembre 1994) risultava che sei americani su dieci credevano nella fine del mondo, un terzo entro pochi anni o decenni; il 61% erano convinti che Cristo ritornerà sulla terra e il 44% che, a breve scadenza, ci sarebbe stata la battaglia di Armageddon. Due terzi degli intervistati erano Born again, «rinati in Cristo». Nell’anno 2000, un analogo sondaggio ha dato su per giù gli stessi risultati, con un aumento al 72% dei convinti nella Seconda Venuta di Cristo, mentre il 53% degli intervistati si è detto persuaso che il Terzo Tempio d’Israele sarebbe stato costruito entro pochi anni, al massimo un decennio.
Da qui nasce dunque il concetto, tanto caro al Senatore Pera, di civiltà giudaico-cristiana. Ma sarebbe più corretto chiamarla giudaico-fondamentalista-protestante, visto che i cattolici, se mai si schierarono qualche volta, non fu certo a favore degli ebrei, anzi abbandonarono al loro destino pure i cristiano-maroniti del Libano.
Per chi conosca la storia del cristianesimo è nota la contrapposizione, sin dai primi secoli dopo Cristo, fra la Chiesa di Roma e tutte le “eresie” intinte di giudaismo(come “ebioniti”, “nazirei”, “elcasaiti”, “nicolaiti”). Padri della Chiesa come Eusebio, Ireneo e Origene stigmatizzarono le sette che pretendevano di mantenere nel cristianesimo le tradizioni giudaiche. La Chiesa di Paolo si affermò così nei confronti di quella di Giacomo.
E poi c’è la questione di Gerusalemme, su cui il Vaticano rimane fermo alla posizione espressa nel 1947 dall’Assemnblea delle Nazioni Unite che riservava per Gerusalemme l’amministrazione diretta dell’ONU.
Ma le sottigliezze della politica vaticana non sono pane per i denti dei fondamentalisti dell’altra sponda dell’Atlantico.
Il parere che hanno la maggioranza degli americani sulla politica vaticana è assi simile a quella che Teddy Roosvelt, nel 1912, esprimeva a proposito dell’America Latina: “A mio giudizio, finché questi paesi rimarranno cattolici, la loro assimilazione agli Stati Uniti sarà un compito lungo e difficile”.
Applicata all’attuale situazione mediorientale, una interpretazione “letterale” della Bibbia pone non pochi problemi Vi sottopongo il pezzo seguente tratto da “Numeri 33,50”
“Il Signore disse a Mosè nelle steppe di Moab presso il Giordano di Gerico: «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan, caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture. Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà. (…) Ma se non cacciate dinanzi a voi gli abitanti del paese, quelli di loro che vi avrete lasciati saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi e vi faranno tribolare nel paese che abiterete. Allora io tratterò voi come mi ero proposto di trattare loro».”
Sembra la descrizione di una normale giornata in Cisgiordania o a Gaza. E tanto forte la sua immagine da imporsi come “verità rivelata” o addirittura “profezia”.
Padre Eymerich ne avrebbe scoperto subito il contenuto eretico: la Bibbia narra qui un fatto storico che non può essere tramutato in profezia senza infrangere l’ordine del tempo. Scambiare il passato per il futuro è negare il Tempo, il Tempo appartiene a Dio, come diceva anche il Vescovo d’Ippona – fatto Santo forse con troppa precipitazione – e quindi colui che vuol curvare il tempo ruba nientemeno che a Dio! E inoltre la libera e personale interpretazione della scrittura è peccato ancor più grave negando la funzione apostolica della Chiesa.
Insomma, fossimo nella Spagna del 1300 sulla pelle del fondamentalista cristiano non mi giocherei neanche un bicchiere di amontillado

(CONTINUA).