fineterra.jpg[Curato dal WWF, State Of The World 2006 (qui la versione integrale tradotta in italiano) è il più autorevole rapporto al mondo su ambiente, sviluppo, ecologia e risorse. Eccone riassunti i trend principali. A questa sintesi del rapporto WWF, aggiungiamo un articolo emblematico e inquietante ripreso da una ricerca di New Scientist e pubblicato da Repubblica: cosa rimarrebbe dei resti della civiltà umana scomparsa nel giro di 10.000 anni?]

Cina e India.
– L’India ha già la quarta industria mondiale nel campo delle tecnologie per l’energia eolica, mentre Cina e India sono rispettivamente al terzo e quarto posto nella produzione di etanolo. Entrambi i paesi hanno un territorio ricco di fonti diverse di energia rinnovabile in grado di attirare gli investimenti nazionali ed esteri.
– Nel complesso, Stati Uniti, Europa, Giappone, Cina e India sfruttano il 75% della “biocapacità” della Terra, lasciando solo il 25% al resto del mondo.
– In media, il cittadino cinese ha un’impronta ecologica di 1,6 ettari globali, mentre in India l’impronta ecologica pro capite è di 0,8 ettari. Per contro, negli Stati Uniti il cittadino medio ha un’impronta pari a 9,7 ettari e tra il 1992 e il 2002 tale impronta è cresciuta del 21%.

L’industria globale della carne.
– Nel 2004, sono stati prodotti nel mondo circa 258 milioni di tonnellate di carne, il 2% in più rispetto al 2003. La produzione mondiale di carne è cinque volte quella del 1950 e oltre il doppio rispetto ai livelli degli anni 70.
– L’aumento più rapido del consumo di carne si registra nei paesi in via di sviluppo, dove oggi una persona consuma mediamente quasi 30 kg di carne all’anno. Nei paesi industrializzati il consumo procapite è di circa 80 kg l’anno.
– Quello intensivo è ormai il sistema di allevamento in più rapida espansione. Oggi dai sistemi industriali derivano, a livello mondiale, il 74% dei prodotti di origine avicola, del 50% di quelli di origine suina, del 43% della produzione di manzo e del 68% di quella di uova.

Ecosistemi di acqua dolce.
– Nel mondo, almeno la metà dei suoli compresi in un terzo dei 106 principali bacini idrografici è stata convertita a usi agricoli o urbano-industriali.
– Per soddisfare il fabbisogno idrico degli 1,7 miliardi di persone che dovrebbero aggiungersi alla popolazione mondiale entro il 2030, occorrerebbero 2040 chilometri cubi d’acqua all’anno, vale a dire 24 volte la portata annua del Nilo.

Biocombustibili.
– Nel 2004, etanolo e biodiesel hanno fornito insieme il 2% del carburante utilizzato per i trasporti a livello mondiale. Dal 2000 la produzione globale di etanolo è più che raddoppiata, mentre quella di biodiesel è triplicata. La produzione di petrolio, invece,n dal 2000 a oggi è aumentata solo del 7%
– In teoria, il mondo potrebbe produrre biomassa sufficiente a soddisfare completamente la domanda mondiale di carburante per i trasporti prevista per il 2050.
– I principali produttori (Brasile, USA, Unione Europea e Cina) prevedono di raddoppiare la produzione di biocombustibili entro i prossimi 15 anni.

Nanotecnologie.
– Si prevede che entro il 2014 il valore dei prodotti che sfruttano le nanotecnologie raggiunga i 2600 miliardi di dollari (il 15% della produzione industriale globale), pari a 10 volte il valore dell’industria biotecnologica ed equivalente alla somma delle industrie dell’informatica e delle telecomunicazioni.
– Più di 720 prodotti contenenti nanoparticelle, senza etichetta e senza controlli, sono disponibili sul mercato e migliaia sono in fase di produzione, mentre restano incerti e imprevedibili gli effetti delle nanoparticelle sulla salute umana e sull’ambiente.

La circolazione globale del mercurio.
– La combustione del carbone è responsabile di due terzi delle 2000 tonnellate di emissioni antropogeniche di mercurio che ogni anno vengono rilasciate nell’atmosfera.
– L’80% dell’impiego di mercurio nel mondo avviene nei paesi in via di sviluppo, soprattutto in Asia orientale, che si trova in cima all’elenco con 1032 tonnellate, seguita dall’Asia meridionale con 634 tonnellate. La Cina e l’India continuano a rappresentare da sole quasi il 50% della domanda mondiale di mercurio.

I disastri naturali.
– Nel complesso, nel 2004 le perdite economiche dovute ai disastri naturali sono ammontate a 145 miliardi di dollari, due terzi delle quali attribuite alle manifestazione atmosferiche (uragani, tempeste) e un terzo a eventi geologici, tra cui lo tsunami che ha devastato l’Asia meridionale.
– Nel mondo, una quota sproporzionata di popolazioni povere vive nelle zone esposte ai disastri: i paesi con un basso indice di sviluppo umano registrano il 53% delle vittime delle calamità naturali, anche se ospitano solo l’11% della popolazione mondiale esposta alle catastrofi naturali.

Commercio e sviluppo sostenibile.
– I paesi dell’OCSE forniscono incentivi ai propri settori agricoli per la somma di 300 miliardi di dollari l’anno, molti dei quali finiscono per incoraggiare l’abuso di sostanze chimiche e la coltivazione di terre poco fertili.
– Alla fine del 2005 entreranno in vigore 300 accordi regionali sul commercio. Questi accordi, quando sono stipulati tra paesi in via di sviluppo contengono poche clausole ambientali o non ne contengono affatto.

L’ambiente nella società cinese.– Il decimo Piano Quinquennale cinese è il più “verde” della storia, dato che prevede uno stanziamento di 85 miliardi di dollari per gli obiettivi ambientali. Questi traguardi sono già in via di raggiungimento.
– Oggi la Cina registra almeno 2000 Ong ambientali indipendenti e nel paese si contano oltre 200 gruppi “verdi” a livello universitario.

Trasformare le società multinazionali.
– Ad oggi le società transnazionali sono più di 69.000 e contano oltre 690.000 filiali estere.
– Nel 2004 gli investitori hanno rivolto alle corporations americane 327 contestazioni su tematiche sociali o ambientali, vale a dire il 22% in più rispetto all’anno precedente. Gli azionisti ne hanno poi ritirate 81 dopo che le società hanno accettato di affrontare le questioni sollevate, che andavano dal cambiamento climatico ai finanziamenti politici, dalle condizioni di lavoro al benessere animale.

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E se un giorno l’umanità scomparisse? La Terra la dimenticherebbe in fretta
[da Repubblica, 12 ottobre 2006]
ROMA – Abbiamo la capacità di viaggiare nello spazio, siamo riusciti a colonizzare buona parte delle terre emerse, possiamo fare cose che nessun’altra specie vivente, almeno sul nostro pianeta, ha mai nemmeno immaginato. Eppure, per quanto possa essere difficile accettarlo, tutti le nostre opere sono effimere e potrebbero essere distrutte con disarmante facilità. Perché la Natura è più forte dell’uomo e, in un tempo relativamente breve, potrebbe cancellare ogni sua traccia. E non finisce qui: senza la nostra presenza, il mondo starebbe molto meglio. Sono le amare conclusioni di uno studio pubblicato dalla rivista New Scientist, che si è posta una semplice domanda: cosa accadrebbe se all’improvviso l’umanità scomparisse?
Senza voler pensare a catastrofi o pandemie, immaginiamo dunque che gli oltre 6,5 miliardi di persone che popolano la Terra se ne vadano, magari diretti in un’altra galassia. Cosa accadrebbe al nostro pianeta? Lasciata da sola, dicono gli autori della ricerca, la Natura reclamerebbe immediatamente gli spazi che le erano stati sottratti dall’uomo. E mentre i campi ritornerebbero boschi e praterie, l’inquinamento calerebbe e la biodiversità tornerebbe a crescere. “La triste verità – dice il biologo americano John Orrock – è che subito dopo la scomparsa degli uomini, l’ambiente inizierebbe a stare molto meglio”.
La distruzione della civiltà umana. Già nelle prime 24 ore senza esseri umani, il volto della Terra cambierebbe profondamente, soprattutto di notte. Senza manutenzione e rifornimenti nelle centrali elettriche, inizierebbero a verificarsi dei black out. Gli impianti di illuminazione rimarrebbero spenti e tutti i macchinari si fermerebbero. Il cambiamento sarebbe visibile anche dallo spazio, con la scomparsa delle luci delle città.
Nel giro qualche anno, avrebbe inizio la distruzione degli edifici e delle infrastrutture. Senza interventi e riparazioni, ogni temporale, alluvione o notte di gelo ne minerebbero la stabilità. Le prime a cedere sarebbero le costruzioni di legno, seguite dai tetti di quelle in muratura. Gradualmente il processo si estenderebbe e, in pochi millenni, delle nostre città non rimarrebbe che polvere.
pripyat.jpgUn buon esempio è fornito dalla città ucraina di Pripyat, nei pressi di Chernobyl. Abbandonata venti anni fa dopo l’incidente nella vicina centrale nucleare, si sta rapidamente riducendo a un ammasso di rovine. A fare più danni sono le piante, che insinuano le loro radici nei muri e indeboliscono le strutture.
Il ritmo della distruzione varierebbe ovviamente in base alle caratteristiche dell’ambiente. Nelle aree più calde e umide, dove i processi dell’ecosistema sono più veloci, le tracce della civiltà scomparirebbero prima rispetto a quelle più fresche e aride.
Le conseguenze sugli animali e le piante. Le razze di animali e piante domestici sparirebbero in fretta. I loro discendenti evolverebbero probabilmente verso forme meno specializzate, tornando in parte allo stato precedente alla selezione effettuata dall’uomo.
Molte specie in via di estinzione, in difficoltà per la riduzione del loro habitat naturale, si gioverebbero della nostra assenza e tornerebbero a crescere. Alcune altre, che sono ormai al di sotto della soglia di sopravvivenza e non sono scomparse solamente grazie all’impegno di alcuni esseri umani, sarebbero invece condannate definitivamente a morte.
Nel complesso, comunque, la Terra sarebbe un posto più sicuro per le specie in pericolo. “Le specie che avrebbero dei benefici sarebbero significativamente di più di quelle che soffrirebbero, almeno a livello globale”, dice il biologo David Wilcock, dell’università di Princeton.
L’inquinamento. Senza gli inquinanti prodotti dalle attività umane, lo stato di salute del pianeta migliorerebbe gradualmente. Alcune sostanze, come gli ossidi di nitrogeno e di zolfo e l’ozono, tornerebbero a livelli normali nel giro di poche settimane. Altri avrebbero bisogno di più tempo: il biossido di carbonio, ad esempio, potrebbe continuare a influenzare il clima per più di 1000 anni.
Il processo di riscaldamento globale, che è causato da moltissimi fattori legati tra loro, potrebbe continuare a lungo ed è difficile stimare quando la temperatura globale potrebbe tornare a scendere. Secondo alcuni, gli effetti dell’attività umana potrebbero farsi sentire ancora per qualche migliaio di anni.
Visioni di un futuro lontano. In ogni caso, tra qualche decina di migliaia di anni, della nostra presenza sulla Terra rimarrebbe ben poco. Secondo New Scientist, un alieno giunto sul pianeta 100mila anni dopo la scomparsa dell’uomo non troverebbe tracce evidenti dell’esistenza di una civiltà avanzata.
Qualcosa, in realtà, rimarrebbe ancora. Ad esempio, i fossili testimonierebbero di un’estinzione di massa avvenuta proprio in questo periodo. Nel sottosuolo si potrebbero poi trovare delle altre concentrazioni di resti di scimmie bipedi, con denti d’oro e gioielli lasciati nelle loro tombe. Inoltre, rimarrebbero dei frammenti di vetro e plastica. Infine, nelle profondità del cosmo, continuerebbe a vagare un impulso radio lungo un centinaio di anni che testimonierebbe la nostra esistenza a chi avesse la capacità e la voglia di ascoltarlo.
Rispetto ai sogni di gloria e immortalità che da sempre attraversano la storia dell’umanità, sarebbe comunque ben poco. “La verità – conclude l’articolo – è che la Terra si dimenticherebbe di noi molto rapidamente”.