HELL HOUSE

di Danilo Arona

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“Esistono case nelle quali può essere pericoloso per il proprio equilibrio mentale mettere piede per il più breve intervallo di tempo. Entrare in una di queste case significa penetrare in una sfera abitata da qualcosa che trascende la nostra percezione e la nostra comprensione, sebbene la presenza silenziosa e cupa si manifesti ai nostri istinti e ci colmi l’anima di oscure apprensioni”. Quantunque provenga da uno scrittore che si chiama Raymond Rudorff, qui si tratta della classica “lezione” di Shirley Jackson, fatta propria nel tempo da molti “grandi” che hanno inteso cimentarvisi: Richard Matheson, Stephen King, Dean Koontz, per citare i più famosi.

Insomma, letteratura, rassicurante fiction che ci comunica tra le righe che “il brutto posto” altro non è che un tòpos di genere che non ha riscontri nella realtà quotidiana. A volte può sembrare che li abbia, ma la psichiatria e discipline limitrofe abbondano di spiegazioni razionali: la follia, i raptus, le depressioni e via cianciando, sono — da che mi ricordo — le migliori etichette (e spiegazioni senz’appello) per i numerosi casi in cui, appunto, la comune comprensione vacilla.
Io non ci credo. In parte perché sono convinto da tempo immemore che la letteratura horror ci trasmetta delle purissime verità per la decodificazione delle quali esiste da qualche parte una password criptata. E in parte perché, svelandovi qualcosa di me stesso, per anni ho esercitato la professione di Dylan Dog (ovvio, senza Groucho né parcella), raccogliendo testimonianze sconcertanti di “brutti posti”, di cui molti visitati personalmente. Non ho il potere di scendere nel dettaglio per parecchi di questi casi. Le case ancora sono in piedi ed esistono i proprietari. La deontologia non puzza nemmeno per i cercatori di spettri. Inoltre i confini tra la spedizione metapsichica e la violazione di proprietà privata sono sfumatissimi, se ci si attacca ai codici. Però, senza farvi cenare con ostriche e champagne, posso presentarvi un piccolo buffet, ovvero la mappa delle autentiche haunted houses del territorio di Bassavilla e dintorni, tutte chicche che, da sole, avrebbero di che stimolare la fantasia ormai prosciugata degli sceneggiatori holywoodiani. Va da sé che vi parlo di quelle di cui si può parlare. Ce ne sono delle altre, sicuro.
La più famosa è Villa Pastore a Pecetto di Valenza che negli ultimi tempi è stata fotografata più volte e appare in diversi siti della rete. La tradizione la vuole collegata ai fantasmi di due bambini (una maschietto e una femminuccia, come in Giro di vite). Lei morta per tubercolosi alla fine del ‘700 e lui travolto dal crollo di un soffitto mentre suonava il piano. Non pochi asseriscono di avere udito, al di qua delle mura cadenti, diffondersi le note di un pianoforte. Si dice che non esistano più proprietari. Invece esistono.
Poi la “casa della strage” di Moncalvo. Un uomo tanti anni fa vi transitò davanti in macchina. Era una casa in campagna, a un chilometro o due dal paese. Di colpo il cielo si rabbuiò e iniziò a grandinare. L’uomo si fermò e uscì di corsa, raggiungendo l’ingresso sotto una tettoia per aspettare la fine del temporale. Lui sapeva che quel posto era disabitato. Non avrebbe dato fastidio a nessuno. Invece la porta alle sue spalle si aprì e apparve una bambina che gli chiese se voleva entrare. Per non sembrare maleducato, lo fece e pochi minuti si ritrovò a mangiare con un uomo anziano, una donna sulla trentina e la bambina. Mangiò, bevette e si addormentò, la testa reclinata su un tavolaccio. Si svegliò poco dopo, per colpa delle urla. Davanti ai suoi occhi, che non potevano credere a ciò che mettevano a fuoco, dei soldati in uniforme stavano massacrando all’arma bianca la ragazzina, il vecchio e la donna. Parevano tedeschi, ma lui aveva fatto in tempo a vederli solo al cinema, nei “film di guerra”. Si fiondò all’esterno, a gambe levate. Ormai era notte. Quando raggiunse Moncalvo, andò a suonare alla porta di un conoscente cui raccontò della ragazzina e dei tedeschi. L’amico lo condusse di nuovo sul posto, il giorno dopo. La casa era ancora lì, ma cadeva a pezzi, completamente in rovina. E il conoscente gli disse: “Guarda che qui non abita più nessuno dal luglio del ’44, quando le tre persone che ci vivevano vennero uccise a colpi di baionetta dai tedeschi.” Io lo conosco l’uomo che ha mangiato la minestra cucinata dagli spettri. Lo incontro almeno una volta la settimana. Se ha voglia di parlartene, te ne parla lui. Ma non ha mai voglia, o quasi.
Poi esisteva la “Cararola”, quasi in pieno centro di Bassavilla, ma che oggi non esiste più. Era un dedalo, un insieme di vecchi cortili collegati fra loro che, dalle spalle di ex convento delle Orsoline adibito a edificio scolastico, sboccava dopo un percorso accidentato e suggestivo tra vecchie case in una larga strada che si chiama Corso 100 Cannoni. Quando ero ragazzino, la Cararola consisteva in un vero e proprio rito d’iniziazione alla Stand By Me, cui non tutti intendevano sottostare. “Ci sono i fantasmi”, si raccontava. E tutti quelli che ci hanno abitato, sino a poco tempo fa, ne concordavano. La chiamavano (perché si trattava di una donna) “la Suclen”, dal misterioso rumore degli zoccoli sul selciato che di notte percorrevano avanti e indietro il lungo dedalo. Qualcuno che aveva fatto ricerche sosteneva che si trattava dello spirito inquieto di una suora che, chissà quando, venne murata viva in una segreta del Convento. La imprigionarono perché fece come la monaca di Monza e qualche migliaio di altre sue colleghe. Tradì i voti di castità, forse con un cuoco o uno stalliere infoiato. Una volta mica si scherzava. Da allora, si diceva, vagava per i vicoli senza pace, ma senza odio. Perché lì probabilmente aveva conosciuto l’amore terreno che l’aveva condotta alla rovina. O magari perché la Cararola era una delle zone più antiche di Bassavilla e rappresentava per lei tutto quanto la legava ad un passato da cui non intendeva staccarsi. Qualcuno la vide anche, la Suclen: figura biancastra ed evanescente, abiti lunghi e bianchi, una lampada in mano, i ben conosiuti passi sul ciottolato. Le solite descrizioni del folclore. Ma una grande agenzia immobiliare, poco prima del Duemila, ha comperato tutte le vecchie case i cui cortili formavano il dedalo e tutto è stato abbattuto. La Cararola è scomparsa. Adesso puoi vedere ardite case-alveare, ammassi modernissimi di condominium alla Ballard. Pochi giorni fa l’ambulanza ha portato via una donna urlante da uno di questi alloggi al pianterreno. Gridava che in casa sua c’era una monaca la cui fronte grondava sangue. Giorno e notte. Voleva qualcosa indietro. Ovvio che sul giornale locale di Bassavilla abbiano scritto che la tipa è esaurita. Dalla psichiatria non si scappa.
Poi ci sono ancora: la Cà Dania a Mombercelli, l’albergo delle vedove a Strevi, le case del diavolo a Spinetta e a Lu Monferrato, i poltergeist della Val Cerrina, villa Destefanis a Vercelli, il fantasma di Mara Cagol a Cascina Spiotta nell’Acquese. Quelle di cui si può parlare.
Ma ho l’impressione che stia per vincere in me la tentazione di parlarvi di quelle altre.
Non ne sono certo, ma voi seguitemi.