hackers.jpgdi Marco Gatti
[su segnalazione di Luca Masali]

Se ne potrebbe dire benissimo e malissimo, ma di certo Hackers – La storia, le storie, scritto da Maya ed edito da Malatempora è un libro che non annoia e riempie magnificamente una serata.
Tanto per cominciare l’autrice, lesbica dichiarata, è in Rete da almeno 20 anni ed è tenutaria (dovrei dire mistress, se fossi politically correct) di un paio di siti porno (cybercore, se volessi continuare sulla correctness…).
L’incipit è fulminante: «Venite subito qui o vi strappiamo le palle!». E via con il racconto in presa diretta dell’hackeraggio di McLink del 1989, quando il Web non esisteva, «i luoghi» degli utenti erano le Bbs e la reti degli hacker erano le x.25 (Itapac, per intenderci).

Insomma, si vede che Maya ha vissuto sulla sua pelle parte delle storie di hacking d’élite che racconta, mentre altre sono frutto di brutali copia-e-incolla tirati giù dalla rete e pure mal tradotti. Ma va bene così, perchè a Maya non importa di esibire quanto poco sa di Tcp/Ip e men che meno d’inglese, di grammatica italiana e di sintassi.
Il risultato è in ogni caso una gradevolissima insalata di vite vere – o presunte – e di filosofie di vita, con una serie di chicche che in pochi conoscono. Per esempio, lo sapevate che il termine debugging nasce da una farfallina, fisica e non virtuale, che era andata a morire nella pancia di un «cervellone» anni 40, impedendo a un relais di scattare?
E che la bestiola fu scoperta da Grace Murray Hopper, morta a 86 anni con il grado di ammiraglio della Marina americana dopo una vita passata tra i computer, contribuendo tra l’altro alla creazione del Pascal? O ancora, che Linux nacque col nome di Freak, in onore di uno stile di vita libertario e contestatore dell’apparato, «nato nel casino di una camera da letto e diventato in pochi anni il più grande progetto di collaborazione della storia del mondo»?
Avrete capito che nel libriccino di Maya c’è un po’ di tutto, senza confini netti tra realtà e leggenda: archeologia industriale, impeto infantile, reducismo, proclami di eticità e di rivolta, voglia di comprendere come funzionano le cose, psicologia, antagonismo sintattico, cronaca di reati perpetrati da singoli ma anche mezze truffe di grandi società come la Sip, che falsificava ad arte il numero degli utenti del Videotel per ottenere finanziamenti dalla Comunità europea.
Diciamolo, il libro è bello proprio perché Maya racconta entusiasta, scrivendo come parla, soprattutto dell’élite, oggi fatta da adulti in buona parte affermati security manager, se non di più. Élite, già: perché, a dispetto di ogni proclama di egualitarismo, l’intelligenza tipica dell’hacker non è roba di massa.
Si finisce e resta un fondo di tristezza, come leggendo l’intervista a Mitnick. D’altronde Talleyrand scriveva: chi non è rivoluzionario a 20 è senza cuore, chi lo è a 40 è senza cervello. Rassegniamoci.

Maya – Hackers. La storia, le storie – Malatempora – € 8,00