img739_2.jpgdi Giuseppe Genna

coopergj.jpgIl retro di copertina dell’edizione italiana di God Jr è un insieme di praise impressionante: dal Los Angeles Times, da Michael Cunnigham (che parla dell’autore di Idoli alla stregua di Flannery O’Connor o Céline), di Bret Easton Ellis, di Irvine Welsh. Come se non bastasse, proprio in copertina (di cui quella a destra è una versione reperita in Rete, diversa dall’originale cartacea), sotto il titolo e la dicitura “romanzo”, torna un giudizio di Irvine Welsh, sintetico, e che non ammette repliche: “Dennis Cooper è uno dei più grandi scrittori contemporanei”. Tutto falso. Dennis Cooper era – o, meglio: prometteva di essere – uno dei più grandi scrittori contemporanei americani.

Scrive qui una persona che ha visceralmente amato Cooper prima della fine. Soprattutto Frisk e Ziggy: una letteratura dell’ambiguità (e non di genere sessuale, che sarebbe il primo e più ovvio livello), la dolcezza della violenza e viceversa, agli apici dello stile contratto, raggelante. Da non dormirci sopra.
Con God Jr siamo agli antipodi di quelle germinazioni di capolavori: siamo nella metafisica fai-da-te, quando a farsela è un americano. E siamo alla faciloneria, alla strizzatina d’occhio. Siamo in pieno slalom parallelo insieme a Palahniuk: due che furono grandi e stanno velocemente scendendo la china.
God Jr non è un romanzo ma un racconto lungo spacciato per qualcosa di più: 126 pagine gonfiate a 25.000 lire di prezzo. E’ la storia di un padre che, in un incidente stradale, perde il figlio e non elabora il lutto. Menomato alla spina dorsale e costretto su una carrozzella da cui riuscirà a rialzarsi (senza commuovere nessuno, perché il tutto nasce da un inganno), il padre decide, a partire da disegni che suppone essere stati vergati dal figlio, di costruire in suo onore un mausoleo senza porte né finestre nel giardino della villetta monofamiliare, rompendo le palle ai vicini, a cui vorrebbe strappare qualche metro quadrato di verde pettinato. Egli lavora in una sorta di cooperativa per disabili che realizza abiti per bambini, preferibilmente disegnati dagli stessi. Scopre quindi che il monumento appare in un videogioco a cui il figlio si era votato insieme alla fidanzatina, reale autrice dei disegni. Cominciando dall’ultima partita salvata dal ragazzo, si addentra sempre di più in un delirio identificatorio col protagonista del videogioco (un orso), fino a miscelare realtà virtuale (di ordine massimalista: sia lui sia suo figlio sono scambiati per Dio dalle entità che compongono gli scenari e i livelli del videogame) e realtà vera, dove esplode il lutto e la crisi coniugale con la moglie, la quale subisce un’improvvisa svolta new age.
Raccontato così – e non c’è altro modo di raccontarlo – il libretto di Dennis Cooper sembra la reviviscenza in candeggina del peggio dello scorso decennio: e lo è. La strizzatina d’occhio per cui il massimalismo metafisico abiterebbe nell’appendice, non ancora elevata a cultura tout court e tuttora relegata nella fanghiglia della paracultura, è una cazzata furibonda su cui ancora si spreca tempo a discutere, Cooper in primis. Il massimalismo ha nel frattempo invaso carte da gioco, etere telefonico, comunicazioni via cavo, e si tratta di un massimalismo falso, un’ombra da caverna platonica del massimalismo autentico, di cui soltanto l’arte e la politica – cioè le espressioni fondamentali di una comunità – sono irradiatori. Sulla questione videogame, la chiudo qui: quando un videogame sarà arte – il che, finora, non è stato, risultando soltanto tessera di una cultura pop più vasta – ne riparleremo e certo avremo bisogno di climi narrativi ben più intensi e feroci e profondi di quello in cui ci fa precipitare Cooper, in quel momento.
Ciò che sconcerta, però, è l’incredibile nominalismo da cui è dominato il racconto – un flatus parodistico che, sfortunatamente, non sarebbe calcolato come parodia: il lutto che è parodia del lutto, il lavoro parodia del lavoro, la malattia parodia della tragedia, l’arte parodia dell’arte e, soprattutto, la morte enunciata e svuotata, la parodia della morte. Se quest’operazione fosse consapevolmente condotta con mezzi narrativi di alto livello, avremmo uno svuotamento per troppo riempimento, come per davvero (e non per Cunnigham) accade in Céline. Ma qui siamo alla plastica della letteratura, alla bottiglia accartocciabile per la raccolta differenziata. Per quanto eccessivo e antimoralistico apparisse il Cooper, che so?, di Ziggy, si avvertiva in quella prosa sincopata, ricca di ritmi diversi, un’eccedenza nata da una necessità: pura isteria liberatoria elevata a letteratura. Qui, con God Jr, siamo alle secche del laicismo non laico, e quindi al falso sacro, e quindi in un certo modo a un fondamentalismo di oscura specie, la palude in cui sta affogando quest’incubo dell’immaginario che è stata una certa America: l’America delle bandiere dopo l’11/9 con il segno meno davanti. Intendo: ecco il risvolto debole che si pretende forte – in quanto, a detta di eminenti praiser, qui ci troviamo davanti a un grande – di quel fenomeno che pretendeva di essere forte risultando debole.
La disperazione di Cooper – una disperazione che nasce dall’evidente illusione di avere inventato qualcosa, ma di sapere in qualche angolino della coscienza che così non è – la si coglie perfettamente nelle inutili varianze dei capitoletti da mezza pagina, dagli stacchi bianchi tra una battuta e l’altra. Siamo agli antipodi dell’identificazione che costituisce uno dei fondamenti della Costituzione della Repubblica dei Lettori: il patto coi lettori è qui simulato, e questa simulazione non sta certo nel giochino che divora il plot del libro, ma nel patetismo con cui si cerca di gettare l’amo sin dalle prime pagine.
Chi leggerà God Jr reperirà valangate di atmosfere o trovate in puro stile Palahniuk: il Palahniuk che, anch’egli, fu notevole, quello di Fight Club, Invisible Monster, Survivor – e che ora sopravvive grazie a questi trucchetti che dovrebbero, al massimo, spiazzare cognitivamente, strappare una risata.
Con le ultime produzioni di Palahniuk, God Jr è la lapide posta sulla bara in cui abbiamo seppellito l’avantpop. E’ un trend durato qualche anno, c’è da esserne dopotutto soddisfatti visti i ritmi di invecchiamento di ogni trend, soprattutto per l’uso liberatorio che se ne è fatto altrove, maxime in Italia, dove è anche grazie all’avantpop se certe croste continentali si sono rotte e attualmente stanno facendo fuoriuscire pericoloso magma incandescente.

Dennis Cooper – God Jr – Fazi Editore – 12.50 euro