di Andrea Pighin
Alessandro Montoro, Prima stella a destra, Ali Ribelli, pp. 318, euro 15,00 stampa
Alessandro Montoro è un giovane autore che, negli ultimi anni, sta fornendo un importante contributo alla fantascienza italiana. Vincitore del Premio Urania Short nel 2022 con il racconto La causa fantasma, ha pubblicato anche su Urania Millemondi e su Delos Digital.
Prima stella a destra è una raccolta di racconti in cui la narrativa scientifica è l’approccio dominante, pur con suggestioni più generali legate al fantastico. I dieci racconti sono eterogenei nelle ambientazioni, ma uniti da alcuni fili tematici, come l’immortalità tecnologica, la morte e l’elaborazione del lutto; la duplicazione dell’identità e il rapporto con la memoria; l’ambientalismo e l’entropia morale del genere umano.
Montoro si muove tra la speculazione filosofica e l’immaginario fantascientifico, attingendo tanto dai classici della narrativa di genere quanto dalla riflessione esistenziale sul presente. Nel racconto d’apertura, Saldi sull’eternità, assistiamo a una svolta epocale per la nostra specie: la reincarnazione viene scientificamente dimostrata, e con essa crollano le religioni tradizionali. L’idea è forte: l’anima non è più oggetto di fede ma di calcolo, e ciò che resta è un’umanità spaesata, alla ricerca di senso nel vuoto lasciato dal sacro. Ashutosh, il protagonista, è ossessionato dalla sorte della madre scomparsa, e la sua angoscia si fa specchio di una crisi collettiva. Zio Baji, che sceglie la criostasi con la Still Eternity, simboleggia un’attesa messianica laica, un “tempo sospeso” che diventa l’unico appiglio in un mondo senza più mistero. Il lieto fine, in questo caso, non è un cedimento ma un gesto di compassione narrativa: l’Autore sembra suggerirci come un’umanità disillusa abbia comunque bisogno di riconciliazione. Più legato alla tradizione fantastica è Il suono della perseveranza, il racconto di un uomo che ascolta un album “impossibile”, che non risulta in alcun database. Durante l’ascolto vive un’esperienza che sembra allucinatoria e che lo porta a viaggiare in un universo alternativo del suo passato. Nel racconto compare anche la Morte, un’«entità cosmica» che dialoga con il protagonista attraverso riferimenti colti (Clark Ashton Smith, la pellicola Il settimo sigillo, etc.). Montoro sfiora qui la weird fiction, creando una tensione tra due fratelli (Frank e Chuck) che abitano realtà parallele. La Morte, lontana da ogni retorica, è ciò che delimita ma anche ciò che rivela: l’incomunicabilità tra le dimensioni è il vero inferno e il tempo diventa un medium instabile e poetico, da preservare nella sua fuggevolezza. In Partenogenesi il tema del doppio, della specularità e dell’ambiguità viene elevato su scala cosmica: i pianeti Gemini si comportano infatti come cellule, evolvendosi in una gigantesca metafora genetica. Gli “Specchi”, entità che copiano per natura, ricordano tanto gli Ultracorpi quanto le strutture del DNA. C’è qui un richiamo (che ritengo sia consapevole) a Olaf Stapledon e a Il costruttore di stelle, ma anche un gusto per il perturbante che sfocia quasi nel body horror: le Incudini, astronavi-simbionti, agiscono come agenti mutageni, generando inquietudine più che meraviglia.
Con L’universo delle teste, Montoro sposta l’asse su un racconto pseudo-storico, immaginando il matematico Evariste Galois coinvolto in un duello che nasconde molto più di una vendetta d’onore. Si intrecciano qui le suggestioni di Hoffmann (L’uomo della sabbia) e le cospirazioni di realtà parallele, come in certe storie di Philip K. Dick. La matematica – simbolo per eccellenza di razionalità – si rivela incapace di spezzare le catene del destino, e l’intera vicenda diventa un’allegoria dell’impotenza della mente contro l’assurdo del mondo. Cuori wireless, invece tenta la sintesi tra il noir e la distopia: in una Roma futuristica e isolana, i cuori dei cittadini vengono conservati dalla nascita come forma di controllo da parte di un governo globale. L’abolizione della tecnologia paradossalmente convive con un potere ipertecnologico: un cortocircuito ideologico che richiama George Orwell ma anche certo cyberpunk alla Blade Runner. I nomi dei due detective (Egger e Klane) stonano un po’ nell’ambientazione e nella trama (che coinvolge un’italianissima Sara Fasari), ma l’Autore riesce comunque a costruire un’atmosfera carica di fumo, bourbon scadente e dialoghi espliciti. Con Il trono di diamante torniamo allo spazio profondo, ma attraverso una struttura che rievoca Dune di Herbert: un impero terrestre che domina il sistema solare; un principe che sposa una ribelle; un mistero tecnologico che rivela una verità autodistruttiva. L’idea che il nucleo della Terra sia stato convertito in macchinari bellici è una delle più riuscite della raccolta: un corpo planetario svuotato per alimentare un potere che si autodistrugge. Il disegno narrativo di Montoro è qui ambizioso, ma avrebbe avuto bisogno di un romanzo intero per dare adeguato respiro al soggetto.
In Scarti immortali, l’immortalità è al contempo conquista e condanna. Montoro indaga non tanto la possibilità di vivere per sempre, quanto la deriva etica che ne scaturisce: gli ultimi Immortali sono perseguitati, e una nuova età dell’oro viene corrotta proprio dal prolungamento dell’esistenza. Il paradosso è chiaro: senza la morte il tempo perde valore e l’umanità si trasforma in altro da sé. In controluce, ho intravisto una critica all’attuale ideologia della performance eterna, del progresso senza limiti, della negazione della fragilità. Nails 3020 è il racconto più ironico, quasi grottesco: in un futuro in cui l’umanità è divenuta del tutto sostenibile, dove persino le civiltà aliene apprendono dagli umani, gli androidi (denominati cytron) scioperano, si sindacalizzano e – perché no? – cercano lavoro come nail artist. Il risvolto sociale con la nostra attualità è evidente: l’umanizzazione delle macchine non avviene tramite la presa di coscienza, ma attraverso il lavoro precario. Il COG (Comitato Ottimisti Gigatronici) è una trovata che non sfigurerebbe in un racconto di Douglas Adams. La mano che ti nutre – forse il racconto più riuscito – con un ritorno al perturbante: Samaritan è un’astronave trasparente che cela entità aliene camuffate da vittime dei terrestri. Montoro inserisce citazioni esplicite a Il conte di Montecristo e suggestioni che mi hanno ricordato Gli uccelli di Hitchcock, mescolate con atmosfere da Area X, quel luogo indecifrabile che Jeff VanderMeer ha raccontato nell’omonima trilogia. Il monito può apparire controverso: bisogna prestare attenzione a chi si intende aiutare, poiché il bene, senza discernimento, potrebbe aprire le porte all’orrore.
Infine, La causa fantasma sfrutta una cornice da legal thriller per seguire un caso dell’avvocato Fatasma. Il suo cliente, Antonio, si lamenta che il fantasma-ologramma della moglie non corrisponda davvero alla donna. L’avvocato, esperto di spectroscopia (la tecnologia che permette di creare i fantasmi), giunge a una risoluzione della controversia: semplice sul piano legale, ma più complessa su quello personale.
Montoro dimostra uno stile accessibile, che unisce suggestioni speculative, riferimenti letterari e una vena filosofica mai pedante o gratuita, ma la caratteristica narrativa risiede nell’ibridazione: fonde il racconto gotico, il noir, l’hard sci-fi e il weird in un mosaico che riflette l’indeterminazione del nostro tempo, l’incertezza. Non tutti i racconti hanno lo stesso spessore e alcuni spunti meriterebbero un maggiore respiro, ma nel complesso Montoro riesce a farci guardare all’umanità da una distanza che ci obbliga a cambiare, o quantomeno a dubitare di noi stessi.