di Gian Paolo Serino

amadoricover.jpgberluscaserio.jpgC’è qualcuno in Italia che ha capito il vero pericolo che il nostro Paese sta correndo: il delinearsi non di un nuovo regime, ma di una dittatura democratica che sta trasformando la vita politica in uno spettacolo. Più che un regime è un Reame. Di questo e di molto altro tratta il libro di Francesco Amadori Mi consenta (pp. 165, € 12,50, Edizioni Scheiwiller) che, come recita il sottotitolo, indaga sulle “metafore, i messaggi e i simboli” attraverso i quali Silvio Berlusconi ha conquistato il consenso degli italiani. Amadori – direttore del Dipartimento Ricerche motivazionali dell’Istituto CIRM, presidente di EUREKA!, società specializzata in corsi di formazione alla creatività e alle tecniche di comunicazione- è tra i pochissimi saggisti capaci di comunicare con un linguaggio lontano dai contorcimenti accademici: non a caso affianca alle proprie cariche istituzionali un’ampia esperienza di autore televisivo avendo collaborato a numerose trasmissioni nazionali ed essendo stato il supercampione di “Superflash” di Mike Buongiorno nel 1985.

Alla conoscenza teorica, quindi, aggiunge un’esperienza diretta dei meccanismi comunicativi di massa. Proprio per questa sua peculiarità abbiamo deciso di incontrarlo in un dialogo via mail che, a nostro avviso, aggiunge moltissimi spunti non solo per capire le capacità politiche di Berlusconi, ma per comprendere che il vero pericolo viene da una Sinistra che anziché arginare la strategia della finzione ne amplia la potenza evocativa.

Nell’introduzione a “Mi consenta” l’editore sottolinea che questo libro analizza il linguaggio e la comunicazione “vincente” di Berlusconi attraverso il metodo delle ricerche qualitative di mercato: analizza non i numeri, ma i meccanismi psicologici che spingono le persone a “credere” e a “comprare” qualcosa. La premessa è già inquietante: il confine tra credere e comprare è sempre più labile…

Credo che Lei abbia proprio centrato il tema. Uno degli aspetti sorprendenti della moderna società “edonistica” (o “edonica”, come preferiscono chiamarla i semiologi) consiste proprio nella progressiva riduzione della distanza fra “credere” e “comperare”. Cadute le ideologie, i “grandi sistemi”, i macro-valori, l’individuo tende sempre di più a rifugiarsi nelle singole scelte personali, nei micro-sistemi, nei “piccoli” valori. E’ restio a “credere”, preferisce “acquistare” un’idea, valutando poi caso per caso se l’acquisto fatto è stato o meno valido. Ecco perché anche la politica sta utilizzando il marketing, non solo in Italia: perché le idee non si vendono più da sole, e in massa, ma bisogna aiutarle ad essere comperate, da specifici “target”. Concordo con Lei che si tratta di un fenomeno se non proprio inquietante, sicuramente pericoloso. Ma è inutile “stracciarsi le vesti”: piuttosto è meglio cercare di capire e di provvedere.

“Mi consenta” nasce dall’analisi di “Una storia italiana”, inviato lo scorso anno da Berlusconi a tutti i cittadini italiani: la critica l’ha snobbato come fosse una fanzine da villaggio turistico, Lei invece assegna un ruolo chiave a questa pubblicazione…

Sono fermamente convinto che la verità si manifesti sempre nelle pieghe degli eventi e delle persone. Sono i piccoli gesti, i lapsus, a rivelare il nostro carattere. Gli “atti minori” sono spesso molto più rivelatori degli “atti maggiori”, e ciò vale per gli individui come per le organizzazioni. Se un sociologo del futuro volesse capire il “costume” del nostro tempo, dovrebbe prestare molta più attenzione ai dati sui consumi di Viagra e di prodotti per l’estetica che al linguaggio della Costituzione. Il piccolo svela il grande, il dettaglio parla del tutto. Sulla base di questa semplice logica mi sono immerso nello studio di “Una storia italiana” con la massima serietà. Come un sociologo del futuro che si trovasse per le mani dei tabulati attestanti che, poniamo 400 anni prima, gli Umani sviluppavano consumi incredibili di uno strano “eccitante sessuale”… Più seriamente, se un politico tira milioni e milioni di copie di un opuscolo, vuol dire che per lui quell’opuscolo è una faccenda appunto seria. Vuol dire che quell’opuscolo porta davvero il “suo” messaggio.

Un’importanza basilare nella comunicazione vincente del “sogno berlusconiano” è la fiaba, moderno surrogato dell’utopia…

Sì, la trovata davvero geniale di Silvio Berlusconi è stata quella di traslare al linguaggio della politica il linguaggio della fiaba prima, e della fiction dopo. Nessuno ci aveva pensato prima, negli ultimi 50 anni. Se non ci sono più ideologie, non possiamo più “credere”. Alla “verità” si sostituisce il “sogno”. La versione “realistica” del sogno è la fiaba. La politica allora, da dispensatrice di “verità” che era, diventa “venditrice di sogni”. Non solo in Italia, si badi bene. Per fare un esempio completamente diverso, in Russia Vladimir Putin sta facendo esattamente la stessa cosa.

Più che di regime, quindi, sarebbe più corretto parlare di reame…

Sì, è vero. Quello che Silvio Berlusconi sta costruendo, psicologicamente parlando, è una sorta di reame fiabesco. Una specie di Camelot in versione Arcore. Un luogo dell’immaginario, dell’inconscio, in cui un grande e giusto Re, con l’aiuto della sua fidata squadra di cavalieri, affronta e risolve i problemi del mondo. Vincendo sempre, implacabilmente. All’Utopia si è sostituito il Sogno, all’ideologia la “deriva onirica”. È come se l’inconscio collettivo italiano stesse regredendo verso una fase neo-infantile, in cui dominano le pulsioni primarie, in cui il principio del piacere ha il sopravvento su quello di realtà. Sia come sia, la comunicazione berlusconiana gioca volutamente, e sapientemente, sulla dimensione fiabesca. Nel reame berlusconiano, come nelle fiabe, si presentano continuamente nuovi problemi. Però nel reame berlusconiano, come nelle fiabe, per definizione tutto finisce bene. Ogni fiaba che si rispetti presenta il problema e la soluzione del problema, e lo fa nell’unico linguaggio accessibile ad un bambino: quello della fantasia. E nel reame berlusconiano il linguaggio con cui ci si rivolge all’elettore è proprio quello della fantasia.

Nel capitolo “La democrazia dei sondaggi” Lei sottolinea i pericoli di una democrazia “in diretta”. “La costruzione del consenso”, cito Walter Lippman, non è però una innovazione berlusconiana. Che novità ha apportato Berlusconi?

La novità di Berlusconi, rispetto agli altri teorizzatori della costruzione del consenso, consiste a mio parere nel cambiamento di codice linguistico. Le tecniche di costruzione del consenso sono note da decenni, se non da secoli. Anche nei sistemi di derivazione sovietica si cercava di “costruire il consenso”. Ma lo si faceva utilizzando troppo un linguaggio pseudo-realistico. Berlusconi è stato il primo a credere nelle potenzialità di un netto cambiamento linguistico nei processi di costruzione del consenso. È stato il primo che ha, lo ripeto, portato il linguaggio dei desideri dell’uomo comune al centro del discorso politico. Negli altri processi di costruzione del consenso l’Utopia, il Modello, veniva dall’alto. Nel caso di Berlusconi invece l’Utopia viene dal basso, è proposta dagli stessi cittadini nei termini del loro linguaggio. Per questo l’uso dei sondaggi è così importante per Berlusconi. Non si tratta solo di verificare come la pensa la gente, ma di attingere al “serbatoio semantico” della popolazione, per poter appunto trasformare i desideri dell’uomo comune in Utopia politica. Diciamo che il sondaggio è per Berlusconi che gli consente di guardare, attraverso un metaforico “buco della serratura”, direttamente nell’inconscio collettivo degli elettori.

In qualche passaggio evidenzia diversi punti in comune tra l’ascesa al potere di Hitler e quella di Berlusconi: ai più sembrerà un parallelismo come minimo azzardato…

Chiariamo subito che si tratta di un parallelismo puramente metaforico, e quindi per certi versi indubbiamente azzardato. Il berlusconismo è un approccio economico alla politica, e come tale ha bisogno di una società ricca ed evoluta. Nulla di più lontano dalla società irregimentata e iper-controllata dei vari “ismi” del ventesimo secolo (a cominciare appunto dal nazismo). L’elemento di somiglianza fra Hitler e Berlusconi sta solo e soltanto nel fatto che entrambi hanno creduto nella forza dell’irrazionale nella comunicazione politica. Hitler è stato un grande maestro di “seduzione ipnotica”, un vero e proprio “incantatore di serpenti”. Berlusconi è un grande comunicatore, e la sua grandezza sta nel fatto che cerca di parlare più all’inconscio delle persone che al loro livello razionale. In questo, e solo in questo, Hitler e Berlusconi si assomigliano.

Ci sono anche diverse analogie tra il “Contratto con gli italiani”, stipulato nel 2001 da Berlusconi, e il “Contratto con il popolo tedesco” sottoscritto nel 1933 da Hitler: “Il governo nazionale nell’arco di quattro anni spazzerà la miseria. Nell’arco di quattro anni eliminerà la disoccupazione. A questo colossale compito di risanamento della nostra economia, il governo nazionale unirà l’attuazione di un piano di risanamento dello Stato, delle regioni, dei comuni. In tal modo l’assetto federativo dello stato diverrà vigorosa e solida realtà. I partiti marxisti e fiancheggiatori del marxismo hanno avuto 14 anni a disposizione per dimostrare la propria capacità. Il risultato è un campo di rovine. Concedete a noi quattro anni e poi giudicherete”.

Indubbiamente il contratto con gli italiani di Silvio Berlusconi assomiglia moltissimo al contratto con i tedeschi di Adolf Hitler. Ma si tratta pur sempre di una somiglianza di “stile seduttivo” più che di sostanza. Nella Germania debolissima di Weimar, le parole di Hitler suonavano come la promessa di un sogno. Nell’Italia ricca e per molti aspetti viziata del 2001, le parole di Berlusconi hanno avuto il sapore di una promessa di trionfo del principio di piacere sul principio di realtà. In sostanza sia Hitler sia Berlusconi hanno saputo parlare efficacemente all’inconscio collettivo dei loro popoli. In questo, come ho già detto, i due leader certamente si assomigliano.

Molti sociologi — da Noam Chomsky a Neil Postman- sottolineano che la propaganda è in democrazia ciò che il randello è negli stati totalitari…

Su questo parallelismo sarei prudente. C’è una profonda differenza tra il randello degli stati totalitari e la propaganda delle democrazie. La differenza sta nel fatto che il randello non è desiderato dai destinatari, la seduzione comunicazionale invece sì. La propaganda non è un randello, nelle ricche democrazie occidentali semmai è più simile ad una droga, ad una sostanza psicotropa. L’alcolista desidera con tutte le sue forze l’alcool, il fumatore cerca il fumo, il depresso anela ad un farmaco che gli tolga la depressione, il bambino non può fare a meno di desiderare ciò che gli piace. L’elettorato-Peter Pan vuole la propaganda, esattamente come il bambino vuole il cartone animato.
Per restare al “reame”: nel libro sottolinea, citando Furio Colombo, che l’essenza del berlusconismo è di “saper parlare al bambino che è in noi…”
L’idea di fondo del libro è che al crescere del livello economico di un paese cresce anche il suo orientamento al principio di piacere piuttosto che a quello di realtà. Più ricchi siamo, più vogliamo emanciparci dalla realtà, più vogliamo vivere di desiderio anziché di realismo. Nelle società ricche nessuno vuole più invecchiare, nessuno ammette che le risorse sono limitate, che la povertà esiste, che la vita può anche essere diversa da uno spot pubblicitario. Ci comportiamo come se fossimo immortali e come se il centro dell’universo fossimo noi. Questo è esattamente il punto di vista del bambino. Berlusconi lo ha capito e usa i “codici del bambino” per comunicare con l’elettorato. Anche per questo è stato capace di un successo appunto politico senza effettivi paragoni nella storia delle società moderne.

Senza troppe dietrologie da simbolismo esoterico è però quantomeno inquietante che il simbolo di Canale 5 sia un Biscione con un fiore in bocca: all’origine di quel simbolo al posto del fiore c’era un bambino…

Personalmente sono convinto che Berlusconi, nel suo inconscio, abbia proprio il desiderio di riaffermare il modello politico del principato rinascimentale. Egli è davvero una specie di reincarnazione moderna di un esponente della famiglia Sforza o della famiglia Visconti. Per questo ha scelto come simbolo di Canale 5 il biscione. Il fiore in bocca al biscione, al posto del bambino, vuole comunicare la natura “ingentilita” di questo nuovo principato. Non ha più bisogno del randello per imporsi: sa che la seduzione del fiore è molto più efficace.
Cercando di delineare le coordinate del futuro scenario politico sottolinea che “sarà un regime estremamente duttile, in grado di gestire il proprio consolidamento e il proprio sviluppo con una notevole spregiudicatezza tattica.

Ma, come tutti i regimi, si baserà anch’esso sull’azione di sorveglianza, di ascolto, di controllo delle opinioni…”.

Sì, se Berlusconi non troverà un concorrente politico all’altezza correrà suo malgrado il rischio di veder trasformato il suo potere in una sorta di “regime strisciante”. La fede berlusconiana nel sondaggio come strumento di ascolto potrebbe col tempo, anche involontariamente, degenerare in forme sottili di controllo delle opinioni. Va però detto che questo rischio accomuna tutte le società ricche. Sinora sono state società aperte nel senso che Popper dà all’espressione. Non è detto che continuino ad esserlo in futuro. Fra gli studiosi da tempo si parla del “modello Singapore” come possibile punto di arrivo dei processi evolutivi in atto nelle società benestanti. Per tutelare la nostra ricchezza dall’assalto del mondo povero forse saremo disposti a perdere dei gradi di libertà. È esattamente il modo in cui funziona Singapore: una città stato ricchissima e “perfettissima”, ma caratterizzata da una pressione sociale e da una tendenza al controllo delle opinioni che per qualunque italiano risultano assolutamente insopportabili oggi. Non è detto però che debbano risultare così anche in futuro. Il fatto è che per tutelare il nostro “stato privilegiato”, la nostra condizione di “ricchi”, forse dovremo rassegnarci a perdere libertà di movimento e di pensiero.

Più che il Grande Fratello di George Orwell non dovremmo temere “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley? Huxley sosteneva che nel “mondo nuovo” non esisteranno più cittadini controllati vittime di un regime, ma bambini soggiogati da una cultura cafonesca e volgare…

Personalmente sono convinto che Aldous Huxley sia stato un grande visionario, un vero e proprio profeta, uno “sciamano” dei tempi moderni. Il rischio di società infantili soggiogate da culture cafonesche e volgari è reale. E non riguarda solo l’Italia. Torniamo a Singapore: come è possibile che i cittadini di quel paese accettino l’idea che non è possibile masticare gomme, neppure in casa propria? Come è possibile che quella popolazione accetti che chi non aziona lo sciacquone dopo aver fatto pipì in un bagno pubblico sia multato e fotografato, e che la sua fotografia finisca nella “rubrica della vergogna” dei principali quotidiani? Come è possibile che a Singapore nessuno abbia la forza di dire che queste norme sono, o almeno possono apparire, “cafonesche e volgari”? Se gli abitanti di Singapore accettano tutto questo, e apparentemente con grande felicità, non è detto che non ci arrivino, prima o poi, anche altri abitanti di paesi ricchi.

In tanto in Italia si continua a discutere sulla par condicio: eppure le elezioni non si vincono nelle tribune politiche, ma nei programmi di Iva Zanicchi. E’ lì che prende corpo la strategia della finzione… Perché, invece, si continua con la farsa del minutaggio a destra e a sinistra?

Lei ha perfettamente ragione, e direi che ha centrato un elemento fondamentale di debolezza della sinistra. La quale è come se guardasse il dito che indica la luna, invece di accorgersi della presenza della luna. Il problema non sta nel minutaggio, non sta nella par condicio. Sta piuttosto, come Lei suggerisce, nella possibilità o meno di attivare un antidoto alla strategia della finzione, che prenda corpo molto più nei programmi come “Il Grande Fratello” che nelle tribune politiche. Berlusconi lo sa benissimo, ed è per questo che dice di pensare che i programmi di Michele Santoro gli abbiano tolto consenso, abbiano spostato dei voti. Se la sinistra abbocca, e continua a credere che i minutaggi a destra e a sinistra siano cruciali, si ostinerà a guardare il dito anche in futuro senza accorgersi della luna che brilla, piena e lucente, nel cielo scuro della politica italiana.

Perché secondo Lei si perseguita sempre il leader di una certa fazione politica e mai il suo elettorato? Non crede che questo atteggiamento porti inevitabilmente alla sconfitta?Voglio dire: a Berlusconi va riconosciuta la genialità, ma è il ragazzetto cresciuto a brunch e spillette inseguendo un’utopia “totalielitaria” che intimorisce…

E’ sempre il meccanismo del guardare il dito anziché la luna. O se si preferisce è il riflesso pavloviano delle culture politiche verticistiche. La sinistra italiana si è formata storicamente su un modello sovietico (su questo ha perfettamente ragione Berlusconi), secondo cui è il leader che fa il popolo. Berlusconi invece ha capito che la politica moderna è tornata all’antico, all’antichissimo: è il popolo che fa il leader, è il popolo che sceglie il suo capopopolo. Ecco perché la sinistra perseguita il leader anziché avere il coraggio di ammettere che dietro quel leader c’è un’Italia che, bella o brutta che sia, è diversa da come veniva descritta nei libri di sociologia degli anni ’70.