omen.jpgIL GIORNO DELLA BESTIA (06/06/06)

di Danilo Arona

Non pochi amici, riferendosi alle “Cronache di Bassavilla” pubblicate su “Carmilla”, mi accusano di “ciurlare nel manico” perché, a loro dire, confonderei appositamente la cronaca quotidiana con elementi prodotti dalla mia immaginazione. A loro, nella rubrica odierna che esce in data tanto sulfurea, oppongo affettuosamente che certi prolungamenti non sono esattamente “fantastici”, ma vanno riferiti soltanto all’intuibile punto di vista dei protagonisti delle notizie o tutt’al più, in qualche caso più raro, a un personale tentativo d’interpretazione della realtà. Prendete, ad esempio, il fatto che segue e che ha fatto il giro del mondo nei giorni scorsi, partendo dalla sempre sorprendente Albione:


Gran Bretagna, donna teme di generare diavolo -Vuole evitare di partorire il 06/06/06.
“Non è vero, ma ci credo.” Melissa Parker, 30 anni, di Berks (Gran Bretagna) partorirà il 6 giugno 2006. Una data particolare: 06/06/06 o 666, secondo la Bibbia, è il numero del diavolo. La donna, amante dell’horror, vorrebbe anticipare il parto, per non dare alla luce l’Anticristo. Secca la replica dei medici: “Lasciamo che la natura segua il suo corso. Il bimbo nascerà quando sarà pronto, non importa in che giorno”. La donna, secondo “The Sun”, sta conducendo un vera e propria battaglia per evitare che il figlio nasca in questa data. “Ogni giorno che mi sveglio, sento che accadrà qualcosa di terribile”. A Berks, nel Caversham, Melissa Parker vive giorni pieni di angoscia. In particolare è ossessionata, è il caso di dirlo, da un classico del genere horror del 1976, “The Omen”, in cui il protagonista, Damien, era un bambino posseduto. Le sue notti, secondo quanto rivela al quotidiano inglese, sono popolate da incubi e sogni terrificanti: dare alla luce un figlio del demonio. “Qualunque bambino che nasca in quel giorno sarà segnato per il resto della vita. È una cosa terribile”. Al Royal Berkshire Hospital sono inflessibili. Anche se lasciano aperto un piccolo spiraglio per la futura mamma superstiziosa. “Le date non sono mai sicure al cento per cento”, rassicura un portavoce della struttura.

Che dovrebbe fare uno scrittore? Impadronirsi della verità e farne fiction? Ma no, diamine, l’abbiamo già letta e vista in mille salse, da Rosemary’s Baby ai troppi epigoni de Il presagio. Non racconteremmo nulla di originale. No, la chiave giusta sarebbe quella di entrare nella vita reale di Melissa Parker (Melissa pure lei, accidenti…) e raccontare il mondo per come lo vede e lo percepisce. Se poi oggi Melissa partorisce un futuro serial killer, occorrerà attendere la verifica del tempo. Oppure invece giocare d’anticipo, raccontando una delle possibilità tra le tante che si situano in mezzo alle sliding doors della vita. Di sicuro una che è convinta di portare in grembo Damien ha più possibilità di me di vedere i demoni. E non ha dubbi sul fatto che la sua realtà sia fantastica.
Prendete quest’altra notizia, che risale al marzo del 2005 e che riporta un evento accaduto nelle campagne di Bassavilla:

“Dovevo ucciderlo, era un vampiro”. Il manovale genovese di 32 anni fermato domenica scorsa per l’omicidio di un bracciante agricolo ha confessato. Nell’udienza di convalida davanti al GIP, il manovale ha ammesso di avere colpito alla testa e alla gola la vittima e di averla gettata in un pozzo con le mani e i piedi legati. L’uomo, con problemi di salute legati al consumo di alcol e in cura ai servizi di igiene mentale di Genova, alterna momenti di lucidità ad altri in cui è completamente distaccato dalla realtà. Spesso pronuncia frasi senza senso, confuse. Riferendosi alla vittima, ha detto: “Era un vampiro. Avvicinandosi Pasqua, altri avrebbero potuto soffrire.”

La frase giustificativa, ammesso che si possa definire così, suona antropologicamente coerente. Il riferimento a una Pasqua cruenta, momento di uccisioni sacrificali per puro edonismo alimentare, se viene decontestualizzato dalla delirante percezione del reale da parte del soggetto rischia di diventare argomento di spessore morale laddove ci ha persino marciato, e nel titolo e in un passaggio cruciale del testo, uno come Thomas Harris in The Silence of the Lambs. Questo basterebbe a gettare una luce “diversa” sulla notizia ed è verso questa luce che dovrebbe indirizzarsi lo scrittore. Un suo approccio banale ci dipingerebbe un mondo alla Matheson dove tutti i normali sono vampiri e l’unico Robert Neville della situazione è l’ultimo uomo della Terra che non ha ancora ricevuto il morso mortale. Un tentativo più apprezzabile si spingerebbe a descriverci una realtà — la campagna di Bassavilla — dove centinaia di persone sono disposte a credere ai vampiri, ai ragni giganti o ai fantasmi della strada. Perché centinaia di persone, in cuor loro e senza farne confidenza col vicino, presumono di abitare in una twilight zone e tacciono per non essere prese per “matte”.
E che la realtà sia, a suo modo, fantastica me lo confermano anche alcuni amici del sito www.leggendemetropolitane.net che seguono le vicende di Melissa sin dal suo apparire in rete. Riassumo a uso del lettore le argomentazioni di un recente forum. La discussione oscilla ovviamente fra la definizione della vicenda descritta in “Melissa camminava nel buio” (cronaca n° 3, dove si descrivono tanto il “vero” investimento della ragazza che gli altri quattro “illusori” avvenuti a diversi chilometri di reciproca distanza) in quanto urban legend e l’ambiguo atteggiamento del narratore (io) che sembra aver trovato la maniera giusta e apparentemente nuova per raccontare una vecchia favola di paura. Tra il batti e ribatti, tipico delle discussioni in rete, in cui il gioco “forse” viene scoperto, ecco un’interpretazione “fantastica” che mi manda in sollucchero:

“(La rubrica) si chiama ‘le Cronache di Bassavilla’.. che nel dialetto locale è il dispregiativo di Alessandria per le bufale giganti! (o sospette tali, diamo il beneficio del dubbio!)”

Non importa chi la riporta. Importa ancora una volta il punto di vista. Quando l’apparente mondo reale ti manda un segnale “dispercettivo”, il cervello lavora a suo modo per rimettere le cose “apparentemente” in ordine. E, così facendo, emette un input irrazionale: nella fattispecie, non è assolutamente vero che nel nostro dialetto il termine “Bassavilla” sia un dispregiativo locale per le bufalone, parola di alessandrino purosangue. Non se ne rinviene la minima traccia nei dizionari lessicali né di remota né di prossima memoria. Si tratta di un termine folcloristicamente ignoto la cui origine in questo contesto risale ai primi anni Novanta, quando con l’intento di battezzare una Castle Rock italiana in cui ambientare alcune mie trame, accettai un intelligente suggerimento del mio amico Rudi Marconi che mi consigliò di cambiare il nome di Alessandria in “Bassavilla”.
“Ci sta a pennello”, disse Rudi in quell’occasione. “Si presta a più di un’interpretazione metaforica. E intanto prendiamo in giro quel simpatico allocco di Remo Guerrini che ha ambientato L’estate nera a Vignale, chiamandola Altavilla.”
Tanto Rudi che io siamo amicissimi di Remo e ce lo possiamo permettere… ma il dato è che, se immetti un elemento fantastico – ma verosimile e convincente, soprattutto in grado di soddisfare alcune nostre esigenze primarie e inconscie — nel grande frullatore mediatico, si rischia di creare un effetto “virale” di replica amplificata del medesimo con la partenogenesi spontanea di ulteriori nuclei leggendari che gradualmente vanno a formare una trama articolata quasi sempre posizionata sul confine tra favola metropolitana e mondo reale. Così è per Melissa, per Bassavilla e per la cifra diabolica. Val la pena allora di richiamare (ancora) William Thomas quando scriveva: “I fantasmi non esistono ma sono reali nei loro effetti”. Aggiornando Thomas all’epoca della Rete e del “delitto perfetto” alla Jean Baudrillard, ci scappa di dire che, a furia di creare effetti, oggi (i fantasmi) esistono sul serio e senza tema di smentita. Un immenso Tulpa planetario che nutriamo con le nostre paure e i nostri incubi a occhi aperti.