di Ismail Piccolo

BrunoLiberu.jpg[Giovedì 27 sarà una data importante: quella dei “brigatisti potenziali”. A Milano si svolge infatti l’ultima udienza del processo d’appello agli arrestati nell’ambito della cosiddetta Operazione Tramonto, accusati di voler costituire un “partito comunista politico-militare” senza peraltro avere posto in pratica la loro intenzione. A Roma si apre invece l’udienza preliminare contro i sospettati della volontà di dare vita a un’ipotetica organizzazione denominata “per il comunismo: brigate rosse”.
Di entrambi i casi, emblematici del motto “dove non ci sono i terroristi, li si inventa”, ci siamo già occupati, ponendo in rilievo il crollo di tutti i “riscontri materiali” enumerati dagli organi di polizia e ripresi da quelli di informazione. Adesso vogliamo concentrarci su un caso singolo appartenente alla seconda inchiesta, l’Operazione Arcadia, perché pare riassumere tutta la fragilità di simili montature.
] (V.E.)

È passato quasi un anno da quando Bruno Bellomonte, assieme ad altre cinque persone, è stato arrestato per ordine della Procura di Roma con l’accusa di associazione sovversiva, banda armata e possesso di armi da fuoco. Secondo le intercettazioni il gruppo, oltre alla ricostituzione di un partito armato nel solco delle BR-PCC, si proponeva di compiere un clamoroso attentato a La Maddalena in vista del G8 , cioè bombardare le navi degli otto grandi tramite modellini radiocomandati.

Nelle indagini furono coinvolte anche altre 15 persone, tra cui Luigi Fallico (esponente negli Anni Ottanta dell’Unione comunisti combattenti) e Manolo Morlacchi, figlio dell’ex BR Pierino (di cui Carmilla si è già occupata in passato, qui e qui).
Dopo essere stato detenuto in regime di isolamento nel carcere di Regina Coeli a Roma per circa un mese e mezzo, Bellomonte, dirigente di primo piano del movimento indipendentista sardo A Manca pro s’Indipendenzia (A sinistra per l’indipendenza, ndr) , è stato trasferito nel penitenziario di Siano nei pressi di Catanzaro. A più riprese sia il “Comitato per la territorialità della pena”, sia diversi esponenti politici hanno chiesto il rispetto di questo principio, sancito sia dalla legge 354 del 1975 che da un successivo protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e la regione Sardegna (siglato il 7 Febbraio 2006), ma a tutt’oggi non è stata data nessuna spiegazione esauriente di questo provvedimento, tranne un laconico “opportunità penitenziaria”.
Bellomonte non è nuovo a questo tipo di vicende. L’11 luglio 2006 dieci militanti di A.M.p.I furono arrestati con l’accusa di essere i responsabili di trenta azioni terroristiche accadute in Sardegna in quegli anni. Anche in quel caso l’inchiesta mostrò subito delle crepe. Tra i fermati, Bruno Bellomonte, dopo “soli” diciotto giorni di detenzione, riuscì a dimostrare l’infondatezza dell’accusa. Si scoprì infatti che la conversazione di cui era incriminato (in cui si sarebbe progettato l’attentato a Porto Cervo), non ebbe mai luogo perché, il giorno in cui si sarebbe svolta, lui si trovava in Tunisia, con tanto di timbro di entrata e di uscita delle autorità tunisine nel passaporto.
Già durante la conferenza stampa a Nuoro, alla presenza del magistrato, dei rappresentanti delle Digos di Cagliari, Sassari e Nuoro, gli inquirenti non nominarono una sola volta i rappresentanti di A.M.p.I.; dissero solamente che erano stati arrestati i membri dell’N.P.C. (Nuclei Proletari Comunisti) e dell’O.I.R. (Organizzazione Indipendentista Rivoluzionaria), autori dei trenta atti terroristici compiuti in Sardegna tra il 2002 e il 2006. Questa fu la prima versione dei fatti. Dopo qualche giorno però rettificano le loro affermazioni dichiarando: “abbiamo le prove di un loro coinvolgimento materiale in tre azioni: l’attentato alla prefettura di Nuoro, l’attentato a Porto Cervo durante la visita di Blair a Berlusconi e quello contro la discoteca di Umberto Smaila”. Nel giro di un paio di giorni la versione cambiò e dalle prove contro gli esecutori di trenta attentati si passa a tre! Ciò che accadde fu che, nel giro di qualche giorno, gli avvocati della difesa riuscirono ad avere accesso alle carte, in cui si ravvisò chiaramente che le intercettazioni (tutte ambientali e non telefoniche) erano in massima parte incomprensibili e sgrammaticate e costruite con un uso metodico del copia & incolla.
Le ultime tracce pubbliche di questa operazione, denominata “Arcadia”, risalgono al 29 settembre 2007, giorno in cui il gip di Cagliari revoca tutte le limitazioni della libertà imposte ai 9 militanti (sette sassaresi e due nuoresi) di A.M.p.I.

Fin da quel terribile 10 giugno attorno a questa nuova situazione si sono però accese iniziative di solidarietà nei confronti di “zio Bruno” (come lo chiamano affettuosamente i militanti più giovani). Sia i suoi compagni che chiunque sia entrato in contatto con lui in tutti questi anni sa che la sua azione politica (è stato candidato alle ultime elezioni regionali sarde nella Lista “Unitade Indipendentista”) che quella sociale (sindacalista dell’UCS fin dalla prima ora poi confluito nell’SDL) si è sempre svolta alla luce del sole, in modo quindi diametralmente antitetico a quello delle Brigate Rosse.
L’avvocato che segue il caso, Simonetta Crisci, (nota anche per la sua esperienza di assistenza legale durante il G8 di Genova) ha recentemente dichiarato: «Avrebbe avuto tempo e modo qualche decennio fa, quando c’erano diverse organizzazioni clandestine, di aderire a programmi di lotta armata. Non l’ha mai fatto. Le contestazioni sono ricavate dall’intercettazione ambientale in un ristorante romano fra Bellomonte e Fallico, accusato di voler ricostituire una cellula delle Brigate Rosse. La registrazione è in più punti incomprensibile e proprio da quei punti l’accusa ricava l’intenzione di bombardare obiettivi a La Maddalena da elicotterini radiocomandati. Non emerge altro che una frequentazione saltuaria fra i due». Ma dove sarebbero questi cacciabombardieri telecomandati? Dove i covi della struttura militare di cui disporrebbe A.M.p.I.? Dove i piani di attacco e di fuga necessari in una operazione militare di questa portata? E soprattutto come fa Bruno Bellomonte a essere contemporaneamente capostazione, sindacalista attivissimo, dirigente indipendentista e a capo di tre organizzazioni armate (non dimentichiamoci l’inchiesta del 2006 che lo vedeva a fondatore di NPC ed OIR)? Secondo i militanti del movimento, per esempio, riguardo all’organizzazione del controvertice, le parole pronunciate da Bellomonte si riferivano a «zone rosse. Ma solo per capire dove avremmo potuto manifestare e dove no. Ci interessava sapere come muoverci per chiedere le relative autorizzazioni. E questo ci sembra lecito».
L’ennesimo sopruso nei confronti di Bellomonte si è però consumato lo scorso 10 maggio, quando Trenitalia ha deciso di licenziarlo per la prolungata assenza dal lavoro originata da «cause unicamente ascrivibili alle sue responsabilità». Come sempre accade in questi casi, l’imputato dovrebbe essere sospeso dal servizio, e non licenziato. Purtroppo ancora una volta Trenitalia (vedi il caso di Dante De Angelis) dimentica che viviamo in uno stato di diritto e che nessuno può essere condannato prima del processo.
27maggio2010.jpgAnche in questo caso però le iniziative contro questo ennesimo sopruso non hanno tardato a manifestarsi; con lo slogan “Per Bruno Bellomonte reintegro e libertà subito!” il portavoce del comitato Lavoratori pro Bellomonte, “il minatore rosso” Antonello Tiddia, ha dato il via ad una petizione nazionale a sostegno del ferroviere licenziato da Trenitalia, raccogliendo in poche ore molte centinaia di firme. “Oltre al danno la beffa”, sottolinea Tiddia. “Dopo una ingiusta carcerazione preventiva è giunto il licenziamento. Bellomonte – spiega – è un ferroviere capostazione a Sassari, un militante delle lotte in Sardegna tra i più stimati e conosciuti per antica militanza sociale e sindacale. È un personaggio pubblico che non ha mai avuto niente da nascondere. Approfittando del suo stato di debolezza Trenitalia lo ha licenziato mandandogli una lettera nel carcere di Siano, nonostante non sia stato mai condannato ma solo in attesa di giudizio ”.
È quindi per restituire a Bruno la dignità di indipendentista e di dirigente politico e per mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica e dei movimenti democratici sulla sua vicenda, che il suo partito ha deciso di presentarlo come candidato alla carica di sindaco nella città in cui risiede da oltre trent’anni, Sassari, con lo slogan indipendentista presoneri (prigioniero, ndr). A tutt’oggi la sua candidatura ha ricevuto l’appoggio esplicito sia del partito indipendentista Sardigna Natzione Indipendenzia, sia della sezione sarda di Sinistra Critica che di altre realtà legate all’indipendentismo e all’antagonismo.
Purtroppo anche in questo caso, come denuncia in questi giorni il “Comitato per la territorialità della pena”, Bellomonte rischia di subire un’ennesima violazione dei suoi diritti; infatti come candidato a sindaco di Sassari rischia di non poter votare a causa della mancata applicazione – per i noti motivi di “opportunità penitenziaria” – della legge sulla territorialità della pena. “L’impossibilità di esercitare il diritto elettorale sia attivo sia passivo – afferma il Comitato – cioè di elettore e di candidato, è, a causa della mancata applicazione della legge sulla territorialità della pena, l’ulteriore negazione di diritti nei confronti di Bruno Bellomonte e di tutti i detenuti sardi che si trovano reclusi fuori dalla Sardegna” (basti pensare che Bellomonte si trova dal luglio 2009 nella Casa Circondariale di Siano presso Catanzaro, località che i suoi amici e familiari possono raggiungere con due giorni di viaggio e con una spesa superiore ai 400 euro a testa).
L’accusa romana guidata dal PM Saviotti ha chiuso le indagini lo scorso marzo. A questo punto seguirà l’incontro (fissato per il prossimo 27 maggio) dell’accusa e della difesa davanti al Gup, il quale deciderà se ci sono le condizioni per il rinvio a giudizio o meno e quindi lo svolgimento del processo. Ricordiamo che il Riesame e la Cassazione hanno finora respinto ogni richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa pur non essendo in presenza di alcun reato di fatto contestato. Date queste premesse e dato l’attacco sempre più cruento a cui sono sottoposte le forze antisistema in questo paese, non ci viene facile riporre fiducia in questa magistratura, ma attendiamo impazienti e pronti a continuare la nostra battaglia per chiudere questa ennesima brutta pagina di storia della repubblica italiana.

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Qui una cronistoria dettagliata ed esaustiva della vicenda Bellomonte.
Qui si può firmare l’appello contro il licenziamento di Bruno.
Qui un video molto bello che sintetizza la vicenda di Bruno.