GRANO ROSSO SANGUE

di Danilo Arona

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Le campagne che circondano Bassavilla farebbero schiattare l’Eraldo Baldini dall’invidia. Qui siamo popolati da streghe, cascine infestate, orchesse che infestano i fossi (la Splorcia), rituali agresti dinanzi ai quali impallidirebbero Stephen King e Thomas Tryon (defunto da tempo e pallido da par suo — ma quand’è che lo riscoprite?), statali maledette, castelli con fantasma, sobborghi misteriosi non segnati dalle carte (Retorto dove ci dicono nacque Giacomo Crosa) e delitti irrisolti. Ne parleremo, se il tempo e l’Alzheimer non ci ostacoleranno.

Per la cronaca odierna optiamo per un dramma del quotidiano all’apparenza uscito dal teatro dell’assurdo. Ma le campagne del basso Piemonte tante volte diventano più surreali del set baviano di Terrore nello spazio. Intanto, per chi non lo conosce, occorre presentare l’attore principale: lui, il cannoncino anti-storno. Che, se non lo avete mai udito, siete gente fortunata. Perché averne uno nel raggio vitale di tre chilometri (vado a occhio), significa rasentare la vera pulsione omicida e sognare di trasformarsi nel “canaro” della Magliana, provare per credere.
Queste diavolerie, illegali per definizione, sono per l’appunto dissuasori sonori, usati dai contadini che intendono salvaguardare i loro prodotti coltivati: regolati da un meccanismo a tempo che rilascia, con emissione di gas (GPL o metano), un fragore paragonabile al colpo di un cannone, tali apparecchi disturbano più gli umani degli uccelli che spesso vengono colti a scagazzare sulle bombole di gas adiacenti, a pochi centimetri dunque dal rumore che dovrebbe farli fuggire in preda al terrore.
Per loro specifica natura tecnica, i cannoncini sono più udibili a una certa distanza che non nelle immediate vicinanze e il meccanismo, cadenzato e regolare, del timing — regolato di solito alla cadenza di un minuto! – provoca anche inconsciamente in chi è costretto a subirne gli effetti gravi reazioni ansiogene che in breve tempo portano a una situazione di estremo stress. Se in queste campagne incontrate contadini sciroccati, con lo sguardo perso nel vuoto e una roncola sporca di sangue, potreste aver sfiorato un dramma gotico rurale provocato da uno di questi aggeggi. Che a volte non vengono neppure spenti con il calar delle tenebre, perché ci sarà un paesano quadro dal cervello fino che vi spiegherà che il maggior pericolo per le giovani spighe del grano o le pere autunnali — giusto per rompere i coglioni da maggio a ottobre — è rappresentato dagli uccelli notturni, noti predatori dei campi transgenici.
Quanto capita una notte del maggio 2005 a un ferroviere quarantenne che abita (“beato lui”, dicono i suoi amici) nelle pianure alessandrine infestate dagli storni e di conseguenza dai cannoncini anti-uccello, si colloca in questo scenario. Alle 23, più o meno, il nostro si sdraia per dormire, ma una volta che la sua stanza piomba nel buio, il soffocato rumore di uno sparo proveniente dall’esterno riesce a perforare il doppio vetro dalla finestra. Sulle prime non ci fa caso, ma dopo una decina di minuti il timing del colpo si è agganciato a qualche zona dell’ipotalamo e non c’è verso di dormire. Abitando in campagna, già conosce tristemente il botto del cannoncino, ma non era mai successo che lo si usasse di notte. Fa qualche esperimento con improvvisati tappi nelle orecchie, grumi di cotone e cera fusa nei padiglioni, ma nulla funziona: la detonazione, secca e implacabile, risuona nel cervello e ti annichilisce, rendendo inutilizzabili Tavor, Prozac e melatonine. Allora il nostro — che si chiama Bernardo — si veste e decide di andare a scoprire con il favore del buio da quale campo proviene lo sparo, giusto magari per interloquire con l’eventuale proprietario.
Esce. Per quanto stellata e appagante, la notte gli sembra minacciosa. Si pone all’ascolto per capire l’esatta direzione del fragore. E si mette in cammino, costeggiando la strada ferrata, cosiddetto ramo secco della linea Alessandria- Ovada. Non può far altro che camminare perchè in macchina sarebbe disturbato e fuorviato dal rumore del motore. Così marcia per quasi tre chilometri e, una volta giunto dinanzi al campo incriminato, si lascia guidare verso l’immondo oggetto proprio dal colpo che periodicamente squarcia la notte.
Attorno, nel raggio di un chilometro, ci sono tre o quattro cascine e Bernardo si chiede come là dentro riescano a dormire. Già, ma lui è solo un ferroviere. Il contadino basso-piemontese è figlio di un mondo arcaico e misterioso dove il botto di un cannone si presenta con la stessa intensità del peto di una formica. Però, Cristo, lui deve dormire e allora si lascia guidare dalla sua giusta e incontrollabile rabbia. Prima chiude la manopola che alimenta il gas, poi strappa furiosamente il tubo di alimentazione. Infine assesta un poderoso calcio con la suola dell’anfibio allo strambo oggetto che continua ad ansare per qualche secondo prima di spegnersi in mezzo alle zolle umide.
Torna indietro, Bernardo, ben consapevole che non dormirà più, tra eccitazione e adrenalina a spasso per l’organismo. Ma il messaggio a quei gundun di contadini dementi domattina arriverà chiaro: fate dormire i cristiani che lavorano dodici ore al giorno, anche se purtroppo questa notte trascorrerà insonne fra inaspettate passeggiate notturne e gli spogliarelli di Eva Henger su qualche TV locale.
Il giorno dopo: lavoro, mensa, lavoro, occhiaie e alito al fiele. Un aperitivo a fine turno al bar davanti la stazione. Una pizza con una sua amica poliziotta con cui tenta di avere una storia, e l’inconfessato sospetto che sta subendo il fascino della divisa e della pistola. Quando torna a casa in macchina, manca poco a mezzanotte e sta rimuginando che nell’immaginario erotico della sua generazione è avvenuto un corto circuito: una volte le infermiere sexy rappresentavano il massimo dell’eccitazione, adesso tocca alle poliziotte. Divisa, autoreggenti, il manganello… arrrrgh!
Il malefico botto del cannoncino antistorno gli ha frustato l’orecchio proprio mentre sta scendendo dall’auto con l’immagine di Gloria, così si chiama la sua ispettrice Callaghan, che sta facendo uno strip solo per lui togliendosi a poco a poco pezzi di divisa. Non è possibile, è una provocazione, lo stanno facendo apposta, non vogliono farlo dormire. Ma lui deve dormire, ha già saltato una notte.
Non ci vede più. Afferra una mazza da baseball che tiene in garage e sale di nuovo in macchina. Questa volta non ci andrà a piedi a quel campo maledetto. E tra pochi secondi ridurrà in poltiglia quell’aggeggio infernale.
Soltanto che — lui non lo sa e non arriva di certo a immaginarlo — in quel campo lo stanno aspettando. Sono in due: padre e figlio, contadini, di quelli che non hanno orari né bandiere, il corrispettivo piemontese della famiglia americana di Faccia di Cuoio. Uno impugna una roncola, l’altro un falcetto. Vogliono rendere la pariglia a chi ha osato attentare al sacro cannoncino antistorno, sacro guardiano del sudato lavoro, sicuri che il perfido timing dello scoppio riporterà il vandalo sul loro campo. E così è. Lo vedono avvicinarsi nella penombra di sbieco illuminata dai fari dell’auto con una grossa mazza in mano. E allora è legittima difesa. Ed escono allo scoperto, andandogli contro.
Qualcuno sibila “bastardo”. Falcetto, mazza e roncola calano su ossa e carne, guidati dalla rabbia, dalla paura e dalle frustrazioni quotidiane. Nel buio nessuno parla più: solo ansiti, urla strozzate, grugniti. Sono bestie. Ed è un macello degno del Signore delle Mosche. Quando i carabinieri arrivano sul far dell’alba su segnalazione anonima, trovano Bernardo ancora caldo, ma morto da poco, la testa sfondata a colpi di roncola. Il più vecchio degli assalitori ha la faccia irriconoscibile per i fendenti della mazza. Il più giovane, col naso rotto e il muso rientrato perché colpito dalla bombola, sostiene che uno sconosciuto ha aggredito lui e il padre mentre piazzavano il cannoncino. Un pazzo, dicono.
Il “canaro” della Magliana, tal De Negri, uccise, dopo averlo torturato a lungo, un ex pugile che lo tormentava in mille modi. Il tipo, per capirsi, proprio se la cercò quando giunse a uccidere il cane del De Negri. Il “canaro” lo torturò nei modi più impensabili prima di ucciderlo. Un poliziotto ebbe a dichiarare: “Abbiamo visto di tutto. Teste mozzate; donne fatte a pezzi e bollite nei pentoloni del sapone; cadaveri martoriati e poi carbonizzati; giovinastri con i piedi murati nel cemento e gettati nel lago. Ne abbiamo viste di tutti i colori, ma una storia come questa non ci era mai capitata.”
C’è un punto di rottura in ognuno di noi. I cannoncini del gotico rurale che infestano le campagne di Bassavilla sono in grado di arrivarci. Molti “canari” escono nottetempo perché qui attorno le notti sono senza regole, con paesi senza più stazioni dei carabinieri e rapine con stupro eseguite nel silenzio e nell’isolamento. Bassavilla è ovunque, ma Bernardo non era un “canaro”. Voleva solo dormire.