BLOOD ROAD

di Danilo Arona

BloodRoad.jpgPuntata n° 47, “morto che parla”. Quindi cedo lo spazio a un contributo proveniente dal n° 100 della rivista “Clypeus” (C.P. 604, Torino) che riguarda Bassavilla e, indirettamente (ma quest’aspetto lo scoprirete con il tempo…) Melissa. Questa storia è stata portata alla luce grazie al lavoro certosino di Umberto Cordier, tra i più illustri cronisti italiani dell’insolito nonché presidente della Società Fortiana (Casella Postale 18, Albissola Marina). E’ uno dei non pochi eventi occultati nella cronaca minore di provincia, in grado di dimostrare che la realtà può diventare “fantastica” al di là di ogni convinzione personale.

E’ il 2 marzo 1959, pochi minuti prima delle diciotto, e don Maggiorino Ansaldi, 44 anni, parroco di Bozzole (Casale) in provincia di Bassavilla, si mette in viaggio con la sua Topolino per recarsi nella vicina località di Torre Beretti alla ricerca di un suo conoscente, Armando Cavezzale, con il quale discutere il noleggio di un trattore per il prossimo raccolto.

Verso l’uscita del paese, don Ansaldi carica a bordo un suo amico, Oreste Baldi, anche lui alla ricerca di un trattorista. In breve tempo l’automobile raggiunge la strada provinciale Alessandria-Pavia e imbocca il rettilineo per Torre Beretti. Pochi istanti dopo, don Ansaldi vede davanti a sé il trattore in questione guidato dal conoscente che sta cercando, anche lui diretto a Torre Beretti. Lo supera e gli fa segno di fermarsi sul bordo della strada. Quindi inverte la direzione e ripassa accanto al trattore per arrestarsi qualche decina di metri indietro.
Seguito dal Baldi, il sacerdote scende dalla macchina e si avvicina al Cavezzale, mettendosi quindi a chiacchierare appoggiato sulla parte posteriore del mezzo agricolo, dov’è collegata una trivella.
I tre sono immersi nella loro amichevole discussione quando una 500 proveniente da Bassavilla piomba — non vista e non sentita — sul trattore. Come ciò possa accadere, resterà per sempre inspiegato: sono circa le 18,30, la visibilità è ottima, la strada sgombra e il fondo stradale asciutto. Il conducente della 500, quando potrà essere interrogato, dichiarerà di essersi schiantato senza accorgersene. Nemmeno il Cavezzale, sbalzato dal terribile urto sul prato vicino, sarà in grado di fornire una spiegazione dell’accaduto. I primi soccorritori che sopraggiungono sul posto — al chilometro 42,600 della strada, sul confine fra Piemonte e Liguria – si trovano di fronte ad uno spettacolo atroce. La 500, impennatasi per l’urto, è finita, contorta, oltre il trattore; in essa, gravemente feriti, giacciono il conducente e un altro passeggero. Don Ansaldi si trova nello spazio tra i due veicoli, disteso a terra, bocconi, con il torace e la testa sfondati, in un lago di sangue, morto chiaramente sul colpo. Accanto a lui, ormai in fin di vita, l’amico Oreste Baldi. Caricati su automobili in transito, il Baldi e il passeggero della 500 muoiono prima di raggiungere l’ospedale.
Soltanto dopo l’intervento del Procuratore della Repubblica di Vigevano è possibile rimuovere il cadavere del sacerdote: il corpo però rimane almeno tre ore sull’asfalto, immerso nel suo sangue e in quello del Baldi che gli stava accanto. Durante questo tempo né piove né si verifica alcunché di anormale. Nessuno getta sul cadavere sostanze di alcun genere. La benzina e gli altri liquidi defluiti dalla 500 si sono riversati parecchi metri più in là, mentre il trattore non ha subito alcuna perdita di carburante. Dopo la rimozione del cadavere del sacerdote, mani pietose provvedono a gettare della terra sopra tutto quel sangue che le ruote delle automobili in transito hanno trasportato per un centinaio di metri oltre il punto dell’incidente.
Il pomeriggio successivo il cantoniere Giuseppe Ferrini si decide a pulire l’asfalto. Raschia la terra imbevuta di sangue e lava lungamente la strada con lo straccio e molti secchi d’acqua. Ma, con immenso stupore, deve constatare un ben strano fenomeno. Nonostante i molti tentativi di pulizia, sulla strada inizia a delinearsi l’“ombra” di don Ansaldi, dapprima una macchia incerta, vagamente contornata che si confonde nella grande chiazza rossastra disegnata da tutto il sangue perduto dal sacerdote e dal suo amico. Poi, col trascorrere dei giorni, l’impronta assume contorni sempre più nitidi e consistenti.
La notizia inizia a circolare in Lomellina e viene riportata da diverse fonti di stampa (“La Gazzetta del Popolo”, “Gente” e “Oggi”), con la testimonianza dei cantonieri in servizio su quel tratto di strada: “Abbiamo fatto di tutto per cancellarla, e più volte abbiamo lavato l’asfalto con acqua e detergenti di vario genere. Le tracce di sangue sono venute via tutte, ma l’impronta di don Ansaldi no. Più si tenta di levarla e più diventa nitida, almeno questa è l’impressione che abbiamo noi. E pensare che, oltre a tutto, vi sono ogni giorno centinaia di automezzi che vi transitano sopra. Ma non c’è niente da fare”.
L’ombra venutasi a creare sull’asfalto ha un aspetto, a dir poco, sconcertante, perché riproduce esattamente una figura umana, stesa bocconi, con la testa ripiegata leggermente sulla destra, il braccio destro curvato verso l’alto fino a congiungere la mano con il capo e il sinistro, leggermente arcuato, disteso lungo il corpo… Proprio la stessa posizione nella quale, per oltre tre ore, è rimasto sulla strada il cadavere insanguinato del sacerdote, con la testa rivolta verso il centro della carreggiata e i piedi che sfiorano il margine. I giornali ne pubblicano alcune fotografie, ma i testimoni oculari affermano che l’impronta, vista sul posto, risulta davvero impressionante. Il fenomeno desta grandissima emozione in tutta la zona, dove don Ansaldi è già da tempo notissimo per il suo attivismo, le sue opere di pietà e soprattutto per la sua immensa fede religiosa.
Nato a Ceresio Monferrato da una modesta famiglia di agricoltori, ultimo di sette figli, aveva manifestato ben presto la sua vocazione religiosa ed era entrato giovanissimo nel seminario di Casale Monferrato. Nel 1941 era stato ordinato sacerdote; dopo avere trascorso alcuni anni come viceparroco nella chiesa di San Domenico a Casale, era stato nominato nel 1944 parroco di Bozzole. Qui era apprezzato da tutti, anche dai suoi avversari per le tante iniziative benefiche.
Logico quindi che ovunque, a Bozzole come nelle tante fattorie di campagna, si gridi al miracolo: molti si recano sul posto per inginocchiarsi in preghiera, e c’è persino una madre di Torre Beretti che tenta di far camminare sulla macchia il figlio paralitico. Un’anziana di Bozzole afferma di avvertire uno strano formicolio quando vi pone i piedi. Il vicario generale della Diocesi di Casale, monsignor Carlo Debernardis, prende comunque posizione contraria a questa devozione spontanea. Resta il fatto che non viene trovata una soddisfacente spiegazione del fenomeno. Ancora oltre due mesi dopo l’incidente, la sagoma è visibilissima sulla strada. Verranno diligentemente condotte analisi su campioni di asfalto e si concluderà che la macchia non può essere stata prodotta da sostanze in qualche modo identificabile.