otroshenko.jpgdi Vladislav Otrošenko
[da “Didascalie a foto d’epoca”, traduzione di Mario Caramitti e Bianca Sulpasso, Voland, € 12]

Quando le basette di zio Semёn s’incendiarono, lui decretò il lutto nella casa, ordinò di stendere del satin nero su tutti gli specchi e indossò un abito nero con il collo di raso e un tale puzzo di naftalina che tutte le zanzare e le mosche che si trovavano in casa volarono via all’istante.
A sera inviò a tutti i fratelli dei telegrammi con identico testo:

METTITI SUBITO IN MARCIA, FIGLIOLO. UN FUOCO INFERNALE HA DIVORATO LE MIE BASETTE.
SEMËN MALACHOVIČ.


1099922914Didascalie.jpgNon era il più anziano degli zii, Semёn, né le sue basette superavano per lunghezza quelle degli altri: Porfirij Malachovič, il maggiore degli zii, aveva le basette fino alle spalle, e lui stesso era così enorme che attraverso talune porte faceva fatica a passare. Semёn però aveva preso l’abitudine di chiamare figlioli tutti quanti gli zii, forse per il fatto che viveva e faceva da padrone di casa là dove tutti loro erano nati, oppure perché Annuška, che aveva messo al mondo gli zii, amava lui più di ogni altro.
A detta di zio Semёn, lei l’aveva partorito di nascosto da Malach, e difatti mai e poi mai avrebbe potuto essere suo padre quel tronco scimunito e incartapecorito, che sulla faccia della terra non aveva saputo far comparire null’altro che abomini come zio Porfirij, o porcheriole del tipo di zio Iosja, che Annuška, vuoi per svampitezza, vuoi per compassione della sua penosa macilenza, continuava a chiamare “il mio più piccolino”, infondendo in quelle innocenti paroline un pizzico di indulgente tenerezza. Paroline che suscitavano in zio Semёn un’irrefrenabile indignazione. Bastava che Annuška le pronunciasse, facendo per un qualsiasi motivo riferimento al povero zio Iosja, per far precipitare zio Semёn in una vera crisi convulsiva. Si fermava all’improvviso nel mezzo della camera e assumeva una posa affranta e pietrificata, come gli avessero calato sul collo una mazza di piombo. Rimaneva lì immobile, ruotando furiosamente i limpidissimi occhi azzurri, del colore del ghiaccio di gennaio sulle gronde, finché lo sdegno che gli attanagliava la gola non arrivava a impossessarsi della lingua, sciogliendosi in elocuzioni inaudite.
“O vecchia ignobile!” esplodeva zio Semёn, rovesciando la testa all’indietro e stendendo freneticamente le dita nell’aria. “O baldracca melliflua!” continuava dopo una breve pausa, ricercando l’intonazione più adatta per la sua veemente tirata, pronta ormai a scaturirgli dal petto, senza più il freno degli indugi che disseminava ad arte un mai sopito istinto istrionesco. “Quante volte ancora dovrò ripeterti, femmina scellerata, chi, quando e in quale successione è saltato fuori a onta del Creato dal tuo ventre mai sazio!”
Di quale onta discettasse zio Semёn non c’era modo di capirlo. Nessuno ormai metteva più in dubbio che proprio lui, tra tutti gli zii del mondo, fosse atteso con trepidazione dal Creato quando, come un recluso in cella, languiva nel ventre di Annuška, introdottovi non per capriccio del caso, come tutti gli altri zii, ma per volontà stessa della Provvidenza, e che il Creato avesse esultato quando infine, nei tempi stabiliti, si erano spalancate innanzi a zio Semёn le porte misteriose della carne, e che miriadi di stelle nelle sterminate distese cosmiche avessero fatto eco con bagliori di giubilo al primo grido di zio Semёn tra le pareti della dimora di Malach. Ma cosa avessero a spartire con il Creato gli altri zii e in che modo l’avessero offeso, mai zio Semёn si era degnato di spiegarlo.
La nascita di zio Semёn era stata contrassegnata da molteplici segni e prodigi. L’anno in cui era nato, nell’enorme casa di Malach era crollato all’improvviso, nel cuore della notte, un muro nella parte settentrionale, rivelando una camera della quale nessuno sospettava prima l’esistenza. Si trattava di una vasta sala esagonale, con un parquet scintillante e pareti imbiancate di fresco. Al soffitto faceva bella mostra un lampadario di bronzo dorato e vetro multicolore, nuovissimo e senza un briciolo di polvere, che assomigliava a una corona rovesciata. In seguito proprio sotto quel lampadario Semёn avrebbe pronunciato i suoi monologhi e le furenti arringhe, rivolgendosi costantemente ai tredici angioletti paffuti che lo stesso Malach aveva scolpito sul soffitto della sala: pargoli ricciuti con piccole alette che descrivevano un gioioso girotondo attorno al lampadario; si tenevano tutti per mano e si lanciavano allegramente in volo, formando quel cerchio ininterrotto che, come spiegava ai suoi innumerevoli generi e nuore il sapiente zio Serafim, meglio degli altri edotto sul significato recondito degli atti e delle parole del loro genitore, era il “un’allegória dell’unità” di tutti e tredici gli zii.
Gli angioletti erano i più fedeli e pazienti ascoltatori di zio Semёn. A volte li chiamava diavoli fetenti e gridava che avrebbe fatto a pezzi col martello tutta la loro putrida congrega se non avessero smesso di sorridere col sorriso idiota di Malach, che quello a bella posta aveva impresso sui loro volti, perché i farabutti potessero farsi beffe dei discorsi di zio Semёn. Ma in taluni momenti zio Semёn non mancava di mostrare tenerezza verso i putti. Asseriva, indicandoli, che presto sarebbe arrivato il Giorno del Risveglio Universale. E allora, continuava zio Semёn, volgendo sugli angioletti occhi turgidi di dolce commozione, allora questi pargoli cari e gioiosi, i più puri tra le creature dell’etere, si riscuoteranno dal loro torpore e, distendendo le ali nivee, coi volti nitidi e sfolgoranti, se ne andranno in giro per il mondo ad annunciare quanto hanno udito da zio Semёn in questo squallido buco, dove niente e nessuno ha mai compreso l’ardore dei suoi sentimenti, la nobiltà delle sue aspirazioni e dei suoi progetti, né i discorsi sul sublime Amore Fraterno, e racconteranno a tutti dell’infima pochezza degli zii, venuti al mondo solo per ingrassare tra gli alveari, come zio Porfirij, o per ammuffire in qualche maleodorante pompa di benzina, come zio Iosja. No, gridava zio Semёn, tutto scosso dalla propria eloquenza, mai potranno innalzarsi fino all’Amore questi emblemi ambulanti della ripugnante lascivia senile di un demente semivivo, che ha osato collocare il suo fetido seme là dove era stato riservato il posto esclusivamente a lui, zio Semёn.