di Gioacchino Toni

Giorgio E.S. Ghisolfi, Superman & Co. Codici del cinema e del fumetto, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018, pp. 242 , € 18,00

Nonostante il rapporto che lega cinema e fumetto sia da tempo dibattuto tra gli studiosi, scarseggiano analisi comparative sui codici che li caratterizzano ed il recente volume Superman & Co. Codici del cinema e del fumetto, del regista e docente di sociologia della comunicazione e di discipline attinenti al cinema e all’audiovisivo Giorgio E.S. Ghisolfi, rappresenta un importante contributo volto ad arginare tale lacuna.

Scrive Ghisolfi che, pur trattandosi di personaggi rispecchianti epoche differenti, Mickey Mouse e Superman rappresentano due perfetti esempi di ciò che oggi viene definito “prodotto transmediale”. Mickey Mouse fa la sua comparsa nel novembre 1928 in un film in bianco e nero animato sonoro e nel giro di un paio d’anni approda sotto forma di strip sui quotidiani americani. Superman appare la prima volta nel giugno del 1938 sulle pagine a colori dell’albo Action Comics e dopo solo due anni lo si ritrova in alcuni cortometraggi animati al cinema. L’occasione dei novant’anni dalla nascita del primo e degli ottanta da quella del secondo, pare pertanto propizia per una più estesa riflessione sulla “natura crossmediale” di diversi eroi della mitologia contemporanea.

«Nell’epoca della crossmedialità, della convergenza dei media e dello storytelling transmediale, il legame tra questi due luoghi dell’immaginario [cinema e fumetto] sembra cosa naturale. La storia insegna che moltissimi sono i fumetti tratti dai film, e altrettanti sono i film tratti dai fumetti. La loro interazione come i loro percorsi individuali segnano in maniera indelebile la società e la cultura contemporanee» (p. 12).

Visto che l’attuale convergenza dei media sembra presagire un superamento delle distinzioni tra i codici dei diversi dispositivi in direzione di un “codice integrato assoluto”, si potrebbe immaginare un superamento della nozione stessa di codice ma, sottolinea Ghisolfi, per il momento ciò non si è dato ed è da tale punto fermo che si sviluppa questo studio comparativo sull’identità di ciascun medium realizzato con gli strumenti della critica e della semiotica al fine di esaminare i meccanismi di costruzione e di decifrazione cogliendo anche la portata della loro interazione in termini sociologici.

In ambito semiologico, sino ad ora, gli studi sono risultati settoriali: o è stato indagato il cinema o il fumetto ed al “medium-punte”, costituito dal cinema d’animazione, sono state riservate scarse attenzioni.

Nel volgere di poco tempo il cinema è stato in grado di creare un immaginario capace di rivaleggiare con quelli millenari della letteratura e del teatro e, dopo aver attinto, ai suoi esordi, da questi, ben presto è riuscito a dotarsi di un linguaggio specifico.

Sebbene, a differenza del cinema, il fumetto nasca in totale autonomia, già negli anni Dieci questo inizia a intrecciarsi con la settima arte dando vita ai “disegni animanti” per poi farsi contaminare, negli anni Trenta, dal genere avventuroso ben presente nel cinema e nella letteratura. «Sono anche gli anni in cui il fumetto fa sua la grammatica cinematografica dei campi e dei piani, beneficiando di codici già accettati socialmente, e deriva l’uso della sceneggiatura: un fenomeno che coincide con gli anni del fulgore del cinema americano e dello star system hollywoodiano» (p. 16).

Pur trattandosi di media dalla storia relativamente breve, cinema e fumetto sono pur sempre «sistemi di segni, sistemi semiotici organizzati che, anzi, proprio dalla scrittura derivano in buona parte l’efficacia dei loro codici narrativi e di fruizione» (p. 17)

La linearità narrativa del cinema e del fumetto, nel corso della loro pur breve storia, ha conosciuto momenti di messa in discussione che hanno condotto alle attuali modalità di racconto che, in diversi casi, non sottostanno alla tradizionale linearità del discorso. «Se negli anni Sessanta e Settanta il fumetto underground e quello d’autore hanno rotto le regole della tradizione e portato alla nascita e al consolidamento di un genere a tutt’oggi florido – connotato da una creatività e un’espressività estremamente soggettive e libere, portate sino allo sviluppo di una “poetica dell’io” nel graphic novel –, nel cinema la contemporanea ventata della Nouvelle vague e della Neue Welle, metabolizzata in una decina d’anni dall’industria internazionale, ha rinfrescato, ma solo in parte ridefinito, l’ortodossia del linguaggio» (p. 18).

Per quanto riguarda il cinema, un altro momento di svolta importante si ha attorno alla metà degli anni Novanta; in questo caso la rottura è determinata soprattutto dall’innovazione tecnologica digitale che, oltre a rivoluzionare il processo produttivo, ha inciso sull’estetica e modificato le modalità di fruizione, pur senza ridefinire radicalmente i codici della comunicazione cinematografica.
Se è pur vero che la trasformazione digitale ha toccato anche il fumetto, gli effetti più evidenti della svolta digitale hanno toccato soprattutto l’animazione e il videogame. Il fumetto in sé, per certi versi, ha salvaguardato maggiormente la sua identità restando ancorato a una tecnica fatta di strumenti semplici.

Nel corso della trattazione Ghisolfi mostra come gli studi semiotici di tipo strutturalista, condotti nel corso degli ultimi decenni del Novecento, abbiano evidenziato la natura non linguistica di cinema e fumetto. «Tuttavia la mancanza di strumenti di indagine più appropriati ha fatto sì che la semiotica di derivazione linguistica, insieme alla narratologia e alle teorie dell’enunciazione e del punto di vista, sia stata e venga ancora impiegata per decifrare la natura dei due media» (p. 217). Se da questo punto di vista si può dire che il cinema è stato indagato a fondo, non altrettanto è avvenuto per il fumetto. Spesso sono stati posti sullo stesso piano vignetta e inquadratura intendendole “unità minime significative” dotate di analoghe funzioni ai fini sintattici tralasciando le importanti differenze che emergono, invece, da una osservazione condotta sul piano semantico e narratologico.

Gran parte degli studi semiotici si sono dedicati all’analisi della componente visiva del cinema, trascurando il legame con quella sonora: per quanto riguarda il cinema basti pensare a come l’individuazione della sua unità elementare nell’inquadratura e nel fotogramma tralasci colpevolmente la funzione della colonna sonora. Le difficoltà di individuare un’unità elementare di valore semiotico nella colonna sonora abbinabile all’inquadratura o al fotogramma ha portato ad una definizione del cinema come di un “medium plurisemiotico”.

Lo studio di Ghisolfi mette in luce come fumetto, cinema ed animazione palesino codici specifici di progettazione, espressione, comunicazione e fruizione. «Rispetto al cinema, per esempio, il fumetto garantisce all’artista una maggiore soggettività espressiva e al lettore il possesso rassicurante di un oggetto amico. L’animazione procura al pubblico una dimensione che è altra rispetto ai primi due» (p. 218). Anche il pubblico a cui si rivolgono è solo in parte coincidente.

Una parte della trattazione è riservata a quella dimensione del fumetto definita motion comic. «Dai primi tentativi, sostanzialmente definibili come cartoni animati ben disegnati ma poco animati, si è giunti oggi a un’estetica che combina in maniera efficace ottimi disegni bidimensionali con spazi tridimensionali, con animazioni e pop-up, scelta dell’angolo di visuale, vignette mobili, e che perciò offre un’interazione creativa nuova e diversa da quella del videogioco, qualificando il motion comic come un medium nuovo, ibrido tra fumetto, animazione e game, che richiederà ulteriori studi» (p. 219)

D’altra parte, anche il cinema e il fumetto sono nati ibridi. «Un’interpretazione che appare oggi chiara: alla seconda rivoluzione industriale […] tocca la responsabilità di aver creato il crogiolo nel quale, a fine Ottocento, molti elementi culturali già presenti, e tuttavia dispersi, sono giunti a coagulazione, assumendo, nell’ambito di un’ibridazione tecnologica, un’univocità di direzione e di impiego dalla quale è scaturita una forza mass-mediale travolgente. Se l’industria del cinema è un ex novo che va a soddisfare esigenze di intrattenimento, non altrettanto si può dire del fumetto, che nasce come strumento di marketing per l’industria dell’informazione a stampa. Abbiamo così media polisemiotici, che non possono trovare una definizione identitaria singolare, bensì plurale» (p. 219).

Cinema, animazione e fumetto, pur avendo in comune il ricorso al codice visivo come codice dominante, restano tre linguaggi differenti che non ricorrono alle medesime modalità narrative. Certo, sottolinea lo studioso, «trattandosi di mass-media, è pertinenza di ciascuno poter trattare gli stessi temi. Ma questo, se può essere un indice di sovrapponibilità, come accade anche tra radio e tv, non è un indice di identità» (p. 219).