di Alberto Prunetti

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Dalla padella alla brace: alla pubblicazione “artigianale” delle prime copie di Teglie di rabbia, nel settembre 2000, seguì la mia partenza per l’Inghilterra, dove ho soggiornato per quasi un anno e mezzo, lavorando in svariate cucine. Non ho voglia di tediarvi troppo con il racconto delle mie vicissitudini culinarie nella terra degli Angloni e dei Sassoni. Vi dirò in breve che il tratto paradossale del mio servaggio nelle cucine non si è certo affievolito: a Bristol cercavo lavoro nelle pizzerie italiane e a momenti venivo arruolato nella malavita locale; nel Dorset ho lavorato come pizzaiolo in una pizzeria di finti italiani: turchi che utilizzavano il loro aspetto mediterraneo per vendere pizze a un prezzo più alto.

Il turco assumeva di tanto in tanto degli italiani veri, per esigenze di credibilità, ma era stanco: gli italioti lo avevano picchiato con un prosciutto di Parma, avevano saccheggiato a nome suo i negozi circostanti, gli insidiavano la figliola. Io poi bevevo troppo vino, e l’occhio di Allah che mi guardava da sopra il forno non aveva certo un aspetto rassicurante. Avrei voglia di scrivere a proposito di questi eventi, perché sono davvero bizzarri, ma temo di diventare un grafomane. Mi limito soltanto a riportare un estratto da una sorta di quaderno di appunti che tenevo in quei giorni. Il passo è estrapolato da alcune note che presi durante un breve corso di formazione per lavoratori alimentari, un corso di due ore che mi valse il food and health certificate, titolo accademico molto ambito in Inghilterra. Ecco cosa scrissi nei miei appunti:

“Tra tutti i fottutissimi germi noi inglesi temiamo specificatamente i famigerati Pathogenic bacteria, avvezzi a ogni crudeltà e capaci di atterrare chiunque con vomiting, nausea e soprattutto diarrhoea; inquieta anche l’attività di quel degenerato del clastridium perfringens, un terribile sovversivo che lavora in cellule organizzate su base territoriale e gode dell’appoggio logistico del botulinum, capace di produrre difficoltà respiratorie e pulsioni innominabili anche al più assennato pastore anglicano; e che dire dell’inquietante Staphylococcus Aureus, che agisce in maniera subdola dopo sei ore dal pasto, o del sedicente Bacillus cereus, gli echi della cui propaganda danno dolori addominali e nefande curregge, per non parlare poi dell’Escherichia Coli, esperta in arti marziali, o del Campylobacter, un individualista che si infiltra nel corpo dell’inconsapevole deglutitore e dopo 4 giorni di incubazione produce insurrezioni di vomito e mitragliate di cacarella. Pertanto devonsi ingollare solo cibi debellati da esperti di profilassi.”

Io scrivevo appunti di tal fatta, forse deformando un po’ le cose, come faccio al mio solito. Certo ora vi chiederete quali sostanze assumessi in quei giorni. Ammetto che per un periodo ho lavorato in una cucina che non aveva nulla da invidiare a quella di un penitenziario californiano. Dunque c’ero io, un hooligan, un drug dealer, un vicecuoco di Singapore esperto in arti marziali e droghe pesanti, più un ladro di macchine londinese, il più criminale, che venne arrestato per un line-up (confronto all’americana) ancora con il grembiule ai fianchi.
Poi c’era Jim, il mio preferito, che con me costituiva la parte pensante della banda, un attore radiofonico quasi settantenne che aveva avuto un trauma celebrale e adesso, molto vecchio e pervertito, lavorava nelle cucine delle mense scolastiche solo per dire porcate terribili alle ragazzine in uniforme scolastica.
Usava una tecnica teatrale raffinatissima: con il cucchiaio in mano serviva delle minestre disgustose, fissava poi i corpi delle bambine e diceva loro con voce da orco: “piacieeere”, mentre una goccia di sudore scivolava da quei cigli folti e cadeva nel piatto della collegiale con onde circoncentriche. Puzzava come un vecchio capro e si portava una maglietta con la sindone delle sue eiaculazioni. E’ a lui che sovente tornano i miei pensieri: un saluto a te, Jim, che conoscevi l’Amleto a memoria e cantavi Rossini, che toccavi il culo a grandi e piccini… sarai sempre il mio eroe.
Che team che eravamo… anche le agenzie di lavoro interinale avevano paura di mandarci degli inservienti: ci voleva un curriculum criminale di chiara fama per essere accettati. Eravamo maestri d’ogni arte culinaria, in particolare brillavamo per la unauthorised abscence, misconduct e incompetence, ma ci facevamo onore anche nel lack of application. Certuni preferivano il theft, vale a dire il latrocinio, ma tutti eccellevano nel fighting e nel serious damage to company property, la distruzione dei beni della ditta. Nel campo dell’immagine aziendale eravamo da copertina, evidenti maestri per disonhesty e afflitti da intoxication by means of drink, mentre alle relazioni pubbliche con clienti e fornitori offrivamo tutto il calore della nostra violent, dangerous and intimidating conduct.
Poi qualcosa si è rotto. Qualcuno ha perso la testa, troppe droghe e troppe botte. Ci fu un giro di vite padronale, iniziarono i licenziamenti. Quanto a me, me ne tornai in Italia. Ho fatto il pizzaiolo ancora per qualche mese in Italia, sempre con il disgusto più pieno per l’ambiente. Poi mi sono licenziato di nuovo per fare il manovale in campo ippico. Adesso credo che mi toccherà presto, perché, al solito, sono al verde.