di Riccardo Valla

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Fantascienza. Il termine è un adattamento della corrispondente denominazione inglese ed è stato introdotto nel 1952 dal primo direttore di “Urania”, Giorgio Monicelli (che nel presentare Le sabbie di Marte, di A. C. Clarke, lo definiva: “un classico romanzo di “fanta-scienza”, per usare un neologismo abbastanza efficace”); in seguito ha finito per prevalere sulla traduzione alternativa “scienza fantastica” adottato in precedenza dall’omonima rivista italiana. Anche il termine originale inglese science fiction (narrativa “di scienza”) è stato coniato per una pubblicazione specializzata nel presentare questo tipo di narrativa: lo si deve al padre delle riviste di F., Hugo Gernsback, che lo adottò come sostituto di scientifiction (abbreviazione di scientific fiction) per caratterizzare una pubblicazione da lui edita.

Il genere esisteva già da una cinquantina di anni, ma non aveva un nome specifico: alla fine del secolo XIX, in Francia le storie di F. erano etichettate con il termine originariamente creato da Jules Verne per le sue opere: voyages extraordinaires; in Inghilterra erano chiamate scientific romances (termine che resterà uso per i romanzi di H. R. Haggard e per i suoi seguaci americani come A. Merritt) e più tardi, in riferimento alle opere di H. G. Wells, scientific fantasies. Negli Stati Uniti i romanzi degli imitatori di Verne come Senarens erano chiamati invention stories, o semplicemente “storie differenti”, ma verso il 1920 subentrò il termine pseudo-scientific stories. Il termine non aveva alcun connotato denigratorio (ad es., lo scrittore G. A. England definiva così le proprie storie in un articolo del 1923), ma Gernsback, che si vantava dell’accuratezza scientifica delle storie da lui pubblicate e che le definiva da tempo scientific stories o scientific fiction, quando fondò la prima rivista di F., Amazing Stories (1926), coniò il termine scientifiction per distinguersi dai concorrenti e spiegò ai lettori che indicava “le storie di Jules Verne e di H. G. Wells”. Tre anni più tardi, quando “Amazing Stories” passò a un altro editore, Gernsback impiegò un nuovo termine, science fiction, per inaugurare la sua nuova rivista Science Wonder Stories (giugno 1929). L’importanza storica delle riviste di Gernsback in rapporto alla nascita e allo sviluppo del nuovo genere è tale che ancor oggi è intitolato al suo nome il premio Hugo, uno dei due massimi riconoscimenti del settore, assegnato annualmente dai lettori (l’altro è il premio Nebula, assegnato dagli autori).
LA F. COME “GENERE”. Del genere sono state date varie definizioni che vanno dal “manifesto” originale di Gernsback (“Con scientifiction intendo riferirmi al tipo di storie scritte da Jules Verne, H. G. Wells ed E. A. Poe, un’affascinante avventura unita a realtà scientifica e visione profetica”; editoriale di “Amazing Stories” N. 1, aprile 1926) a quella ostensiva (“F. è ciò che si pubblica nei libri di F.”), ma nonostante le definizioni si richiamino quasi sempre a un’esigenza di plausibilità e di aderenza scientifica, il genere – soprattutto nel suo periodo “classico” (che però è il più noto, sia direttamente sia per avere ispirato gran parte della F. in fumetto e di quella cinematografica e televisiva) – è sempre in bilico tra fantasia e scienza, sempre in dubbio se dare la prevalenza alla “visione” o alla spiegazione razionale, e la sua scientificità pare essere quasi sempre inserita a posteriori: trovata un’immagine efficace (una “visione profetica” capace di toccare, nelle parole di Sergio Solmi, le “fonde emozioni” del lettore), l’autore la razionalizza con qualche spiegazione potenzialmente plausibile, ma di solito riduttiva. In questo modo cade ogni differenza tra il mondo mentale e quello fisico: l’immaginabile viene a coincidere con il razionalizzabile e può dunque essere conosciuto mediante le scienze fisiche. Questo stato di cose porta a due conseguenze, sotto l’aspetto gnoseologico e sotto quello sociale. Nel primo porta al predominio di concetti behaviouristici in gran parte della F. classica, che ad es., nell’antico problema psicologico, accetta riduttivamente l’identità tra ricordi e personalità (nel senso dell’Io, della coscienza di sé): uno dei temi ricorrenti della F. è che trasferendo in un altro corpo i ricordi di un uomo si abbia la stessa persona in un corpo diverso. Nel secondo porta a un effetto complessivamente consolatorio della F. stessa, come osservava C. M. Kornbluth ricorrendo a considerazioni freudiane nel saggio The Failure of Science Fiction as Social Criticism (in The Science Fiction Novel, atti del simposio tenuto nel 1957 all’Università di Chicago). Detto in altri termini, il novum (D. Suvin, da E. Bloch) della “visione profetica” perde la sua carica perturbante e viene fruito in maniera esclusivamente formale, le “fonde emozioni” sono ammansite catarticamente e vicariamente dalla razionalizzazione anziché essere risolte dall’azione fattiva.
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I PRECURSORI, VERNE E WELLS. La F. è sotto molti aspetti la versione moderna di un genere con tradizioni antichissime. Ogni letteratura ha, ai suoi primordi, un certo numero di opere fantastiche e alcune di esse contengono immagini che oggi chiameremmo fantascientifiche: soprattutto citazioni di giganti di metallo e di statue animate. Limitandosi alle letterature più vicine alla nostra, incontriamo in Omero bambole animate e carri semoventi, e nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (secolo III a. C.) il gigante di metallo Talos; di papa Silvestro II si diceva che possedesse una testa di metallo, parlante, a cui ricorreva per ricevere consigli. Nelle Mille e una notte un personaggio (il terzo mendicante, nella storia del facchino e delle tre dame) racconta di essere naufragato acconto al Monte Magnetico, che fa affondare le navi strappando i chiodi dal fasciame, e di avere trovato sulla sua cima il responsabile di quei naufragi, un uomo di bronzo; un sogno gli aveva poi insegnato come ucciderlo, e una volta seguite le indicazioni del sogno, un altro uomo di bronzo era venuto a prenderlo con la sua barca per portarlo in salvo. Un gigante di metallo compare anche nel Ramayana. Più rari sono gli incontri con gli alieni, ma ne incontriamo uno nella Repubblica di Platone (l. II, c. 3), quando si parla di Gige, antenato di Creso. A causa di un terremoto accompagnato da una tempesta, nella zona dove Gige pascola le pecore si è aperto un foro nel terreno: al suo interno “tra altre meraviglie” c’è “un cavallo di bronzo, cavo e con porte”; Gige vi entra e vi trova “un corpo morto di statura superiore a quella umana”; il morto ha al dito un anello e in seguito Gige scopre che l’anello può renderlo invisibile. Questi brevi episodi all’interno di opere più vaste mostrano la diffusione di simili tipi di immagini, ma, con la diffusione, la semplice immagine perde la capacità di perturbare e per fargliela recuperare viene posta in contraddizione con il modo quotidiano: si hanno così gli antenati della F., opere che vanno dalla Storia vera di Luciano di Samosata al Somnium di Keplero, da Gli imperi della luna di Cyrano de Bergerac ai Viaggi di Gulliver di J. Swift, dal Micromegas di Voltaire ad alcuni racconti di E. A. Poe, dal Frankenstein di M. Shelley al Dr. Jekyll di R. L. Stevenson: opere che – almeno quelle degli ultimi secoli – vertono su “innovazioni scientifiche di natura speculativa” per lo sviluppo della narrazione (S. Lundwall). Tuttavia, conviene limitarsi a considerare come primo autore moderno di F. Jules Verne, i cui “viaggi straordinari” (iniziati con Cinque settimane in pallone, 1863), sono caratterizzati da quelle meticolose spiegazioni geografiche e scientifiche che entreranno nel canone normativo della F. Anche se i romanzi di Verne contenenti spunti fantastici o profetici sono una minoranza in una produzione di più di sessanta volumi, l’importanza della sua ispirazione “profetica” è confermata dall’inedito del 1863 Parigi nel XX secolo, in cui è descritto un futuro dittatoriale con automobili, ferrovie pneumatiche, macchine calcolatrici e trasmissione di immagini a distanza. A giudicare da questa sua opera prima, pare quindi che la vena più autentica di Verne fosse quella fantascientifica.
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Tuttavia, come genere della narrativa popolare, l’origine della F. è legata al sorgere di un’editoria a grande diffusione e alla sua interazione con un pubblico desideroso di incontrare idee nuove, ma dai gusti superficiali. Si è così innescato varie volte un processo di tipo quasi evoluzionistico (in termini darwiniani si potrebbe parlare di una “generazione di nuove forme” da parte degli autori e di una “selezione naturale” esercitata dal pubblico) che ha portato a proporre sempre nuove “visioni” inedite – non tutte sostenibili, ma capaci di colpire l’immaginazione – e a produrne sviluppi sempre più complessi: il processo si è verificato una prima volta nel periodo 1860-1880 (visite ad altri pianeti; dominio dell’aria, sia in pace sia in guerra, grazie agli aerostati; sviluppi della telefonia), poi negli anni 1928-1932 (energia atomica, impiego di raggi di tutti i tipi; navi più veloci della luce: in pochi anni di “Amazing Stories” si è passati dalla “cavorite” dei Primi uomini sulla luna wellsiani alle astronavi di E. E. Smith, che non hanno nulla da invidiare a quelle che, mezzo secolo più tardi, appariranno in Guerre stellari), e una terza volta nel periodo 1937-1945 (robot intelligenti; imperi galattici; viaggi nel tempo; universi paralleli). Tra i precursori della F. occupano un posto importante anche i polemisti che alla fine del secolo XIX, con la descrizione delle guerre del futuro, vogliono spingere i governi di Francia e Gran Bretagna a un riarmo contro la minaccia tedesca. A inaugurare il genere della “guerra futura” fu George Chesney con The Battle of Dorking (1871), in cui si descrive un’Inghilterra impoverita e privata delle colonie dopo essere stata sconfitta dalla Prussia, nazione che disponeva di un’organizzazione migliore e di armi più progredite (la stessa situazione si ritroverà in Wells, che descriverà nel 1904, in The Land Ironclads, la sconfitta di un’Inghilterra troppo sicura di sé da parte di una Germania altrettanto bene organizzata quanto quella di Chesney). Tra i più noti rappresentanti del filone si possono ricordare William Le Queux, che in The Great War in England in 1897 (1894) descrisse in modo altamente drammatico l’invasione dell’Inghilterra da parte un’alleanza tra Francia, Russia e Germania e che negli anni seguenti scrisse molte altre opere del genere (ad es. The Invasion of 1910, apparso nel 1906); P. H. Colomb, che in The Great War of 189- (1893) descrisse sotto forma di dispacci e di articoli giornalistici una possibile guerra tra Inghilterra e Germania; B. R. Davenport, che, in uno dei pochi romanzi ottimistici del filone, Anglo-Saxons Onward (1898), descrisse un’alleanza con cui Gran Bretagna e Stati Uniti sconfiggevano la Russia e la Turchia sua alleata. Rientrano in questo filone anche vari autori francesi, il più noto dei quali è il “Capitano Danrit” (E. A. Driant, funzionario del ministero della Guerra e segretario del generale Boulanger), che scrisse nell’arco di una quindicina di anni, a partire dal 1889, una serie di romanzi in cui presentava svariate ipotesi di guerre imminenti: La Guerre de demain (3 voll., 1889-1893), su un conflitto franco-tedesco combattuto in fortezza e in pallone, La Guerre au vingtième siècle, che descrive l’invasione dell’Europa da parte di musulmani arabi e africani, La Guerre fatale tra Francia e Inghilterra, condotta nei mari con l’uso di sommergibili. Di più ampio respiro, ma ancora legato a questo filone, è The Angel of the Revolution dell’inglese George Griffith (1893), che in quegli anni rivaleggiava con Wells nel guadagnarsi il favore del pubblico. Nel romanzo “compaiono i due incubi dell’epoca: la guerra e il socialismo” (N. Barron). Il protagonista – l’inventore dell’aeroplano – si unisce all’associazione segreta dei “Terroristi”, che si propone di creare una società più giusta, e li aiuta a costruire una flotta aerea. Nel frattempo russi e francesi sconfiggono il resto dell’Europa, servendosi di dirigibili, gas e sommergibili, e assediano l’Inghilterra. I Terroristi riescono a impadronirsi del governo degli Stati Uniti e propongono all’Inghilterra un’alleanza. Grazie alla loro flotta aerea sconfiggono gli assedianti e instaurano uno stato mondiale socialista.
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Parallelamente si ha negli Stati Uniti una produzione vasta – anche se basata sulla ripetizione di alcuni schemi fissi – di periodici avventurosi in cui si descrivono invenzioni prodigiose; tra questi, la serie più fortunata è quella di Frank Reade (dal 1876), in cui il giovane inventore dello stesso nome costruisce ogni volta una nuova e straordinaria macchina a vapore o elettrica, dal cavallo meccanico alla casa su ruote e al vascello aereo. Queste avventure furono spesso ristampate nei decenni successivi; il personaggio era stato creato da E. S. Ellis per una serie di fascicoli popolari che presentava avventure ambientate nella frontiera americana (“Beadle Half-Dime Library”) e la prima storia aveva titolo The Steam Man of the Prairies (1868): nell’illustrazione di copertina si vedeva un tipico carro della frontiera americana trainato da un uomo meccanico in corsa (immagine ripresa nelle successive edizioni). La serie di “Frank Reade” proseguì fino al 1913 con un totale di 192 titoli; da notare che a partire dal 1882 queste storie furono scritte da un unico autore, L. P. Senarens (1863-1939), il quale, prima di essere chiamato come soggettista a Hollywood negli anni ’20, scrisse sotto pseudonimo più di 1500 romanzi popolari di tutti i generi. Per le sue storie fantastiche, “Lou” Senarens era soprannominato il “Verne americano” e in effetti si hanno tracce di una sua corrispondenza con lo stesso Jules Verne.