obrien150.jpgdi Masolino d’Amico

Una biografia di Patrick O’Brian uscita poco dopo la morte dello scrittore, avvenuta all’inizio del 2000, ha cercato di imporre anche come personaggio il misterioso autore di venti romanzi marinari che finora hanno venduto otto milioni di copie in tutto il mondo, ma più che a rinvenire interessanti fatti da raccontare è servita a smentire i pochi che si conoscevano e che O’Brian aveva divulgato su se stesso. Patrick O’Brian, si apprende, non era irlandese, non era mai stato a Oxford, e non aveva mai pilotato un areo nella Seconda Guerra Mondiale.

Era inglese e si chiamava Richard Russ, nono figlio di un medico che aveva abbandonato la prole dopo la morte della moglie e dopo avere subito un rovescio finanziario. Richard Russ, che era nato nel 1914, crebbe, si sposò, ebbe un impiego e due figli. Ma a un certo punto svanì nel nulla: piantò in asso coniuge, figlio maschio e figlia femmina, con l’aggravante che quest’ultima era in fin di vita, per dedicarsi alla carriera di scrittore, stabilendosi nel sud della Francia. Durante molti anni di lui si persero le tracce, quando comparve il primo volume della saga ne aveva già ben cinquantacinque.
Da allora la sua fama si sparse lentamente ma tenacemente, dimostrando, in anticipo su quanto avvenuto da noi con le trasmissioni televisive della Coppa America, l’enorme presa che il mito del mare può avere in un mondo che si va urbanizzando sempre di più. Gli ammiratori di O’Brian, in massima parte di sesso maschile e adulti, non sono tutti appassionati di acqua salata né marinai più o meno dilettanti, ma grazie a lui scoprono di esserlo. Quando O’Brian morì la New York Review of Books gli dedicò un tributo attraverso la penna nientemeno che di David Mamet, ossia dello scrittore più metropolitano e meno ecologico che possa venire in mente.
Di che parlano dunque i venti romanzi? Sono, tutti, imperniati sulle avventure di due amici, Jack Aubrey, capitano della Marina militare inglese, e Stephen Maturin, medico e chirurgo di bordo, uniti oltretutto dall’amore per la musica – Bach, Boccherini, Locatelli, Scarlatti, eseguiti in cabina con violino e violoncello. L’epoca è quella delle guerre napoleoniche, verso la fase finale (1812), e l’ambiente, perlomeno nella maggior parte dei volumi, il Mediterraneo, percorso in lungo e in largo. Ciascun libro narra un episodio, spesso senza una vera conclusione.
Per esempio, in gran parte di Duello nel Mar Jonio, forse il migliore dei sette-otto che ho letto, non succede quasi niente: la nave di Aubrey è addetta con molte altre ad aspettare che la flotta francese esca dal porto di Tolone dove si è assestata, ma questo non avviene mai, e finalmente il capitano, dopo aver tentato invano di partecipare a qualche azione e dopo qualche screzio con l’Ammiragliato, viene inviato in una zona dell’Impero Ottomano con la missione di ostacolare i tentativi francesi di formare un’alleanza. Qui la vicenda culmina con un altro non-avvenimento, quando la nave di Aubrey si trova faccia a faccia col nemico, ma in campo neutro e avendo ricevuto l’ordine di non aprire il fuoco per prima. Siccome anche i francesi hanno ricevuto un ordine analogo, i due schieramenti si limitano a guardarsi in cagnesco.
Non è sempre così, si danno anche battaglie, e tempeste, e naufragi, e tradimenti, e travestimenti (talvolta di battelli interi, che si avvicinano battendo false bandiere), e persino amori (ma le donne hanno parti abbastanza subordinate). Tuttavia la specialità di O’Brian non è il fatto, bensì tutto quello che è a monte e a valle del fatto, vale a dire proprio le cose che i romanzieri storici tradizionali non ci hanno mai raccontato: i dettagli di vita quotidiana, le complicazioni della burocrazia, le sordidezze della politica, il modo di ragionare di quei tempi, ma soprattutto, e incomparabilmente, tutto quanto riguarda la navigazione a vela e la routine a bordo di un vascello d’epoca.
Nessuno come O’Brian ha mai riprodotto la sensazione che si doveva provare dormendo nelle amache sottocoperta dove centinaia di uomini spesso arruolati a forza sono stipati nel tanfo; mangiando alla mensa ufficiali dubbi manicaretti ricavati con quanto resta in cambusa dopo settimane e settimane lontani da terra, innaffiati da un Porto deplorevole; indossando le scomode divise di rappresentanza e magari rovinando un polso ricamato col tuffarlo nel piatto comune di un anfitrione musulmano che non fornisce le posate.
La sensazione più convincente di tutte, ben nota a chiunque abbia navigato a vela, è comunque quella dell’attesa perenne, interrotta da qualche momento di entusiasmo, di solito di breve durata. Il vento latita, o non è quello giusto, oppure è quello giusto, ma nel momento sbagliato, o magari gira sul più bello, o ancora, ordini intempestivi impediscono di sfruttarlo a dovere; i tempi di avvicinamento sono lenti, la caccia ad altre navi, difficilissima e ben di rado coronata da qualche successo. L’attività di un combattente come il capitano Aubrey è così una serie di frustrazioni, anche se talvolta l’adrenalina ha modo di sfogarsi in conflitti feroci proprio perché sono rari.
Contro questo sfondo così realistico, tra suoni che sembra di avvertire (il vento, il perenne scricchiolio della casa di legno…), agiscono, in ogni caso, personaggi interessanti, a partire dai protagonisti. Seguendo uno schema classico e infallibile (Don Chisciotte e Sancho, Holmes e Watson), O’Brian ha inventato una coppia formata da Aubrey, concreto, duro, energico, grandissimo professionista, e da Maturin, intelligente, svagato, colto, comicamente e incorreggibilmente inetto in navigazione, ma con un suo fondo misterioso (svolge attività di spionaggio per gli inglesi).
Mi dicono che nel film Master&Commander la sua figura è ridimensionata a beneficio della star Russell Crowe e mi auguro che non si sia esagerato in questo senso. Ma poiché di libri qui si sta parlando, aggiungerò che la serie è pubblicata in Italia dalla Longanesi con cure eccezionali, le ottime traduzioni di Paola Merla essendo corredate dalla supervisione di Pier Maria Giusteschi Conti, autore in appendice di un ricco glossario di termini nautici. Vedi, che so, «Tarozzo». «Tarozzo: gradino della biscaglina. ma anche asta metallica che in prossimità delle bigotte concorre a tenere le sartie alla distanza prestabilita e quindi primo gradino delle griselle». Non vi fa sognare?

[da La Stampa]