di Sandro Moiso

Franco Bertolucci (a cura di), GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.1 Dal Fronte Popolare alla “Legge Truffa”. La crisi politica e organizzativa dell’anarchismo, Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo n° 7/2017, BFS Edizioni – PANTAREI, pp. 776, € 40,00

Uno degli aspetti positivi del recente tracollo elettorale dei Sinistrati, istituzionali e non, potrebbe essere costituito da un ritorno allo studio della Storia del movimento operaio oltre che da una riapertura della ricerca e da una maggiore attenzione nei confronti di tutte quelle espressioni dell’antagonismo di classe, anarchiche e comuniste, che per decenni la storiografia italiana e il dibattito politico-ideologico, che ha nutrito e di cui si è nutrita, avevano drasticamente rimosso. Una ricerca di tal fatta, motivata e libera da impicci ideologici, potrebbe poi servire a rimuovere quell’idea, falsamente moderna, che gli appelli rivoluzionari alla lotta di classe e all’anticapitalismo radicale possano appartenere soltanto a un folklore e a una tradizione ormai superati.

Soprattutto in questo cinquantenario del ’68 diventa perciò utile e necessario far riscoprire ai giovani, ma anche a coloro che non lo sono più, l’immensa mole di esperienze e riflessioni che accompagnarono le numerose aggregazioni politiche che, tra la caduta del fascismo e la ripresa delle iniziative di classe degli anni sessanta, si svilupparono a sinistra del PCI e in netta polemica con lo stalinismo e la conduzione togliattiana del “più grande partito comunista dell’Occidente”.1

Ancora una volta è stato Franco Bertolucci, intrepido ricercatore, direttore della Biblioteca Franco Serantini di Pisa e responsabile editoriale della stessa casa editrice BFS, a curare un’opera che scava negli anni compresi il 1945 e la fine degli anni Cinquanta e costituisce la conseguenza del fatto che, nell’aprile del 1998, Pier Carlo Masini avesse fatto dono alla Biblioteca Serantini dell’archivio politico dei GAAP (Gruppi anarchici di azione proletaria) e delle sue carte personali. L’impegno era che alla sua scomparsa, dopo un periodo di dieci anni, quei materiali fossero riordinati e resi disponibili per le attività di studio e di ricostruzione storica.

Così questo volume, il primo di tre, testimonia il rispetto di quell’impegno e di vent’anni di lavoro, per riportare letteralmente alla luce, come un reperto sconosciuto ai più, la ricerca portata avanti da un ristretto ma deciso e significativo nucleo di compagni, prevalentemente di estrazione anarchica, di un comunismo consigliarista e libertario che superasse le disgraziate scelte messe in atto dai partiti e dalla Terza Internazionale stalinizzati e allo stesso tempo l’impasse in cui sembravano essere precipitati l’anarchismo e le opposizioni di Sinistra dopo le esperienze devastanti della guerra di Spagna, dei totalitarismi e del secondo conflitto mondiale. Come afferma G. Berti, citato da Bertolucci:

“La tragedia della rivoluzione spagnola fu veramente la tragedia e la fine del movimento anarchico nato a Saint-Imier. Questo infatti si trasformerà lentamente ma inesorabilmente in un corpo ideologico immobile e in questa scia obbligata, ma sterile, affronterà i devastanti effetti della seconda guerra mondiale. Gli anni che seguirono non portarono sostanziali mutamenti alla irrimediabile situazione emersa con la sconfitta della rivoluzione spagnola. L’anarchismo non ebbe un vero ricambio generazionale perché la condizione creatasi dopo il 1945 lo mise, in modo ancora maggiore, in una posizione di assoluto isolamento che lo poneva di fatto fuori dalla realtà”.2

Nel settembre del 1939 avrebbe poi avuto inizio

“il più grande conflitto armato della storia dell’umanità, nel quale vennero usate nuove armi di distruzione di massa mai utilizzate fino a quel momento. […] Il movimento operaio internazionale rimase, ancor più che nella Prima guerra mondiale, lacerato e immobilizzato. La guerra imperialista fra gli Stati ebbe il sopravvento e quasi tutti i partiti di sinistra si dichiararono favorevoli al conflitto con le potenze dell’Asse”.3

Gli stessi esponenti anarchici, in alcuni casi, finirono con l’appoggiare l’intervento bellico degli alleati interpretandolo in chiave esclusivamente antifascista, mentre le opposizioni di Sinistra, schiacciate tra nazi-fascismo e stalinismo, si ritrovarono a tacere oppure ad avere un’influenza quasi nulla sulle masse ormai diversamente nazionalizzate. Mentre gli agenti dell’Ovra, della Ghepeù e dei nazisti davano loro la caccia per eliminarli fisicamente o per internarli nelle carceri o nei lager o nei gulag, oppure ancora mentre gli stati “liberali” concorrevano ad internare nei campi di prigionia militanti anarchici e comunisti di sinistra insieme a filo-fascisti e filo-nazisti.
Qualche anno dopo le prime prese di posizione degli anarchici a favore della guerra, che lasciarono uno strascico di polemiche e di lacerazioni interne al movimento,

“un convegno organizzato a New York dai gruppi anarchici riuniti del Nord America (24 dicembre 1943) elaborò un lungo documento, pubblicato l’anno seguente, dal titolo Rivoluzione e controrivoluzione. Nel documento, uno dei pochi prodotti in questo periodo di guerra dal movimento libertario di lingua italiana, si fa una lunga disamina delle radici del conflitto, partendo da quello precedente e analizzando la nascita delle dittature, lo sviluppo del capitalismo, il ruolo della Russia sovietica e la politica contraddittoria delle democrazie occidentali di fronte al nazifascismo e alla sua politica aggressiva. La conclusione del documento ribadisce, con le parole usate a suo tempo da Luigi Galleani, l’atteggiamento degli anarchici: «contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione sociale»”.4

Questa posizione può costituire, per certi versi, il canto del cigno dell’opposizione anarchica al conflitto imperialista in atto e, allo stesso tempo, la base di quell’elaborazione politica e teorica che nel secondo dopoguerra, in un clima di controrivoluzione imperante, avrebbe portato al tentativo di riorganizzare tra di loro i militanti anarchici e della Sinistra Comunista che avevano tenuta ferma la barra nella direzione della lotta al capitalismo e all’imperialismo, qualsiasi fossero le forme sotto cui si presentavano le due idre.
Occorre qui ricordare

“che il numero dei militanti (anarchici – N.d.R.) sopravvissuti a vent’anni di regime, che non si erano piegati e non avevano accettato compromessi, si aggirava nell’estate del 1943 intorno ai 2/3.000 individui, nella stragrande maggioranza nati tra il 1880 e i primi del Novecento e formatisi politicamente prima dell’avvento al potere del fascismo. Praticamente sono pochi i ventenni, cioè la generazione di giovani nati sotto il fascismo e che possono rappresentare il futuro del movimento. Questa cesura, o vuoto, generazionale peserà fortemente nello sviluppo del movimento e soprattutto nella sua incapacità di riallacciare le file della propria presenza tra le classi subalterne. […] Altro dato importante è il fatto che il nucleo più consistente di militanti, circa 200/300, che si trovava assegnato nelle diverse carceri o in località di confino, in particolare a Ventotene, non viene immediatamente liberato come gli altri prigionieri politici al momento della caduta del fascismo. Ad esempio, su iniziativa del capo della colonia di Ventotene, Marcello Guida – nome che ritornerà prepotentemente nella storia del movimento libertario nell’autunno del 1969 quando, come questore di Milano, si troverà a gestire la «Strage di Piazza Fontana» e il caso di suicidio/omicidio del ferroviere anarchico ed ex partigiano Giuseppe Pinelli –, gli anarchici confinati vengono destinati al campo di concentramento di Renicci d’Anghiari in provincia di Arezzo insieme con alcune migliaia di slavi. Solo dopo l’8 settembre riusciranno a fuggire dal campo di prigionia prima dell’arrivo dei tedeschi”.5

L’euforia post-resistenziale e la fine della guerra oltre che del fascismo non avrebbero sviato l’attenzione di questi compagni da quello che era il reale fuoco e il reale motore dei drammi appena trascorsi. L’abbuffata democraticistica, in cui apparentemente Truman e Stalin, borghesi e proletari, nazioni e classi, capitalismo e sfruttati potevano darsi felicemente la mano, non li aveva minimamente toccati. Anche se nel frattempo la situazione politica internazionale e nazionale, la composizione di classe e la cultura che le accompagnava si era, per forza di cose, significativamente modificata.

Fu in questa situazione e in questo iato culturale venutosi a creare tra le avanguardie militanti più radicali e la società circostante che ebbe inizio l’avventura dei Gruppi anarchici di azione proletaria (GAAP). Il cui principale animatore si può individuare nella figura di Pier Carlo Masini (1923 -1998), straordinaria figura di intellettuale, ricercatore, storico del movimento anarchico ed operaio, che proprio nel 1949, su Volontà, aveva scritto: «A mio giudizio non è esatto affermare che nella storia tutti i moti di libertà o di giustizia o di umana affermazione, ieri o domani, possano avere una relazione di consanguineità con l’anarchismo». Affermazione in cui era evidente l’intenzione di Masini

“di contestare tutte quelle correnti e/o tendenze del movimento anarchico che interpretano l’anarchismo come un’idea generica di ribellismo o, viceversa, ogni forma di ribellismo sociale che si senta in qualche modo autorizzata a essere inclusa nell’alveo della grande famiglia libertaria. Questa posizione nasce, appunto, dalla considerazione di come il movimento anarchico nell’immediato Secondo dopoguerra, sull’onda della riconquistata libertà, abbia accolto nelle sue file militanti di ogni genere, che spesso hanno creato confusioni e contraddizioni. […] «La storia di ogni società esistita fino ad oggi è storia di lotte di classe», la lapidaria sentenza si trova, come è risaputo, nel Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels e secondo Masini non è necessario esser convinti adepti del materialismo storico per accettare l’essenza di verità racchiusa nella frase testé citata. Sebbene la storia umana non possa esser tutta spiegata con l’azione della lotta di classe, non si può negare che i conflitti sociali più o meno violenti ne siano stati uno dei motori principali.[…] Dell’elaborazione marxiana sulle classi, Masini condivideva l’individuazione nel proletariato e nella borghesia delle due classi emergenti, ma antagoniste, di quella fase storica – il secolo decimonono – e da ciò ne conseguiva la considerazione che nel momento in cui il proletariato avesse portato avanti i propri interessi all’interno del sistema capitalistico, essendone in quanto forza-lavoro prodotto e componente prima, ne avrebbe determinato la totale distruzione; e poiché alla proprietà dei mezzi di produzione avrebbe sostituito la proprietà comune, avrebbe conseguentemente eliminato anche le classi che sono a quella connesse. Era quindi evidente che le condizioni necessarie per la formazione della classe, riprendendo la riflessione del filosofo ed economista di Treviri, erano principalmente di ordine economico; esse potevano però soltanto delimitare quella che veniva definita dagli economisti e dai sociologi una «situazione di classe». Questa risulta dalla trasformazione della maggior parte dei membri della società in lavoratori, per i quali il capitalismo aveva creato una situazione comune”.6

Inoltre Masini scriveva ancora sulla classe e il proletariato

“che, illuso o tradito, non può mai venir meno a se stesso perché è sempre e ferreamente presupposto dalla classe nemica, dallo stato nemico: resta un conflitto di classe, sia pure deviato dai liquidatori o sfruttato dai demagoghi, una lotta implacabile di «quelli che stanno sotto» contro «quelli che stanno sopra»; resta soprattutto l’esigenza di dare a questo movimento di classe una ideologia che esso non esprime mitologicamente dal suo seno come un tempo sognarono i pontefici massimi dell’operaiolatria, ma che un secolo di lotte ci propone oggi come il prodotto delle sue dirette esperienze”.7

A fronte di un movimento anarchico che rivendicava, attraverso la redazione della stessa rivista Volontà, un ruolo più di testimonianza che di direzione politica, Masini opponeva l’idea che

“gli anarchici devono organizzarsi e attrezzarsi con un’ideologia che rivendichi la piena autonomia dei lavoratori nel definire e realizzare il proprio percorso di emancipazione, e questa è una condizione sine qua non per l’acquisizione di una coscienza politica che può condurre verso la conquista e l’avvento di una società liberata”.8

“Per Masini, come per il gruppo formatosi nel frattempo intorno a lui, non può esistere una rivoluzione senza un movimento rivoluzionario, di conseguenza è fondamentale per gli anarchici uscire dal loro isolamento e darsi una funzione di «avanguardia», proprio per insinuare nelle lotte sociali il germe dell’insurrezione: «È per questo che noi vogliamo agganciare al movimento della classe lavoratrice una rivendicazione di libertà che completa e trascende le limitate richieste a fondo politico ed economico». E la funzione dei gruppi anarchici specifici per Masini nel divenire sociale è ben precisa: «Allora non bisogna dimenticare che i gruppi anarchici nei luoghi di lavoro operano oggi in una situazione controrivoluzionaria e non possono avere che uno scopo: quello di illustrare, documentare, descrivere la crisi, dare la rappresentazione geometrica e puntuale di questa crisi fondando in tal modo le premesse della riscossa proletaria»”. 9

Su queste basi, che sottendono una situazione controrivoluzionaria che solo successivamente potrà essere superata e un confronto serrato con molte delle federazioni anarchiche diffuse sul territorio nazionale, Masini contribuirà a dare vita al periodico L’Impulso, che vedrà raccogliersi intorno alla sua redazione (composta nel primo anno e mezzo di vita quasi esclusivamente dal solo Masini) Augusto Boccone, fornaio e militante di vecchia e provata fede; due giovani della classe 1920 entrambi amici personali di Masini: Luciano Arrighetti operaio della Galilei e Sirio Del Nista impiegato ai Cantieri Orlando di Livorno. I liguri Arrigo Cervetto, Lorenzo Parodi, Agostino Sessarego e Aldo Vinazza – classi 1925-1927 – tutti di estrazione proletaria con esperienze nella Resistenza. I piemontesi, che rappresentano forse il gruppo più omogeneo dal punto di vista sociale essendo tutti di estrazione proletaria e inseriti nei principali stabilimenti industriali del capoluogo regionale con una grande esperienza sindacale alle spalle e anche internazionalista visto che tra loro ci sono volontari che hanno combattuto in Spagna come Aldo Demi – classe 1918 –, o che hanno un lungo excursus nel movimento, come Paolo Lico – classe 1903 –, tutti o quasi facenti parte di un gruppo storico dell’anarchismo torinese, quello del quartiere popolare di Barriera di Milano, insieme a numerosi altri provenienti da diverse regioni. I militanti che ruotano intorno al periodico hanno una prevalente estrazione proletaria, ma con una significativa presenza di giovani intellettuali, studenti e insegnanti, che poi svolgeranno una discreta influenza sullo sviluppo dell’organizzazione.

“Il primo obiettivo di questo nuovo impegno del gruppo è quello di iniziare alla base un paziente lavoro di restaurazione teorica allo scopo di rianimare i compagni disorientati o ideologicamente deboli; di qui la necessità di riassestare consolidare potenziare, sul piano locale, il tessuto associativo minacciato da un avanzato processo di lacerazione. Va altresì ricordato che questo gruppo, soprattutto i più giovani, è attraversato da un sentimento di inquietudine, di voglia di essere in qualche modo protagonista del proprio avvenire, ma nel contempo è incerto nelle scelte soprattutto teoriche. Masini li sprona allo studio, invia loro continuamente lettere nelle quali suggerisce letture di classici, sia politici che economici. Tra di loro c’è chi non ha una formazione prettamente anarchica, ma spesso è mutuata da elementi spuri derivati dalla cultura social-comunista, o repubblicana; Masini ne è ben cosciente e cerca con tutte le sue forze di costruire un cammino comune, ma l’impresa come vedremo non sarà priva di ostacoli e anche di delusioni. Tra i nomi dei giovani che sono tra i più irrequieti e in qualche maniera “problematici” c’è Cervetto”10

Che nell’immediato Secondo dopoguerra vive un’evoluzione politica e teorica che lo porterà ad essere da antifascista ribelle e comunista irregolare ad anarchico, come reazione alla svolta del «partito nuovo» di Togliatti.
E proprio in una lettera a Cervetto del 16 novembre 1949 che Masini delineerà in parte il programma dell’attività di quelli che diverranno i GAAP:

“Mi sembra che sul piano ideologico si possa andare d’accordo dichiarando il fallimento di socialdemocrazia-bolscevismo-sindacalismo-anarchismo tradizionale. […] Ora ecco la prospettiva che si disegna
a) dichiarare il fallimento di tutto il passato (anche nostro);
b) procedere alla formazione di un movimento (anarchico) nuovo.
Fin qui la prospettiva politica, di anni. Poi la prospettiva storica, di decenni.
c) Formare il movimento di classe.
Natura non facit saltus.
Sul terreno ideologico le nostre posizioni coincidono.
Sull’astensionismo siamo d’accordo.
Sul «partito» nessuno vuole il partito tradizionale della classe operaia, né l’azienda elettorale dei socialdemocratici né la superassociazione di amicizia italo-sovietica degli stalinisti, ma qualcosa di superiore di metapartitico.[…] se un presupposto della dissoluzione dello stato nella fase rivoluzionaria è la formazione particolare dei quadri rivoluzionari, risulta anti-pedagogico, controproducente parlare a questi quadri il linguaggio della «dittatura», della «egemonia», della «conquista del potere». Significa capitolare innanzi tempo di fronte all’ipotesi dello stato, ripiegare passivamente su posizioni di rinuncia, di pigrizia, di controrivoluzione preventiva.
Bisogna decisamente puntare sul non-stato, concentrare tutte le forze nel periodo rivoluzionario senza deroghe, senza proroghe dei problemi. Ci siamo?”11

Sarà sostanzialmente su queste basi, oltre che su una più vasta riflessione di carattere geo-politco sull’imperialismo e sull’opposizione alla guerra, che sarà formulato il documento politico della Conferenza nazionale convocata dal Gruppo d’iniziativa per un movimento «orientato e federato» svoltosi a Pontedecimo, in provincia di Genova, dal 24 al 25 febbraio 1951da cui avranno ufficialmente origine i GAAP. Le cui tesi principali saranno elaborate da Masini e da Cervetto.
Con il secondo ormai più orientato verso ipotesi di stampo leninista.

“Tra gli osservatori che partecipano alla Conferenza di Genova-Pontedecimo vanno segnalati Bruno Maffi, rappresentante del Partito comunista internazionalista; Livio Maitan e Sergio Guerrieri dei Gruppi comunisti rivoluzionari IV Internazionale. La presenza di queste organizzazioni a una riunione di anarchici rappresenta una novità. […] I bordighisti all’epoca rappresentano una delle «dissidenze» storiche del comunismo italiano, nel loro costituirsi in formazione politica distinta durante gli anni del Secondo conflitto mondiale, avevano sempre cercato di rivendicare la continuità con l’esperienza del Partito comunista d’Italia fondato a Livorno nel 1921. Questo richiamo alle radici non era casuale, e non riguardava solo anagraficamente la storia di alcuni dei principali militanti e teorici – tra cui lo stesso Amadeo Bordiga, primo segretario e fondatore del PCd’I –, ma soprattutto era di natura politico ideologica. La scelta nella propria denominazione dell’aggettivo «internazionalista», testimoniava la rivendicazione della vera essenza del comunismo rivoluzionario in contrapposizione al modello staliniano e togliattiano del partito, che faceva del nazionalismo la propria bandiera. La loro presenza alla Conferenza nazionale del gruppo de «L’Impulso» era dettata soprattutto dai buoni rapporti personali che negli anni Masini aveva mantenuto con quest’area politica e dalla quale traeva alcune riflessioni teoriche, specialmente quelle riguardanti l’analisi di Bordiga sullo Stato e la scelta internazionalista che l’intellettuale toscano stesso aveva condiviso durante l’ultima guerra”.12

La preoccupazione maggiore di Masini non fu però soltanto quella di costruire un’organizzazione che in una situazione controrivoluzionaria non avesse altro scopo che quello di illustrare, documentare e descrivere la crisi, non solo economica ma soprattutto politica del movimento proletario, dare la rappresentazione geometrica e puntuale di questa crisi fondando in tal modo le premesse della riscossa proletaria. Ma anche quella di chiarire che nel momento in cui il lavoro politico fosse venuto

“a combaciare con la realtà rivoluzionaria, in questa si dissolve e scompare come movimento. Guai se l’organizzazione politica sopravvivesse di un attimo! Guai se anche i gruppi anarchici di fabbrica non si bruciassero ipso facto nel nuovo spazio umano delle assemblee. Avremmo allora una mostruosa dittatura, chiusa e tirannica quanto altre mai. L’alba della rivoluzione deve coincidere col tramonto dei suoi annunziatori”13

Quell’avventura politica sarebbe durata fino al 1957, in uno dei periodi più burrascosi e difficili per il movimento operaio non soltanto italiano; segnato dalla fine apparente dello stalinismo, dalla rivolta operaia “rimossa” di Berlino Est del 1953 e dalla repressione sovietica dell’insurrezione dei consigli ungheresi del 1956. Nel mentre quei compagni sarebbero stati sempre attenti ai nuovi sviluppi della lotta di classe e all’evolversi della situazione internazionale e dei conflitti interimperialistici.

L’organizzazione sarebbe stata attraversata anche dolorosamente dalle contraddizioni esplosive che si manifesteranno nella seconda metà del decennio post-bellico, ma sempre quei compagni avrebbero cercato di non perdere la rotta e di mantenere un punto di vista adeguato sia alla situazione ancora ritenuta controrivoluzionaria che alle possibili evoluzioni future della lotta di classe e della rivoluzione.
Come esempio di tale attenzione e lucidità basti qui ricordare una risoluzione del Comitato nazionale dei GAAP sui moti di Berlino del giugno 1953:

“Il giorno 17 giugno le strade di Berlino, quelle stesse strade che nel primo dopoguerra rosso furono teatro della estrema resistenza spartachiana contro le truppe del traditore Noske, sono state invase da prorompenti turbe di lavoratori e di lavoratrici che dopo anni di silenzio, di reazione croce-uncinata, di guerra imperialista, di occupazione militare hanno levato la voce fremente ed angosciosa di una classe di schiavi in rivolta. Come anarchici e come rivoluzionari noi consideriamo questo avvenimento, insieme alle eroiche sollevazioni dei popoli coloniali, insieme alle dure lotte dei lavoratori europei contro l’imperialismo americano, come uno dei fatti più importanti e più significativi degli ultimi anni.
Il 17 giugno l’imperialismo sovietico ha rivelato le debolezze e le contraddizioni del suo sistema non più attraverso oscuri conflitti tra alti gerarchi di partito e di governo, facilmente risolvibili con l’impiccagione dei vinti, non più attraverso processi, sensazionali e clamorosi quanto privi di ogni significato sociale, di fronte ai quali le masse assistevano passive e attonite. No, questa volta le masse sono entrate nel processo come accusatrici ed hanno impostato la causa su chiari motivi di classe: di là lo Stato burocratico e poliziesco, l’esercito straniero, il partito di governo; di qua noi, popolo lavoratore, armato dei nostri diritti al pane ed alla libertà. Ancora una volta è stato dimostrato che né il peso opprimente di una dittatura, né l’illusione di un «socialismo» statalista e burocratico. Né il violento annientamento fisico di ogni qualificata opposizione rivoluzionaria sono sufficienti a garantire la classe egemone dall’incontenibile insurrezione delle forze di classe che sgorgano alla base della sua stessa egemonia e le si avventano contro”.14

L’enorme mole di documentazione e di testi riportati in questo primo volume andrebbe esaminata ancora più approfonditamente, cosa che lo spazio di una recensione non può permettere, ma sicuramente le pagine della coraggiosa e ampia opera di ricostruzione curata da Bertolucci, insieme a quelle dei due volumi che seguiranno15 e che ancora qui su Carmilla saranno recensiti, richiamano tutti allo studio della Storia e ci ricordano che il processo di formazione dei partiti e dei movimenti reali non è semplice né casuale né, tanto meno, volontaristico. Sorge invece da lunghe riflessioni sulle sconfitte passate e dalla dura esperienza delle lotte reali, condivise (non soltanto sulla base ideologica) e diffuse sui territori, non da un’urna elettorale e nemmeno dall’aggregazione di rappresentanti di formazioni politiche ormai defunte che come fantasmi si rifiutano semplicemente di accettare l’idea di esser già scadute da tempo.


  1. Come spesso si ricordava orgogliosamente, senza allo stesso tempo ricordare quale incredibile baluardo della restaurazione borghese questo avesse finito col rappresentare fin dalla svolta di Salerno e quale ostacolo avesse sempre costituito per la riorganizzazione di classe dal basso e per l’autonomia politica della stessa  

  2. G. Berti, Il pensiero anarchico: dal Settecento al Novecento, Lacaita, 1998, pp. 47-48 cit. in F.Berolucci, Per una storia dei Gaap, in GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.1, pag. 56  

  3. F. Bertolucci, op.cit. pag. 56  

  4. Bertolucci, op.cit. pp.57-58  

  5. Bertolucci, pag. 61  

  6. op.cit. pp. 94-95  

  7. pag.96  

  8. pag.96  

  9. pag. 97  

  10. pag. 110  

  11. pag. 114  

  12. pp. 153-154  

  13. Cit. in Bertolucci, pag. 97  

  14. Le rosse giornate di Berlino est, Genova 15 luglio 1953, op.cit. pag. 475  

  15. Il secondo intitolato: Dalla rivolta di Berlino all’insurrezione di Budapest. Dall’organizzazione libertaria al partito di classe; mentre il terzo sarà dedicato alle biografie dei vari militanti