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La Piccola Biblioteca Oscar Mondadori ha appena pubblicato un volume di straordinaria importanza: Guerra alla Guerra. 1914-1918: scene di orrore quotidiano. Ne è autore il polacco Ernst Friedrich (1894-1967), militante libertario e antimilitarista, obiettore di coscienza durante la prima guerra mondiale, costretto per questo al manicomio, al carcere e infine all’esilio.
Non si tratta di un romanzo, bensì di una serie di agghiaccianti fotografie provenienti dai fronti del conflitto ’14-’18: morti, feriti, mutilati, vittime di decimazioni e rappresaglie. Il progredire del raccapriccio è graduale: al seguito di un ideale battaglione di interventisti, sul genere di quello di All’ovest niente di nuovo, passiamo dalla retorica iniziale ai primi feriti, a mucchi di cadaveri, a un’allucinante immagine di donne impiccate nei loro abiti contadini, fino all’orrore degli orrori: le immagini di chi è tornato dal fronte recando sul corpo terribili mutilazioni, di quelle che spingono a rimpiangere di avere evitato la morte. Salutiamo l’uscita di questo libro – autentico evento – proponendo la bellissima introduzione di Gino Strada.
(V.E.)

INTRODUZIONE
di Gino Strada

Krieg dem Kriege! – Guerra alla guerra – viene pubblicato per la prima volta in Germania nel 1924. L’opera di Ernst Friedrich esce dieci anni dopo l’inizio di quella che Isaac Deutscher definì la «guerra civile europea»: un lungo periodo in cui, a partire dal 1914 e per più di trent’anni, i popoli dell’Europa e poi del mondo intero conosceranno una escalation di violenza senza precedenti nella storia dell’umanità.

Negli anni in cui Friedrich lancia il suo grido di denuncia, quando apre a Berlino il suo museo fotografico contro la guerra, non siamo infatti in un dopoguerra, “il primo”.
La guerra non smette in quei decenni di essere l’unica fede, lo strumento principe: i governi “democratici” di Francia e Inghilterra non esitano ad aggredire la neonata Russia bolscevica, rea di avere “firmato la pace” con la Germania; fioriscono le dittature fasciste, dall’Ungheria, alla Spagna, all’Italia; in un Paese dopo l’altro, nell’Europa del “dopoguerra”, regimi autoritari massacrano decine di migliaia di cittadini. Le classi dominanti ricorrono a ogni sorta di violenza per tenere a bada i grandi movimenti popolari che, nati in opposizione alla guerra, chiedono pace e lavoro.
L’Europa è piena di militarismo, di odio: quando esce Krieg dem Kriege!, eserciti e polizie segrete, squadre di assassini e formazioni paramilitari sono in guerra, ciascuno contro i cittadini del proprio Paese.
Ci si sta preparando a una guerra ancora più devastante, e Friedrich lo sente, con grande lucidità: «L’ultima guerra, la più terribile, che sputerà gas, veleno e fuoco su uomini, animali e case, non è ancora scoppiata».
E quell’ancora esprime la previsione, ma non la rassegnazione. Ernst Friedrich, ebreo berlinese anarchico e pacifista, è insieme profetico – in quanto coglie i sintomi di una tragedia che ogni giorno si fa più incombente – e propositivo: indica nel rifiuto morale della guerra e nell’obiezione di coscienza l’unica possibilità di alternativa, per evitare la catastrofe, e insieme l’unica possibilità perché la “coscienza” dell’umanità possa sopravvivere e affermarsi.
E invoca la disobbedienza civile, soprattutto quando si appella alle donne: «Non lasciate che i vostri uomini vadano al fronte. […] Attaccatevi al collo dei vostri mariti e non lasciateli partire, nemmeno quando arriva la carto lina di precetto!». E ancora: «Divellete i binari, gettatevi davanti alle locomotive!».
Friedrich ben sa che, in quegli anni, “il posto degli obiettori di coscienza che si rifiutano di diventare assassini” è la forca. Sa che non c’è spazio, al di fuori del “o con noi o contro di noi”. Ma continuerà la, sua “guerra alla guerra”: arrestato dai nazisti, riuscirà a fuggire in Belgio, e poi ancora in Francia, senza mai smettere di lottare. Anche quando la temuta guerra «che sputerà gas» sconvolgerà l’Europa e il mondo, e l’umanità si ritroverà, infine, nel baratro di Auschwitz e di Hiroshima.
Ma Krieg dem Kriege! non è un saggio sulla guerra, è una raccolta di fotografie della guerra. Che pagina dopo pagina mette davanti ai nostri occhi – con la violenza che solo le immagini possono trasmettere – realtà che raramente vengono fatte vedere, che “non si possono far vedere” per non turbare le coscienze anestetizzate.
E che ripropongono verità scomode e censurate. «La classe dominante» ebbe a dire nel 1916 il leader socialista americano Eugene Debs «ha sempre dichiarato le guerre; la classe sottomessa ha sempre combattuto le battaglie.»
Ed è la moltitudine di questa “subject class” – che si tratti di soldati mandati a massacrare e farsi massacrare al fronte piuttosto che di civili inermi -a riempire le pagine del libro di Friedrich. Sono loro che pagano le conseguenze delle decisioni di monarchi e generali, di dittatori e presidenti: vittime, spesso carnefici, in tutti i casi “carne da cannone”, esseri umani spendibili, usa e getta, per soddisfare quella che lo stesso Debs definì «la sostanza» di tutte le guerre combattute nella Storia, cioè «la conquista e la rapina».
Così scorrono le immagini della guerra, di questo nuovo Leviatano che ogni giorno divora umanità, sempre più forti, raccapriccianti, spesso “insopportabili”.
Distruzioni, fosse comuni, esecuzioni, esseri umani uccisi dalle bombe e dalle granate, dalle mine e dalla fame: uno spaccato dei dieci milioni di morti neH”‘atto primo” della guerra civile europea, del grande macello in cui il presidente Woodrow Wilson decise di trascinare anche gli Stati Uniti nel 1917 «to end ali wars», per porre fine a tutte le guerre.
Una menzogna, alla quale seguiranno altre menzogne.
Alla fine dell'”atto secondo” – nel quale spariranno altri quaranta milioni di esseri umani – un altro presidente usa, Harry Truman, ebbe la sfrontatez-za di dichiarare: «II mondo noterà che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare. Questo perché volevamo evitare per quanto possibile l’uccisione di civili».
Menzogne disgustose, raccontate e fatte digerire ai cittadini del pianeta ogni volta che si è voluto giustificare, “spiegare” un nuova guerra, cioè un nuovo crimine contro l’umanità.
Un’abitudine che diventerà una costante nel resto del “secolo breve”, e che segna anche l’inizio del terzo millennio: dalla guerra per far finire le guerre alla guerra per far finire la pulizia etnica – la guerra “umanitaria” -fino alla “guerra contro il terrorismo” e alla guerra preventiva.
Nel crescendo di barbarie che oggi sconvolge la società “globale” è indispensabile costruire il consenso alla guerra con una gigantesca operazione di “lifting”, di cosmesi da attuarsi grazie all’uso sistematico dei mezzi di “informazione”: non solo diffondendo notizie false – le “armi di distruzione di massa” dell’Iraq ne sono l’ultimo esempio, per ora – ma cambiando semplicemente il senso alle parole.
Così l’aggressione di un Paese sovrano diventa un atto di “pace”, così un’invasione si trasforma nel “portare libertà” o instaurare “democrazia”. Così terroristi confessi, ladri, spie e assassini diventano improvvisamente presidenti, così l’occupazione di un Paese, e l’uccisione sistematica di molti dei suoi abitanti, viene definita “missione umanitaria”.
Anche in questo sta l’importanza dell’opera di Friedrich, nel togliere la maschera dell’ipocrisia e della menzogna per ridare alle parole il loro significato, nel mostrare il vero volto della guerra.
E lo fa presentandoci i volti della guerra, le facce delle vittime, che restano l’unica verità della guerra stessa. Volti sfigurati, terribili, quasi grotteschi, come quelli che appaiono nell’ultima parte del libro. Fotografie raccapriccianti, durissime.
“Perché far vedere queste cose?” si potrebbero chiedere in molti. Ce lo siamo chiesto anche noi negli anni passati, riguardando molte foto di pazienti scattate nei vari ospedali di Emergency in zone di guerra, tragicamente simili a quelle del libro di Friedrich. E abbiamo deciso, anni addietro, di non farle vedere.
Oggi, quando la guerra è osannata e proposta – ancora una volta – come farmaco di prima scelta per i mali del mondo, è forse giusto che “certe cose” si vedano, perché non è più dato saperle, perché decine di migliaia di esseri umani vengono fatti a pezzi – nel colpevole e razzista silenzio dei mezzi di informazione di proprietà dei nuovi “signori della guerra” – e catalogati semplicemente come “effetti collaterali”.
Spero che siano in tanti a non fermarsi di fronte al legittimo ribrezzo che nasce da molte di queste fotografie, ad andare avanti pagina dopo pagina, sopportando la nausea.
Credo sia necessario, perché ogni volta che qualcuno propone, esalta, pratica la guerra sta precisamente, deliberatamente scegliendo di trasformare la faccia di un uomo in un mostro informe, sta scavando nuove fosse comuni nelle quali rischieremo di finire tutti.