shenzou.jpgdi Gabriele Garibaldi

La solerzia con la quale Donald Rumsfeld ha rilanciato i programmi spaziali statunitensi appena dopo la sua nomina a Segretario della Difesa – accogliendo le richieste dei militari e delle lobbies dell’industria militare di procedere in tempi rapidi allo sviluppo di armi spaziali – sta a significare la ufficiale dichiarazione di sfida ai potenziali “peer competitors” degli Stati Uniti. Questa decisione è del resto in linea con la volontà espressa dai neoconservatori dell’amministrazione Bush di riaffermare e consolidare definitivamente il ruolo di unica superpotenza degli Usa nel 21esimo secolo, così da iniziare il nuovo millennio con un “New American Century” —t anto per citare il “Project for the New American Century”, il think tank di cui è membro Rumsfeld. E’ nello spazio, infatti, che gli Usa potranno perfezionare la “Full Spectrum Dominance” (il “dominio militare a tutto campo”, base dell’ordine unipolarista) escludendone, se necessario, altri Paesi.

La UE e il Giappone hanno i mezzi economici e tecnologici per inviare armi nello spazio, però mancano della volontà politica di dividersi dagli Usa ed assumersi i costi di una autonoma politica di difesa: in tale quadro la PESD (Politica europea di sicurezza e difesa) e il progetto Galileo (localizzazione satellitare alternativa al Gps americano) hanno suscitato l’irritazione degli Usa, ma non li hanno impensierirti circa la reale volontà europea di emanciparsi dal tradizionale rapporto di alleanza-subordinazione ad essi.
La Russia ha il “know-how” per competere militarmente nello spazio, ma manca delle risorse finanziarie. Per il 2003 ha una previsione di spesa nei programmi spaziali che è 1/10 dei 3 miliardi$ stanziati dalla Cina, mentre gli Usa hanno un budget di 23 miliardi$ per solo due (NASA e Difesa Missilistica) della miriade dei loro programmi spaziali.

L’ascesa della Cina a potenza spaziale
Tra i potenziali “peer competitors”, dunque, resta la Cina ad insidiare concretamente il primato americano: grazie all’aiuto tecnologico russo e dei Paesi dell’ex Urss, sta compiendo progressi tali da essere al centro delle preoccupazioni statunitensi riguardo la competizione spaziale.
Infatti per gli analisti del Pentagono la Cina, se pubblicamente si oppone alla militarizzazione dello spazio e cerca per vie diplomatiche di prevenire o rallentare lo sviluppo da parte degli Usa di armi anti-satellite (ASAT) e della difesa missilistica spaziale, in privato, tuttavia, essa considera tali tipi di armi come una tendenza inevitabile del prossimo futuro (come gli strateghi del Pentagono, del resto) al quale si sta preparando ricorrendo anche a tecnologie di altri Paesi.
Inoltre, per quanto riguarda i vettori spaziali, Pechino sta sviluppando una nuova famiglia di razzi modulari per l’invio nello spazio di carichi pesanti. Il suo obiettivo è la capacità di lanciare 25 tonnellate nella bassa orbita terrestre e 14 tonnellate nella fascia geostazionaria entro il 2007. Pechino ha iniziato a sviluppare anche un vettore di piccole dimensioni e a propellente solido, il Kaituozhe (Pioneer, KT o KTZ)-1. The KT-1 è il primo passo verso lo sviluppo di una serie di vettori di piccole dimensioni che serviranno a lanciare una nuova generazione, attualmente allo studio, di piccoli satelliti. A quest’ultimo proposito, la Cina sta investendo massicciamente nello sviluppo di “nano-satelliti”, utilizzabili eventualmente in modo offensivo contro i satelliti estranei.
La Cina, poi, sta compiendo grandi progressi nelle missioni spaziali con uomini a bordo e, secondo le informazioni dei servizi segreti Usa, “…forse lancerà la sua prima missione con astronauti a bordo nel 2003. La Cina ha anche piani a lungo termine di lanciare la sua propria stazione spaziale, e probabilmente una navetta spaziale riutilizzabile. Se una delle più forti motivazioni del programma spaziale cinese è il prestigio politico, gli sforzi della Cina per mandare l’uomo nello spazio contribuiranno tuttavia a migliorare i sistemi spaziali militari nell’arco di tempo tra il 2010 e il 2020”. A quest’ultimo proposito, la Cina sta lavorando intensamente sull’uso bellico del laser e “…usando una combinazione di capacità indigene ed assistenza straniera, la Cina potrebbe diventare il leader nella tecnologia militare del laser entro il 2020”.

Lo Shenzhou 5 (“Vascello Divino”) e il primo “taikonauta” della storia cinese
Le previsioni circa le missioni con uomini a bordo sono state recentemente confermate. Mercoledì 15 ottobre 2003 la Cina ha lanciato a bordo dello Shenzhou 5 il primo astronauta della sua storia, raggiungendo gli Usa e la Russia nell’esclusivo club dei Paesi che hanno effettuato missioni spaziali con astronauti a bordo. Il prestigio e l’orgoglio nazionale sono le motivazioni principali di questo (costosissimo) progetto, del quale la Cina ha enfatizzato la natura indigena nonostante la realizzazione in tempi rapidi sia stata resa possibile dalla tecnologia in possesso delle ex-Repubbliche sovietiche. Il programma Shenzhou (“Vascello Divino”) è nato nel 1992 (quale parte di un programma in tre passi che, dopo il lancio del primo astronauta, prevede lo sviluppo di una stazione spaziale e il completamento di un moderno sistema di trasporto spazio-terra) ed è cresciuto rapidamente grazie all’assistenza tecnica russa. Nel 1995 Pechino ha stretto un accordo con la russa “RKK Energia” per addestrare gli astronauti cinesi ed acquisire informazioni tecniche sulla capsula spaziale Soyuz. In sostanza, l’odierno Shenzhou 5 è una copia della Soyuz seppur migliorata significativamente.

La percezione statunitense del programma spaziale cinese
Per alcuni analisti lo Shenzhou, insieme al resto del programma spaziale, è intrinsecamente legato agli sforzi cinesi di modernizzare le proprie forze militari e raggiungere un vantaggio rispetto agli “space assets” statunitensi. Secondo Michael Stokes dell’US Air Force -analista aerospaziale presso il Dipartimento della Difesa- “il programma cinese di voli spaziali con astronauti a bordo è parte delle più vaste ambizioni spaziali della Cina, che hanno chiare implicazioni per la sicurezza degli Usa per i prossimi 10-20 anni”. Stokes dichiara che la Cina ha prestato grande attenzione al ruolo strategico che gli “space assets” hanno giocato nelle imprese militari statunitensi del dopo-Guerra Fredda (dalla guerra del Golfo del 1991 all’ultima contro l’Iraq) e che personalmente è meno preoccupato del tentativo (la missione dello Shenzhou 5 non aveva ancora avuto luogo) della Cina di raggiungere lo “human space flight club” che dei suoi sforzi di “sviluppare un robusto network di propri satelliti militari, cercando allo stesso tempo i mezzi per far fuori i satelliti altrui nel caso di un conlitto” —evidentemente i militari statunitensi riflettono sul nemico la loro volontà di “negare lo spazio ad altri, se necessario”, più volte espressa nei documenti dell’US Space Command, nelle conclusioni della Commissione spaziale presieduta da Donald Rumsfeld ed infine suggellata dal “Mastering the Ultimate High Ground” della Rand Corporation (think tank partner dell’US Space Force e voce delle lobbies dell’industria militare).

Lo spazio, la chiave degli equilibri mondiali del 21°secolo
La Cina, quindi, ha l’obiettivo di dotarsi dei mezzi per portare avanti i propri intereressi ed essere in grado di sostenere un conflitto militare con gli Usa. Nonostante la (effimera) alleanza che la lega ad essi nella lotta al terrorismo islamico dopo l’11/9, la Cina considera gli Usa una potenza egemonica che limita il suo sviluppo nella sua area di influenza. L’ambizione della Cina, quindi, è quella di affermarsi come potenza alternativa a quella statunitense in Asia e di instaurare con gli Stati Uniti un rapporto paritario nell’ambito di un sistema internazionale multipolare.
Sul piano geostrategico la Cina ha motivi di contrasto con gli Stati Uniti a proposito -in ordine di importanza- della loro crescente influenza in Asia centrale, della questione coreana, delle isole Spratly e di Taiwan.
Le Spratly sono oggetto di un contenzioso con gli Stati Uniti in quanto sono di importanza strategica. Situate nel Mar Cinese meridionale, sono sulla rotta marittima commerciale più importante del mondo -dalla quale passa il 25% della produzione mondiale di petrolio, proveniente dal Medio Oriente e diretta verso il Giappone e gli Usa- ed hanno importanti giacimenti di petrolio nei loro dintorni.
Ma è a proposito di Taiwan che la tensione con gli Usa è più forte, vista anche l’arroganza della linea politica dell’attuale amministrazione: l’invito negli Stati Uniti del ministro della Difesa di Taiwan, Tang Yian-ming, e il suo incontro con il viceministro della Difesa americano, Paul Wolfowitz, ha fortemente irritato Pechino.
In quanto testa di ponte della strategia statunitense -la quale, secondo gli analisti cinesi, prevede anche la destabilizzazione di tutta l’area di influenza della Cina, pur di fermare la sua ascesa- è riguardo Taiwan che si giocherà il braccio di ferro del 21esimo secolo tra Cina e Usa, ed a questo la Cina si sta preparando seriamente. Per gli Usa la missione dello Shenzhou 5 fornirà informazioni alle Forze Armate cinesi —il People’s Liberation Army (PLA)- nella prospettiva di un conflitto con gli Stati Uniti circa Taiwan, e non sarà una missione di interesse puramente scientifico. Difficilmente potrebbe essere altrimenti, visto che la divisione tra programmi spaziali civili e militari cinesi è inesistente e lo stesso Shenzhou è sotto la supervisione del “PLA’s General Armament Department”: lo Shenzhou 5 -per ammissione degli stessi cinesi- “avrà una camera CCD con una risoluzione di 1,6 metri sul terreno, che potrà essere usata a fini militari”. Per il già citato colonnello Stokes, l’invio dell’uomo nello spazio da parte della Cina non è preoccupante in sé ma come segnale del livello tecnologico da essa raggiunto nel campo dei vettori spaziali, in quanto Pechino -nel timore di perdere definitivamente il controllo su Taiwan- “sta sviluppando capacità spaziali che potrebbero essere usate nell’eventualità di un conflitto nello stretto di Taiwan”, consapevole che “gli space assets giocheranno il ruolo da protagonista in un futuro uso della forza contro Taiwan e nella prevenzione di ogni intervento straniero nello scenario taiwanese”. I progressi tecnici derivanti dalla missione dello Shenzhou 5 e delle successive “manned missions” potranno essere reinvestiti militarmente nello sviluppo non solo di missili balistici ma anche di armi anti-satellite e nano-satelliti per lo spionaggio. Secondo gli esperti Usa, Pechino sarà capace di “lanciare rapidamente piccoli satelliti da ricognizione per monitorare la sua periferia e l’Oceano Pacifico orientale entro i prossimi 3-5 anni.
Visti i progressi del suo programma spaziale -sostenuto da una forte volontà politica in quanto presupposto basilare della propria visione geostrategica- la Cina, dunque, ha le carte in regola per insidiare il primato spaziale statunitense, tanto più se si considera che esso è sostenuto da finanziamenti in forte crescita. Nel marzo 2002 il Ministro per le Finanze cinese Xiang Huaicheng ha annunciato un aumento delle spese militari per il 2002 del 17,5%, portando il totale ufficiale a 20 miliardi$ (quelle statunitensi per la Nasa e la Difesa Missilistica ammontano a 23 miliardi$). Ciò fa della Cina il secondo maggior investitore militare del mondo dopo gli Usa, e il secondo in Asia. Inoltre l’alto tasso di crescita economica cinese lascia prevede agli analisti americani che “la spesa annuale per la difesa potrebbe aumentare di 3-4 volte da ora al 2020”.

I piani lunari cinesi e le ansie americane
Di fronte a questi dati, gli Usa stanno prendendo molto sul serio la sfida spaziale e, seppur in vantaggio, già si preoccupano dell’ulteriore traguardo in programma nell’agenda cinese: la Luna.
Secondo Robert Walker, ex presidente della Commissione sul futuro dell’industria aerospaziale statunitense, i cinesi sono definitivamente intenzionati a divenire una potenza spaziale: i loro progetti non si limitano semplicemente alla “navigazione” nella bassa orbita terrestre, ma puntano alla Luna e poi a Marte. Se gli europei sono determinati a sfidare la preminenza statunitense nella aviazione civile, la sfida alla leadership nello spazio viene dalla Cina.
Walker è convinto che la Cina sia impegnata in un aggressivo programma spaziale al fine di andare sulla Luna e di stabilirvisi permanentemente entro un decennio (secondo alcuni studiosi giapponesi la Cina sarà capace di raggiungere la Luna già tra 3-4 anni). Le basterà investire l’1% del proprio PIL nei prossimi anni per garantire le risorse per un programma spaziale molto robusto.
Gli Usa, invece, secondo Walker oggi non sono in grado di replicare l’impresa di 35 anni fa. L’incapacità di competere in una nuova “moon race” non ha solo un risvolto di orgoglio nazionale, ma pone anche seri interrogativi strategici derivanti dalla ascesa della Cina a potenza lunare.
In tale veste, la Cina acquisirebbe un grande prestigio internazionale, ma, soprattutto, dallo stabilirvi delle basi stabili ne ricaverebbe la capacità di sfruttarne le risorse ed acquisire un vantaggio in importanti settori tecnologici -tra cui quello della fusione nucleare- con concrete ricadute sulle attività terrestri.
La conclusione di Walker è che il programma spaziale cinese non è stato ancora affrontato seriamente dai circoli politici statunitensi, ma nondimeno esso rappresenta una grossa sfida alla leadership degli Usa nello spazio. A tale sfida essi devono rispondere con lo sviluppo di nuove tecnologie (come il sistema di propulsione al plasma nucleare) che consentano di raggiungere la Luna e Marte più velocemente di quanto finora possibile, e di spostarsi nella bassa orbita terrestre più frequentemente e con minori spese.

“Negare lo spazio ad altri”, l’ultima carta per arrestare la Cina
In questa logica, si capisce che l’espressione “assicurare il nostro continuato accesso allo spazio e negare lo spazio ad altri se necessario” -ricorrente, con poche varianti, nei piani militari statunitensi- è rivolta ad un preciso destinatario. Il Pentagono, d’altro canto, ritiene che la Cina abbia la medesima intenzione nei confronti degli Stati Uniti, e considera le sue dichiarazioni polemiche nei confronti dei ventilati progetti statunitensi di weaponization spaziale -espresse davanti alla Commissione ONU sull’Uso Pacifico dello Spazio- quale il mezzo per colpire diplomaticamente gli Usa e di rallentarne l’azione, mentre essa stessa in segreto lavora alacremente ai medesimi progetti. Anche secondo Larry Wortzel, direttore dell’“Asian Studies Center” presso il think tank conservatore “Heritage Foundation”, l’introduzione da parte cinese di un disegno di trattato contro la “weaponization of space” è “ingannevole” (perché “la Cina stessa sta indubitabilmente sviluppando armi spaziali”) e non ha altro scopo che colpire diplomaticamente gli Usa e ritardare il loro piano di difesa missilistica mentre la Cina avanza spedita con i suoi piani segreti. Secondo Richard Fisher (del think tank “The Jamestown Foundation”) il PLA ha ben chiaro il concetto che il control of space -quale teorizzato dagli americani- è un obiettivo che la Cina stessa deve raggiungere: “La Cina necessita della capacità di negare agli Usa l’accesso e l’uso dello spazio dal momento che essi stessi sfruttano lo spazio per supportare le loro forze”.
Vari elementi lasciano quindi prevedere che la sfida nello spazio tra Usa e Cina supererà quanto finora conosciuto circa l’utilizzo strategico-militare dello spazio (satelliti spia) per andare rapidamente verso la “weaponization” vera e propria dello stesso, a scopo sia difensivo che offensivo (due ambiti che si confondono e, visto l’obiettivo finale di “negare lo spazio agli altri”, vedono il secondo prevalere nettamente sul primo).
Lo spazio diverrà il terreno chiave dello scontro tra la visione unipolarista e quella multipolarista del sistema internazionale, la prima rappresentata dagli Usa e la seconda dalla Cina. Quest’ultima ha interesse ad espellere gli Stati Uniti dalla propria area di influenza e si oppone ad ogni progetto che possa estendere su di essa il loro potere: in questo senso si comprendono le critiche alla abrogazione del trattato ABM ed ai progetti del Theater Missile Defense e della “weaponization of space”. Questi sono espressione della volontà degli Usa di rafforzare la loro leadership spaziale, ritenuta la chiave di volta di quella “Full Spectrum Dominance” sulla quale basare la costruzione di un “New American Century” unipolar-“imperiale” (aggettivo, quest’ultimo, usato negli Usa -con opposte accezioni- sia dai critici che dai sostenitori della Grand Strategy unipolarista).
La relazione tra la dimensione spaziale e la dimensione imperiale (con accenti da “Manifest Destiny”) degli Usa, è suggellata dalle conclusioni di “The Future of War: Power, Technology & American World Dominance in the 2lst Century”, scritto nel 1996 dagli “arms experts” George and Meredith Friedman. Come l’Europa ha dominato e dato forma al mondo per circa 500 anni dominando gli oceani con le sue flotte, “così anche gli Stati Uniti daranno forma al mondo” -cioè imporranno il loro ordine- “per almeno la stessa lunghezza di tempo” dominando lo spazio.

[da Equilibri.net]