di Biagio M. Catalano

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Avantieri, nel torpore del dormiveglia pre-serale, ricevo un’email da un caro amico (cattolico e polemico al punto giusto; si, noi sporchi atei ci degniamo di dare certe confidenze…), il quale scriveva verbatim: “Invece di scrivere le solite pagliacciate contro la chiesa, perchè non ti cimenti a commentare le sconcezze degli ultimi giorni, a proposito della querelle Bonolis/Striscia?”. Troppa grazia: cui prodest? Non mi passava proprio per la mente, commentare cose del genere, il cui fine e il cui movente sono oltremodo chiari, perlomeno a chi sa ben vedere; credo ci sia di ben meglio di cui occuparsi, quanto a cose serie, sebbene il caso in questione potrebbe assumere risvolti ben seri, dato che si tradurrebbe in termini di contenzioso legale, poichè “pare” sussistano gli estremi di truffa ai danni del consumatore…

Tra l’altro, parlandone dovrei per forza di cose far entrare in ballo la gestione del CDA RAI, che, come sappiamo, è infiltrata da noti osservatori romani… Ergo, onde muovere ad una disamina obiettiva sul caso, dovremmo giocoforza prendere atto delle mozioni di fondo, che convergono sulla politica di produzione RAI; come dire, chi è causa del suo mal, pianga sè stesso.
Non possiamo negare che la pessima routine (che tale è) di programmazione dell’emittente – a tutti gli effetti – di stato è dovuta a delle scelte che penalizzano l’appetibilità: osservando gli indici di share e soprattutto i conti della RAI, possiamo notare che da un lato i primi segnalano una prevalenza dettata soprattutto da fattori noti, quali il radicamento dell’emittente nel tempo, piuttosto che dalla qualità di quanto proposto, mentre i secondi… beh, sono direttamente proporzionali a quest’ultima. La gente, in parole povere, continua a seguire di prevalenza “mamma RAI” semplicemente perchè ci è affezionata – e per il fatto che, visto che la paghiamo, tanto vale “goderne” la pur misera contropartita -, anche perchè il generale livello della TV italiana (e qui gli inglesi hanno ragione) è essenzialmente penoso, sia nel campo pubblico che in quello delle tv private, che quantomeno si contraddistinguono per qualche coscia al vento in più, probabilmente grazie al fatto che nei loro CDA non si registra la pressione dell’utile bigotto di turno. Donde lo zapping continuo, che ci porta, volenti o nolenti, ad approdare sui canali di stato a sorbirci l’ennesima puntata della d’Eusanio, della Carlucci o – non sia mai – di Vespa. Tutto calcolato.
Voglio dire, oggi la tv non la guarda quasi più nessuno; perlomeno i giovani preferiscono uscire, andare al cinema, disco, divertirsi, videogiochi, star fuori insomma – come da sempre -. La mancanza d’interattività, che allo stato attuale delle cose non potrà essere sopperita da nessun digitale terrestre, e che è già concausa di abbandono in Italia nei confronti della televisione, penalizza il mezzo; e non potrebbe essere altrimenti, dato che esso è quello che è. Non è un pc, che comunque dal canto suo non è una tv.
Per quel che riguarda il contenuto, ad es. in America esistono, tra l’altro, canali specializzati (da HC a Discovery a TvC e svariate altre centinaia di canali tematici), nei quali, salvo sorbirsi pubblicità oceanica, perlomeno si trasmette informazione a target e sicuramente più interessante di quella italiana, salvo lo spettacolarismo glamour coatto proprio degli americani (a me è indigesto: ad altri non so…). Ma si dirà, la portanza d’introito dei colossi americani non può essere minimamente paragonata a quella della tv italiana, nè è possibile puntare sul metter su networks specialistici tipo Discovery; direi, piuttosto, che il problema risieda a monte, quindi il giro vizioso si chiude sulla gestione, poichè sarebbe perfettamente fattibile fare televisione dignitosa senza scadere nel bigotto o eziandio nel triviale, senza penalizzare la qualità nè il bilancio.
Ma tutto ciò è cosa banale: chiusa la parentesi introduttiva, entriamo quindi in medias res. Sarò blando, poichè non è campo mio ma onorerò la gentile richiesta, e sintetico, anche perchè la vicenda è oramai nota più o meno a tutti. Anche per questo non mi periterò di scadere a tratti nel becero (è inevitabile, dato l’argomento): tutto il resto, è noia.

P. s.: mi scuso per evenutali errori in romanesco, non è il mio dialetto natìo.

Cronaca di una crisi annunciata: ovvero, “che s’ha da fa’”…
La RAI non è più quella dei tempi del Pinocchio di Comencini; non so se dire che è meglio così, parlando della necessaria evoluzione dei gusti, o peggio, riguardo al fatto che qualcuno, vuoi per mera bigotteria vuoi per recupero dei valori “compromessi” dal “modernismo” (non so se mi spiego), desidererebbe attuare un revival dei tempi d’oro sia nei concetti che nell’animo. Anacronismi, lo so; e grotteschi, specie se coatti. Piuttosto, compromesso è andato lo stile, che non può essere recuperato, a meno di non adattarsi ad effettuare una politica di reversione dei gusti dell’utente medio, o di riportare indietro la società ai tempi in cui un Celentano poteva provocare un’interrogazione parlamentare solo per aver dato le spalle al pubblico. Nell’impossibilità di mettere in atto il primo punto (perlomeno, non senza una buona dose di follia: ma si sà, i vaticanoidi sono capaci di tutto), è più placito che si tenti di puntare sul secondo: la concorrenza è spietata, i gusti sono cambiati sensibilmente. Occorre adattarsi, alla faccia di Spencer (non Bud/Pedersoli; Herbert…).
Trovo oltremodo vergognoso, quanto sta accadendo a proposito dell’affaire Striscia/Bonolis: non per parteggiare per qualcuno in particolare (non me ne può fregà de meno, personalmente), ma tutto ciò travalica nei limiti del cagnesco di cortile. Per un pugno di euri. Beh, proprio “un pugno” proprio no: diciamo, qualche centinaio di miliardi delle vecchie lire, tanto vale la fascia oraria nella quale gravitano i due programmi concorrenti.
In che modo, mi chiedo, riuscire ad invogliare la gente a guardare le mie trasmissioni, nell’èra del DVD, di internet, del satellitare? Risposta: con programmi interessanti, divertenti, stuzzicanti, in tutti i sensi. Ne convengo: il mio quasi omonimo Massimo Catalano (nome omen?), quello dei bei tempi di Quelli della notte, non avrebbe potuto essere più lapalissiano, ma… c’è un “ma”. Che genere di programmi? Cosa può mandare in onda, la RAI? Tiriamo a indovinare, partendo da una tipologia a caso: programmi per adulti? Perchè no; il sesso è il motore del mondo. Certamente, sarebbe un’ottima idea, ma non è il caso neppure pensare al soft, figuriamoci altro, dato che, a parte la preclusione di certe fasce, a quello già ci pensa certa editoria specializzata (contro la quale però ci si scaglia, sempre da parte dei soliti noti): sarebbe di cattivo gusto, e diseducativo. Vi avevamo dato le Kessler, di che vi lamentate? Qui concordiamo, tutt’al più: il problema, casomai, è che il porno esiste poichè esiste anche il taboo, senza il quale probabilmente non avrebbe alcun gusto. Peraltro, la volgarità è già di casa, nell’etere italiano: perchè mai aggravare la cosa con la nudità? E come conciliare la gnocca con Ruini? Anatema!
Volevate le fictions? Accidenti, ancora un’altra?! E basta! Me fanno tajià! Va bene, niente fictions: è già sufficiente “Qualcosa è cambiato”…
Proponiamo allora roba culturale? Potrebbe essere una buona idea, ma c’è già Piero Angela: vuoi mettere, con Discovery Channel o TechTV? Seriamente parlando, senza nulla togliere al grande Piero (mostro sacro e pioniere dell’informazione scientifica dell’etere, oltrechè eroe emerito del CICAP, così scettico di fronte a Sindoni e amenità varie; difatti, pare compaia sempre meno in tv, di questi tempi…), non c’è un’utenza così interessata alla cultura, in Italia: o sarebbe meglio dire, alla fine la gente si stancherebbe, di palinsesti zeppi di cromosomi e galassie. Ogni tanto ci vorrebbe qualcosa di meno impegnativo, ad esempio – tanto per essere originali – della sana, “prosaica” (avete indovinato) gnocca; si, ma quella è già preclusa dal punto uno…
A questo punto, scommetto che io e voi saremo sintonizzati entrambi come per magia sulla medesima risposta: i giochi a premi! Ma è l’uovo di Colombo (non il famoso tenente: l’omonimo e meno noto navigatore genovese, quello che scoprì l’America…)! Certamente: che vi par, non l’ho trovata? Bravo, bravo in verità! Chiaro, i quiz, come le lotterie, sono il sogno ricorrente dell’italiano medio moderno, angariato da mille problemi quotidiani e sempre pronto a lamentarsi nei confronti di uno stato perennemente in diastole. Fatece sognà!
Ma un momento: facciamoci quattro conti veloci veloci. Per battere la concorrenza, che, contando su un volume pubblicitario esorbitante, può permettersi di erogare certe somme, e – nell’impossibilità di copiare certi contenuti – dovendo far fronte a vari programmi similari, dovremmo usufruire di un gettito superiore a quello già decurtato dai pagamenti onorati ai pezzi grossi dello spettacolo che, per far fronte sempre alla medesima concorrenza, abbiamo strappato a quest’ultima per portarli nelle nostre reti. Mettiamo: ho già un Amadeus e un Frizzi che distribuiscono soldoni a destra e a manca, ma come fare nel caso di giochi “originali”, tipo quello di Bonolis, nel quale vincere non è questione di bravura o cultura, bensì di chiappe divaricate? E gli sponsors scarseggiano: c’è la crisi, pochi comprano, meno ancora investono in pubblicità. Perlomeno nelle mie reti, così scadenti, bacchettone, artefatte…

La calunnia è un venticello… ovvero, la congiura dei disuguali
Non ci trovo nulla di male, ad ingaggiare delle comparse onde assolvere a problematiche (gravose) del genere, pur perchè, se non si vincono premi in danaro – ecco il dilemma frommiano -, si perde il mordente e l’audience; quel che trovo orripilante è quantomeno la mancanza d’accortezza, o forse l’ingenuità, nel non riuscire “furbi” e oculati al contempo. Se esistesse un articolo che sanziona il reato d’inavvertenza, questo sarebbe proprio un case-study esemplare: come quello del giudice del paese dei Barbagianni collodiano. Se poi quelle comparse sono talmente stupide da cantarsela… Beh, vuol dire che meritate la berlina.
Voglio dire, passi per il caso di Bonolis, il quale oramai può appellarsi a tutte le supposte che vuole, eziandio sgamato è e rimane contro prove direi incontrovertibili; ma che dire del marasma di Frizzi, alle prese con una “concorrente” medium, capace di “indovinare” il contenuto di una data scatola (un altro pacco…) prima ancora di aprirla? Che dire delle torbide manovre, qualche tempo fa, di un Giucas Casella, addobbatore pallinaro “paragnosta” – ahò, l’avemo visto in cinque miglioni! – beatamente dissimulato dalle prospere grazie della Venier (capisco; quasi ci riusciva, a sviare l’attenzione. E se fosse stata la Weber…)? Santa Lucia Annunziata, facce o’ miracolo? Il CDA è stato reimpastato: non è più tempo di miracoli, dei tre magi è rimasto solo Gasparri. Poi, è assolutamente inutile minacciare chiusure, censure, sequestri e querele, minimizzare gradualmente la cosa fino ad estinguerla nel dimenticatoio del vago, fare appelli e contrappelli sulla buona fede, parlare di “scherzi” et similia. Dovrà pagare Ricci, per cosa? Per aver denunciato notabilia oramai sospette da tempo come segreti di pubblico dominio, e qui ampiamente documentate?
No: il caso Bonolis non potrebbe essere la spallata che abbatte il gigante dai piedi di coccio. La RAI ha problemi enormi, direi leviatanici, dovuti soprattutto alla sua politica contaminata dall’apporto “ideologico” di elementi allogeni; a quelli di sempre, ora si aggiunge e si riconferma quello della credibilità, ma non crollerà comunque. Magari, se si fosse trattato di qualche altra azienda, le cose si sarebbero poste su altri termini. Ergo, credo sia più onesto ammettere subito l’evidenza di “qualcosa”, e apportarne le motivazioni (per quanto poco giustificanti; ma l’utente potrebbe capire), sottoponendosi al giusto ludibrio momentaneo (perchè in fondo non si è rubato niente a nessuno; niente di concreto, intendo), anzichè dar adito a speculazioni a lunga strada vieppiù controproducenti. Buonsenso, prima che onestà; e prima, non col tempo.