di Vittorio Catani

Stamani appena sveglio: atrazina, cloro benzofenone. Spalanco la finestra ma ci sarebbe da non farlo più, da inchiodare le serrande: altro che cambiare aria peynet03.jpgin camera. L’esterno vomita veleni e l’atmosfera pulita pompata ieri sera nella stanza dal serbatoio domestico (50 euro ogni bombola da 20 litri) è volata a disperdersi su nel cielo, a imbottirsi di particolato e polveri sottili come una baldracca che si faccia ingravidare dal demonio.
Sbarro tutto e vado alla doccia. Marzia mi chiama via microcellulare, mi risuonano gli innesti mobili su entrambi i timpani: — Vieni a prendermi? — Rispondo: — Più tardi, cara. E preparati come dico io. — Vedrai, bella mia… Marzia ha richiuso senza fiatare. Piccolissime estensioni del cellulare nel cranio: microonde che si arrampicano a corrodermi il cervello. Il getto d’acqua mi inonda, sulla pelle dilagano riflessi opachi e filamenti di cristallo incrinato, gocce come piccoli diamanti appassiti. Sostanze tossiche. Evaporano. Le inalo.
Sono appena le 7,15.
Perché i baroni dell’Acquedotto trattano l’acqua col cloro anziché con l’ozono?

Non sarebbe cancerogena. Ma chissenefrega… Avanti, m’innaffio ben bene, a me piace tanto l’acqua non fredda ma tiepida, tiepida ma non calda, calda ma non bollente. Shampoo: una parola innocua. Innocua? Magica! Contiene a sua volta altre parole: acrilati, ftalati, dietilsiftalato. Gente, qui siamo ai perturbatori ormonali. Diventerò impotente? O femmina? Chissà che ne pensa Marzia. Ma poi, mi fa un baffo: magari lei diventa maschio e siamo pari. Lei invece non si lava: e me la rido! Allegri ragazzi, oggi è un altro giorno e siamo vivi sani e pimpanti. Ce ne sono anche nelle saponette e nei profumi: ftalati, dico. Tutto ciò che vedete nel mio bagno (ma soprattutto nel vostro) profuma: cancerogeno! Teratogeno (cioè attenti, questa roba fa nascere sgorbi di feti, d’altronde cos’altro se non mostri possono uscire dal ventre d’una baldracca che copula col demonio).
Oggi fa più caldo del solito. Un caldo umido malato. Mi andrebbero gli antitraspiranti. (Alluminio, parabeni…). Nei rossetti, nel phard, nelle matite da trucco (il bacio avvelenato di Marzia. Il suo odore mortale). Da un bel po’ anche noi uomini usiamo rossetti, mascara e una carrettata di cosmetici. (Metalli pesanti!) Nei vestiti: il rayon, detersivi. Gli abiti ritirati dalla lavanderia avvolti nella plastica: percloroetilene, tossico per fegato e sistema nervoso! Per lavoro uso computer, fax e affini: campi elettromagnetici, ritardanti di fiamma bromurati (Bfr). Intaccano scheletro, tiroide, sistema ormonale…
Ogni mattina io mi alzo e assorbo veleni ventiquattro ore al giorno. E mi viene da ridere. Perché?
Esco.
Per strada mi accorgo che l’aria puzza più di ieri, è color grigio-marrone, sembra una marmellata di liquami. E il caldo soffoca.
M’incammino ma è come muoversi sott’acqua. La città che mi imprigiona è uno sfondo opaco di viavai frenetico, strombazzamenti, grida, figure in corsa. Auto e autobus s’incrociano in una giostra da capogiro.
Ieri ho ricevuto cinque email che riguardano amici o conoscenti passati a miglior vita. Non voglio pensare. Anzi sì: io sono qui, vivo in una cloaca proprio per questo: perché c’è gente che arriva a un punto oltre il quale non ce la fa. (Me lo ripeto, ripeto, ripeto). Sono un eroe! A me l’inquinamento, per dirla fuori dai denti, mi tira il pelo più lungo. Ore 8,30 e ho deciso, oggi andrò a una delle discariche. Ci manco da un bel po’ e voglio rendermi conto dello stato dell’arte, voglio immergermi nella più viva e per così dire palpitante realtà ambientale. Avviso Marzia? Ottima idea. M’incammino saltellando, fischiettando, telefoninando a Marzia. — Tesoro — le dico — tesoro, aspettami alla discarica B… Come? La faccenda del tuo stomaco? Non preoccuparti, ho con me una pilloletta… — Marzia è titubante, poi esala un: — Sì gioia, vengo. — Che importa? La pillola da darle non sarà più letale di tutto il resto. Oltre un certo limite, capite, non c’è nulla che possa fare ancora più male. E’ quasi un vantaggio, accidenti.
Per la discarica B, che è lontana, chiamo un taxi. Arriva, salgo. Anche l’interno del taxi puzza. L’auto riparte al volo, quasi dovesse portarmi al pronto soccorso. Ih! Pochi lo sanno: l’inquinamento in auto è sestuplo di quello su strada. Quasi converrebbe prendere una bici. Nell’abitacolo il benzene supera 35 volte il limite accettabile. In bici, invece? Beh, se scegliete una via di campagna e pedalate veloci per ossigenarvi (si fa per dire), anziché benzene assorbite sterco chimico delle piante. (Disinfettanti, ormoni, antidiserbanti, coloranti). E io continuo a ridermela!
Toluene, benzene, xilene. Sissignori, siamo esposti giornalmente a circa 550 composti chimici. Nel 2004 erano 300 ma oggi, nel 2012… io me la rido, perché nella chimica velenosa zozza cancerosa virulenta teratologica stramaledetta ci navigo!
— Vai alla discarica B — ho detto al tassista, cogliendo la sua smorfia di disgusto. Poi mi ha guardato dallo specchietto in silenzio e ha messo la mascherina (puzzo tanto anch’io?!) Ecco, la sua smorfia è l’esempio tipico d’uno sciocco riflesso condizionato: la discarica B non è più velenosa del centro città! E’ questo che la gente non si infila nella zucca: che superato un certo margine non esiste più un margine, centro o periferia o l’inferno sono uguali. Cosmetici, detersivi, sigarette al catrame, contenitori alimentari, il contenuto dei contenitori alimentari, gli stessi alimentari: i “valorizzanti” (li chiamano così per non spaventare, in realtà “cancerogeni”)…
— Arrivati! — annuncia trionfante il tassista e spalanca veloce lo sportello. Pago. Si è infilato un’altra mascherina sulla mascherina! Non si accorge che devo ancora dargli quattro euro, risale in macchina e schizza via con una sgommata.
Guardo la discarica B. L’annuso.
La percepisco sulla pelle. Nello stomaco, nelle budella.
…E mi sento a casa mia.
Montagne, himalaya, tsunami di rifiuti. Il tanfo (o l’odore: ho detto cosa succede oltre un certo limite) è alle stelle (“stelle” adesso mi suona strano: nel cielo notturno sono scomparse e quando non pronunci da tempo una parola, poi ti sembra nuova, suona strana). Direi quasi che mi sento a casa! Nei pressi del cancello c’è Marzia.
— Come hai fatto a precedermi, hai volato?
Lei mi prende sotto braccio e risponde con un sorriso: — L’amore mi mette le ali ai piedi.
Entriamo.
Il guardiano, Pasquino, è un uomo di mezz’età grasso, calvo, con brutti nei sulla faccia e sul cocuzzolo. Ci sorride lasciandoci passare, siamo habitué del luogo. —Da quel vialetto? — sussurra lei stringendomi una mano. Mi accorgo che la sua è un po’ viscida. Ci avviamo. Gli effluvi prorompono da ogni lato, hanno una gamma diversificata ma il tratto comune strisciante è la decomposizione. Vediamo colline enormi d’immondizia ancora non inscatolate: fumano. Un normale processo chimico d’autocombustione spontanea. Una persona non avvezza, delicatina, potrebbe vomitare. Forse svenire. Mi sbellico! Do la pilloletta promessa a Marzia (è un semplice analgesico) e proseguiamo. Poco dopo ci fermiamo, sediamo su un cassone metallico sfondato.
— Guarda! — mi dice Marzia. Il tanfo è alle stelle (“tanfo”, “stelle”?) Le ondulazioni sono interminabili, la città è scomparsa, da un lato svettano contro il cielo opaco cime di meccanismi scrostati e rugginosi per la lavorazione dei rifiuti, ma c’è silenzio. Finalmente! Un po’ di pace, via dal mondo insensato.
Ci guardiamo negli occhi. Marzia ha un sorrisetto malizioso, lentamente incomincia a spogliarsi. Dentro comincia a salirmi qualcosa. La divoro con lo sguardo. Una tetta schiocca fuori dal bordo del reggiseno con un plop! Mi strappo i vestiti di dosso, l’afferro, la spingo, quasi la scaravento contro una collinetta…
Affondiamo in un magma cedevole, umido, filante, tiepido, a tratti bollente, rigurgitante, ridondante di sentori fortissimi estremi e che quasi ci fagocita. La nostra passione sale a vertici irraggiungibili! Sento l’odore di lei (è obbligata a non lavarsi per accrescere il valore dei test), ci rotoliamo, comincio a leccarla tutta, ci accendiamo come torce, stiamo per esplodere insieme in una fiammata…
Mi squilla il microcellulare negli orecchi.
Cerco di ignorarlo, mi pare la voce il dottor Arcidiacono, gracchia che è urgentissimo, parla-parla-parla, vammorì ammazzato!

Ci ricomponiamo. Ci scrolliamo un po’ inutilmente per ripulirci, asciugarci, avviandoci mano nella mano in silenzio.
— E’ stato stupendo — alita Marzia sognante.
— Ho una notizia — dico.
Mi guarda speranzosa. Magari crede che le chiederò di sposarla, o di convivere.
— Mentre noi… insomma proprio in quel momento… ha chiamato Arcidiacono. Diceva che… — Inghiotto. Esito a proseguire.
— Ha chiamato anche me qualche giorno fa, il mio contratto di lavoro non sarà rinnovato alla scadenza — dice Marzia.
— Davvero? — Di questo, a me nessuno ha detto nulla. — E quindi?
— Dovrò dire addio a questo schifo di lavoro — aggiunge stizzita. — Perfino una cavia delle multinazionali farmaceutiche è soggetta a capricci e mafie. Un lavoro merdoso come nessun altro, ma un lavoro.
Testare lo Strepitoso Antitutto Multiplo che difende da cancri e virus, è un lavoro da benefattori dell’umanità, è per questo che ci danno quattro soldi: ci fanno un favore. Dobbiamo solo calarci 24 ore al giorno in ogni sterco immaginabile. “Lavoriamo nella cacca ma dobbiamo essere felici perché salviamo il mondo!” Mi accorgo che ho urlato l’ultima frase. Marzia si scosta.
— Che ti succede — esclama contrariata, — isteria post-coitale?
Avanzo di qualche passo lasciandola indietro. Guardo in giro. Dentro ho un buco nero, improvvisamente le collinette e il profluvio di sentori non significano più nulla per me. Detesto la discarica. Fa schifo! Questo cesso è lo specchio segreto di quanto c’è fuori di qui: una città-fogna, fetidi produttori, lucratori di veleni, marci governanti, lurido universo! Una camicia di forza che non potremo mai toglierci… Torno indietro e in un impeto abbraccio Marzia, ma la sento rigida. Dico:
— Scusa… Arcidiacono, sì, ha detto qualcosa anche a me, ha detto… insomma dobbiamo troncare immediatamente, per il nostro bene. Capisci? Tutti! Smettere di essere cavie. Ormai assodato: l’Onnivaccino Multiplex che ci propinano è efficacissimo, distrugge cancri e virus ma… Sì, mi ha riferito così, Arcidiacono. A sua volta l’Onnivaccino è… da evitare. Cancerogeno! Il peggiore, sissignori. Ti riduce a fetidi brandelli sanguinolenti fra dolori atroci e non ha rimedio: per definizione. Nulla può uccidere il cancro prodotto da un onnivaccino anticancro!
Resto sfiatato, senza parole, svuotato.
— Noi — sussurra Marzia — lo stiamo assumendo da sei mesi…
C’è nella sua voce una nota implorante, disperata, da anima dannata. Quel suo dolore allo stomaco… Ha il viso incrostato e rigato da viscidume. Le sue labbra sono avvelenate. Il suo ventre è letale.
Ma i suoi occhi sono irresistibili.
— Ti amo — dico.
Ti-amo-ti-amo e affondo le mie labbra nelle sue e rimescolo esalazioni e veleni con i suoi, mi sento esplodere dentro. Vorrei urlare, correre sparire smuovere distruggere ammazzare. — Dove andiamo, che facciamo adesso! — grido.
Scruto intorno.
Riprendere la vita ipocrita di sempre mi dà i conati. Su un’ondata di rifiuti, lontane, giacciono due basse baracche sgangherate di legno. — Guarda.
Lei guarda. Ci capiamo al volo, Marzia e io.
Lentamente, stancamente, spalle alla città, risaliamo le onde affondando alle ginocchia nel mare fatiscente che gronda vermi urticanti, insetti con zanne e aculei, mostruose bestie della decomposizione. Le baracche sono lì a scrutarci, sono fauci sdentate. Ma noi avanziamo.
Abbiamo trovato l’unico mondo pulito: il nostro.