wirth05.jpgDa: Claudia Cernigoi, Operazione foibe. Tra storia e mito, Edizioni Kappa Vu, Udine 2005.

Il fenomeno del collaborazionismo a Trieste assunse dei livelli talmente vasti da disgustare persino Christian Wirth, “der wilde Christian” [Christian il selvaggio, nella foto], il primo “organizzatore” del lager della Risiera:

«i collaboratori superstiti… hanno ben riferito del compiacimento e del disgusto espressi dal Wirth per avere trovato in questa città ed in Fiume tanta gente disposta a concretamente favorire, per motivi il più delle volte non politici, la realizzazione dei suoi piani in questo specifico tema» [l’eliminazione degli Ebrei, n.d.a.]. [1]

Racconta lo storico Giuseppe Piemontese, che s’era trovato a lavorare, durante l’occupazione tedesca, presso l’ufficio traduzioni della cassa di malattia dell’amministrazione germanica assieme ad un amico di famiglia, il dott. Degner, «il quale, pur non avendo precise convinzioni politiche, era fondamentalmente antinazista»: «Ebbene, egli mi faceva vedere ogni tanto lettere anonime indirizzate a Rainer (e non erano poche, a disonore della città), nelle quali si denunziavano cittadini, solitamente per bassi rancori personali»[2]. Piemontese passava i nominativi dei denunciati ad altri impiegati della cassa di malattia che provvedevano a mettere sull’avviso gli interessati, salvandone così diversi dalla deportazione e dall’arresto. Ma purtroppo non tutti i triestini erano come questi impiegati.

Uno studio serio sul collaborazionismo triestino non è mai stato fatto, ma basta spulciare un po’ tra i testi che parlano della Risiera di S. Sabba o dare un’occhiata agli atti dei processi contro i responsabili dei crimini commessi in Risiera, conservati presso l’Archivio dell’Istituto Regionale per lo Studio del Movimento di Liberazione di Trieste, per comprendere a quale livello fossero giunti i nostri concittadini di cinquant’anni fa. C’erano i delatori di Ebrei che per ogni Ebreo consegnato ricevevano un “premio” di 10.000 lire, c’erano quelli che “vendevano” partigiani, per non parlare di vari bottegai che, sentendo di sfuggita nei loro negozi parole “critiche” nei confronti del regime, si adoperavano per far arrestare gli incauti che avevano parlato troppo. Ma oltre a questa “collaborazione diffusa”, c’erano anche quelli che si applicavano seriamente a lavorare coi nazisti.

«Così a Trieste, capitale del Litorale e sede dei principali comandi e uffici nazisti, una schiera di centinaia di civili entrò a far parte dell’organico del Supremo Commissariato di Rainer e di quello dello SD-SIPO [Sicherheit Dienst – Sicherheits-Polizei] e dello stesso EKR [Einsatz-Kommando-Reinhardt] di Wirth e di Allers, con una molteplicità di mansioni: dall’interprete di fiducia che procedeva anche agli interrogatori degli arrestati ed alla compilazione di veri e propri rapporti informativi, all’amministratore di beni mobili e immobili sequestrati alle vittime, dal segretario di vari comandanti S.S. e Polizia al centralinista, dal semplice impiegato all’addetto a lavori di manutenzione».[3]

Nel corso delle indagini per il processo del lager della Risiera il giudice Serbo di Trieste scoprì presso gli archivi dell’INPS alcuni elenchi di impiegati civili dipendenti dall’SD-SIPO per i quali i tedeschi pagavano regolari contributi previdenziali e per l’assistenza malattie. Erano 156 i dipendenti con varie mansioni dal comando SD-SIPO del Litorale Adriatico e 212 dipendenti dal capo di polizia ed SS Globocnik, e dalla Gestapo, questi ultimi classificati tutti genericamente come “personale impiegatizio”, mentre dei primi 156, 74 erano classificati come interpreti, v’erano poi impiegati, autisti ed altro ed 8 erano “freiwillig”, ovvero “volontari”, denominazione data ai «partigiani disertori passati al servizio della polizia tedesca e stipendiati» [4].

Nello stesso capitolo del testo sul processo per la Risiera sopra citato, troviamo due nomi di “deportati” a Lubiana [e colà processati e giustiziati eppure tuttora figuranti negli elenchi di “infoibati” nella provincia di Trieste, N.d.R.]. Il primo è Antonio Micolini, che dai dati dello stato civile avevamo come “insegnante”: in realtà «era il principale collaboratore del maggiore Mätzger dell’Ufficio IV (Gestapo), partecipando agli interrogatori condotti dai nazisti con ogni sorta di sevizie».
Il secondo è il giornalista Ettore Testore, già agente dell’OVRA e squadrista, che nel 1932 aveva fatto arrestare diversi antifascisti. All’arrivo dei tedeschi Testore si offrì come “collaboratore” scrivendo una lettera [5] direttamente al Supremo Commissario della Zona di operazioni Litorale Adriatico. In questa lettera Testore

«in considerazione delle sue capacità di giornalista politico antinglese o antibolscevico (cita ad esempio tutti i suoi scritti pubblicati in questi ultimi anni dal giornale Il Piccolo), coerente alle proprie opinioni…, simpatizzando integralmente per il nazionalsocialismo, si offre per una collaborazione ai Servizi Stampa e Propaganda di Codesto Supremo Commissariato».

Testore specificava d’altra parte che si trovava senza «incarico serio» e doveva «provvedere d’urgenza alla propria sistemazione», giacché al momento aveva soltanto una collaborazione a Radio Litorale (la radio di propaganda dei nazisti). Evidentemente il Supremo Commissario accolse l’offerta di Testore e gli diede degli incarichi, infatti troviamo Testore (che si firmava anche Tito o Lucio Speri), alla direzione di “radio Franz”, la radio che trasmetteva dalla stessa sede di radio Litorale (il vecchio palazzo della Telve in piazza Oberdan). Questa emittente, alla quale collaborò anche l’attore Giacomo Pellegrina [6], oltre a fare «trasmissioni politiche a sfondo reazionario», trasmetteva ordini ai partigiani e «tali ordini trasmessi da radio Franz ai partigiani erano del tutto falsi e tendevano a far cadere gli stessi in imboscate nazifasciste» [7].

Un altro esempio di che tipo di persone si trovino nei vari elenchi di “scomparsi” finora pubblicati: nel corso delle nostre ricerche abbiamo trovato più volte il nome di Crisa Ottocaro: vorremmo ora usarlo come esempio dello sviluppo di quella che spesso ci è apparsa anche come un’indagine investigativa oltre che come una ricerca storica.
Negli elenchi di “scomparsi” inseriti [nel libro di Pirina] avevamo trovato un Crisa Ottocaro, civile, ed un Ottocaro non meglio identificato; negli elenchi di scomparsi pubblicati dall’IFSML risultava solo un Crisa Ottocaro, odontotecnico, deportato in Jugoslavia. Papo nomina un Crisa Ottocaro, interprete, ma anche un Ottocaro agente della Polizia Militare, deceduto a Lubiana come il precedente Crisa [8]. Da una testimonianza raccolta da Samo Pahor risulta che Crisa faceva l’interprete presso le SS di piazza Oberdan; lo abbiamo trovato poi anche in un elenco di collaboratori dell’Ispettorato Speciale di PS ed in un altro elenco di appartenenti alle SS conservati ambedue presso l’archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste.
Come si vede, quando si legge “civile” nella qualifica dei “deportati e scomparsi” bisogna andare un po’ coi piedi di piombo, difatti dal primo controllo da noi effettuato sui dati forniti dallo stato civile alla stesura finale del nostro elenco, il numero dei “civili” è drasticamente diminuito (ed i supposti “civili” sono andati ad ingrossare soprattutto le file dell’Ispettorato Speciale ed in parte minore quelle dei militari e degli squadristi). Va anche precisato che abbiamo lasciato tra gli scomparsi “civili” anche un ex-prefetto ed un ex-podestà, per i quali la denominazione di “civile” sarebbe impropria, così come persone che pur non vestendo divisa avevano comunque dei comportamenti “squadristici”. A questo proposito citiamo il caso della maestra Rosa Vendola, insegnante a Trebiciano, sulla quale abbiamo raccolto le seguenti testimonianze. Racconta Lucijan Malalan, di Trebče-Trebiciano che la maestra Vendola insegnava all’asilo da lui frequentato nei primi anni Trenta. Un giorno Malalan si trovò a dire un paio di parole in sloveno ad un suo amichetto, la Vendola li sentì, afferrò il bambino per un orecchio e lo trascinò a forza attraverso tutta l’aula per punirlo di avere parlato in quella “sporca lingua”. Esiste anche documentazione [9] di un esposto fatto da un sacerdote di Trebče-Trebiciano contro la maestra Vendola che, avendo sentito il sacerdote rivolgersi in sloveno ai fedeli, aveva obbligato i bambini ad uscire dalla chiesa perché non dovevano sentir parlare la lingua “proibita”. […]

Note.

1. ANED Ricerche, S. Sabba. Istruttoria e processo per il lager della Risiera, ANED/Mondadori 1988, pag. 161/II
2. Dall’introduzione a Il movimento operaio a Trieste, Ed. Riuniti 1974
3. S. Sabba. Istruttoria e processo per il lager della Risiera, op. cit., pag.32/I
4. Ibidem, pag. 32/I. Deposizione in istruttoria del teste Italo Montanari (19/8/70)
5. Archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, X-762
6. Su Giacomo Pellegrina si veda il cap. sulla foiba Plutone
7. Documento n.769-busta XXI archivio IRSMLT.
8. L. Papo, Albo d’oro, Unione degli Istriani di Trieste, 1995
9. Testimonianza di Sabo Pahor. Si tratta di un esposto presentato dal sacerdote alla Commissione per l’accertamento dei crimini di guerra istituita in Jugoslavia all’inizio del 1944.