Dialogo dell’Orco e del Venditore di palloncini. Con perplessità e interiezioni di un Quacchero di passaggio

di Leporello (Editoriale di Hortus Musicus n. 19, luglio-settembre 2004)

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Bagdad. «Chez le Fataliste», un caffè della città vecchia. È sera. Luci soffuse, dolcemente ramate, atmosfera un po’ losca. A un tavolino l’Orco aspira oppio afgano dal narghilè, l’altro beve yoghurt. Si odono in lontananza deflagrazioni umanitarie.

Come s’erano incontrati? Per caso, come tutti. Come si chiamavano? Indovinatelo. Da dove venivano? Dal Lontano Ovest, di sicuro. Dove andavano? La gente sa forse dove va? Che cosa dicevano? Il Venditore di palloncini non diceva nulla, come al solito, e l’Orco diceva che il suo capitano diceva che tutto quanto ci succede di bene e di male quaggiù era scritto lassù.


Venditore — Gran verità quella.
Orco — (Perdio, è peggio di come lo ricordavo! Il capitano avrebbe fatto un sol boccone di lui e dei suoi palloncini). Sì, certo, ma non è di argomenti così rilevanti che abbiamo deciso di discutere stasera. Il tema, come Lei sa, è la tortura. Ora che è passata l’orgia mediatica e la questione non è più all’ordine del giorno, noi filosofi possiamo riprendere i consueti costumi e dedicarci con bell’agio alle dispute ponderate.
Venditore — Va bene, ma sulla Sua parola d’onore niente trucchi maieutici.
Orco — Parola d’onore. Ma almeno si stabilisca che qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di Lei.
Venditore — No. Questo no. Non è mai successo. Le regole non si sovvertono, dovrebbe saperlo. Cominciassimo così, chissà dove finiremmo. Magari con la scusa della responsabilità mi toglierebbero l’appalto dei palloncini e lo darebbero al Filosofo Veneziano. Vede bene che non è cosa proponibile. Prudenza occorre, caro amico. Limitiamoci a dire ciascuno la sua, poi chi di dovere sceglierà, a noi in fondo che ce ne cale?
Orco — (Potrebbe aver ragione. Del resto, il mestiere lo conosce. Meglio fare come dice). Giusto, cominci Lei.
Venditore — Io ritengo essenziale per la salvaguardia della democrazia non offrire neppure un briciolo di giustificazione a qualsiasi forma di tortura.
Orco — Ammetterà la natura apodittica dell’affermazione.
Venditore — Certo, ma le radici della democrazia sono in valori irrinunciabili, in fini non negoziabili.
Orco — Deve riconoscere però che dopo l’11 settembre è cambiato tutto! Occorre riconsiderare le nostre strategie, se non vogliamo che il terrorismo ci sconfigga. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte a un nemico senza morale, pronto a qualsiasi mostruosità.
Venditore — La democrazia ripudia la legge del taglione, non può spiegare o giustificare la propria inciviltà con la barbarie degli altri. Per sua natura non può ammettere lo scempio dei corpi, la violazione delle identità culturali e religiose.
Orco — Ma è proprio ciò che è accaduto nelle prigioni irachene e in quelle afgane. È un dato di fatto: noi torturiamo!
Venditore — Appunto per questo, oggi che la tortura è di nuovo tra noi non possiamo limitarci all’indignazione: dobbiamo di nuovo interrogarci sulla natura delle nostre democrazie e fronteggiare il timore che si abbia a che fare con una istituzione clandestina sempre pronta a riaffiorare. Riusciremo mai ad estirparla?
Orco — C’è un solo modo: renderla legale.
Venditore — Questo mai!
Orco — Un momento, mi lasci dire…
Venditore — Prego.
Orco — Intanto sarà d’accordo sul fatto che spesso la tortura funziona.
Venditore — Certo, sarebbe stupido negarlo. Ma la democrazia riconosce all’inquisito il diritto di non rispondere e rinunzia alla tortura pur sapendo che è un efficiente strumento per raccogliere informazioni.
Orco — Non faccia l’ingenuo, non stiamo mica parlando della luna. Se continua così crederà allo spirito di servizio dei politici. È vero però che in democrazia se ne può discutere. Da noi negli U.S.A., per esempio, è materia di ampio dibattito se la tortura vada sempre esercitata in proprio o se in qualche caso sia preferibile delegarla ai servizi segreti dei nostri alleati più servizievoli. Così la vede un ex agente della CIA dall’alto dei suoi trent’anni di esperienza: «Un sacco di gente dice che all’Agenzia abbiamo bisogno di qualcuno capace di strappare le unghie. Alcuni invece dicono: “Lasciate che siano altri ad usare i metodi d’interrogatorio che noi non usiamo”». Secondo questa tesi, l’unica domanda che resta è: «Volete che nella stanza ci sia qualcuno della CIA oppure no?» Il vero problema, insomma, non è se una qualche tortura venga usata: usata lo è comunque. La questione è se dobbiamo servircene apertamente, in conformità ad una procedura legale stabilita in precedenza, oppure in segreto, violando la legislazione esistente.
Venditore — Ma donde Le deriva l’idea che la tortura sia prassi diffusa? Quali sono le Sue fonti?
Orco — Per esempio la mattina leggo il giornale. Potrei citare numerosi casi in cui la tortura ha ottenuto confessioni necessarie ad impedire che fosse fatto del male a civili. Nel 1995, testimonia il Washington Post, le autorità filippine torturarono un terrorista fino a estorcergli rivelazioni in grado di sventare un complotto per assassinare il papa, far schiantare nell’Oceano Pacifico undici aerei di linea per un totale di circa quattromila passeggeri e dirigere un Cessna privato imbottito di esplosivo contro i quartieri generali della CIA. Passi il papa, pazienza per i passeggeri, ma le minacce alla CIA…! Il prigioniero rimase 47 giorni nelle mani degli agenti segreti filippini, che lo picchiarono «servendosi di una sedia e di un lungo pezzo di legno», rompendogli così gran parte delle costole, «gli infilarono a forza acqua nella bocca fino a soffocarlo e spensero sigarette accese sulle sue parti intime», poi lo consegnarono alle autorità americane, insieme alle preziose informazioni.
Venditore — Ma queste sono degenerazioni! Nei regimi democratici vi è un grande obbligo di coerenza con gli intangibili principi che tutelano la dignità della persona.
Orco — I principi saranno pure intangibili, ma le persone no di sicuro. La Convenzione di Ginevra contro la tortura, Lei m’insegna, proibisce qualsiasi forma di tortura e non prevede alcuna eccezione a riguardo, però definisce la tortura in modo talmente esteso da includere molte delle tecniche che vengono abitualmente usate in tutto il mondo, comprese le democrazie occidentali.
Venditore — Ah sì? Strano assai!
Orco — Si informi, stimato collega, si informi: mi pare che Lei sappia tutto sui principi e ben poco della loro applicazione. Molte nazioni che praticano comunemente le forme più brutali di tortura sono comprese nella lista dei firmatari della Convenzione, firmare non costa nulla. Tuttavia, con la consueta attenzione per la propria libertà, gli Stati Uniti hanno aderito «solo nella misura in cui la Carta sia coerente con l’ottavo emendamento», e secondo corti statunitensi l’ottavo emendamento non proibisce l’uso della forza fisica per ottenere informazioni necessarie a salvare vite umane. Sicché, quando gli Stati Uniti scelgono di impiegare la tortura non letale, la loro posizione rimane tecnicamente conforme agli obblighi previsti dalla firma del trattato.
Venditore — La Convenzione comunque proibisce esplicitamente la vostra tortura per delega, non soltanto cioè che la tortura venga impiegata dalle nazioni firmatarie, ma anche «sotto istigazione, oppure con il consenso espresso o tacito» di chiunque «agisca a titolo ufficiale».
Orco — Perciò alla causa democratica sono indispensabili persone come Lei, garanti che in aggiunta al consenso tacito garantiscono il dissenso eloquente, così la forma è sempre salva. Tuttavia è innegabile che il governo statunitense segua la politica del ‘non vedo e non sento’ quando si tratta di ottenere informazioni da altri governi che praticano l’«interrogatorio tattico». Oltre tutto, come ha affermato un diplomatico statunitense, «dopo l’11 settembre, tali commerci si verificano continuamente». Oggi come oggi, per curioso che possa apparire, se si è catturati dalle forze armate U.S.A., è una gran fortuna finire subito a Guantanamo senza il beneficio di esotici giri turistici. Stando così le cose, io credo che non possiamo sottrarci alla nostra responsabilità facendo finta che la tortura non venga impiegata oppure lasciando che altri la impieghino a nostro vantaggio: dobbiamo istituire il «mandato di tortura».
Venditore — Gliel’ho già detto, sarebbe la fine della civiltà giuridica!
Orco — Non saltiamo a conclusioni affrettate. Il problema sul tavolo è come mantenere l’equilibrio tra sicurezza e libertà.
Venditore — Naturale, questo è il problema.
Orco — Converrà anche che se i funzionari del governo evitano cortesemente di discutere in proposito, gli studiosi hanno il dovere di sollevare tali questioni e sottometterle al vaglio del mercato delle idee.
Venditore — Certo, ne convengo.
Orco — E sarà d’accordo che nella discussione aperta possono nascondersi pericoli, ma esistono pericoli di gran lunga più gravi nelle azioni basate su discussioni segrete o che nascono da una completa assenza di discussione.
Venditore — D’accordo.
Orco — Vi è dunque un aspetto della questione che non va taciuto. Ammessa la necessità della tortura, occorre realisticamente chiedersi se integrandola al sistema legale non se ne limiterebbe l’uso.
Venditore — Però se un agente tortura un detenuto si tratta di un ‘incidente’, ma se una corte lo autorizza diventa un precedente.
Orco — Anche tollerare un sistema occulto di tortura può stabilire un pericoloso precedente.
Venditore — In tal caso si può sempre confidare nel rigoroso corso della Giustizia.
Orco — Questo è assai dubbio. Va da sé che nessun agente dell’FBI sarebbe processato se sventasse un piano di terrorismo di massa rivelato sotto tortura; allo stesso modo la Corte d’appello degli Stati Uniti per l’Undicesima circoscrizione, nel caso «Leon contro Wainwright» (1984), ha riconosciuto «ragionevole» la tortura inflitta ad un sospetto per liberare un rapito e ha quindi assolto la polizia di Miami.
Venditore — Ma è come averla legalizzata, la tortura…
Orco — Purtroppo no, nonostante il precedente siamo ancora in alto mare. Ma è chiaro che dati i costumi sbrigativi delle forze dell’ordine (per non parlare dei militari), il cittadino sarebbe comunque più tutelato se il funzionario addetto agisse sotto un mandato di tortura emesso da un magistrato. Non bisogna mai dimenticare che agli occhi di un uomo che impugni un martello, ogni cosa sembra un chiodo: se prima di colpire deve passare da un giudice, magari si dà una regolata.
Venditore — Ma questa è una restaurazione bella e buona del tribunale della Santa Inquisizione! Pure lì il giudice limitava gli entusiasmi del boia stabilendo i tratti di corda.
Orco — E che male ci sarebbe? Non le piacciono le tradizioni? Occorre anche considerare che dopo l’11 settembre la minaccia globale ci impone di far presto con l’introduzione di una normativa che regoli il fenomeno. Li conosciamo, i nostri governanti: a meno che non siamo pronti ad imporre alcuni limiti all’uso della tortura o di altre tecniche barbariche che potrebbero essere utili nella prevenzione del terrorismo, se li lasciamo fare dico, rischiamo davvero di precipitare nell’abisso dell’amoralità e infine della tirannia. Si sa che non esiste una linea unica e chiara che separi la democrazia dalla dittatura.
Venditore — Al di là di ogni altra considerazione, Lei non fa i conti con l’opinione pubblica.
Orco — Conosco bene il problema. Non dimentichi la mia quarantennale docenza alla Harvard Law School. Per ragioni ben comprensibili, la tortura è diventata un vero e proprio simbolo del dispotismo. La maggioranza delle persone civilizzate si rifiuta anche solo di pensare alla tortura come ad una questione di grado nella pressione esercitata su un individuo: la tortura è tortura — si dice —, indipendentemente dalle sue modalità o da quanta se ne usi. Per molti è arduo considerare la tortura non letale come una tecnica rivolta a salvare vite umane. Nelle mie conferenze mi viene sempre chiesto che tipo di tortura mi piacerebbe fosse impiegata e quando suggerisco quella odontoiatrica del film Il maratoneta, la reazione del pubblico si fa viscerale e spesso si manifesta in un fremito accompagnato da una smorfia di disgusto.
Venditore — Lo credo bene. È orribile.
Orco — Non tanto, si tollera ben altro. Ed è proprio da questa constatazione che mi è venuta un’idea per indurre l’opinione pubblica a superare il suo sciocco tabù.
Venditore — Cioè?
Orco — Credo che personaggi della Sua qualità sarebbero di grande aiuto.
Venditore — Si spieghi.
Orco — È presto detto. Dobbiamo studiare i meccanismi grazie ai quali i medesimi individui che respingono ogni minimo accenno alla tortura possano vivere serenamente nella nostra società. Credo appunto che senza il prezioso contributo di esperti come Lei ciò non sarebbe possibile.
Venditore — La ringrazio, ma non comprendo.
Orco — Ma è semplice! Occorre capire perché gli americani giudichino repugnante la tortura legale e non letale sebbene nessuno muoia per un paio di lividi e per qualche istante di dolore, mentre non li preoccupa che molti detenuti vengano in continuazione violentati, picchiati, accoltellati, mutilati e torturati in vario modo nelle nostre prigioni.
Venditore — Si vede anche al cinema, come ha scoperto l’onorevole Violante.
Orco — E non dimentichiamo che il contractor appaltatore delle galere in Iraq per conto del Pentagono era un cultore della disciplina, Lane McCotter, ex direttore di un penitenziario nello Utah, licenziato a suo tempo per sevizie sui detenuti e morti sospette. La differenza, ne sono certo, è che i cittadini statunitensi non vedono — e non vogliono vedere — che cosa accade dietro le sbarre, all’interno delle carceri. Né vogliono pensarci, almeno finché non vi finiscono, probabilità niente affatto trascurabile. Nessuno si scandalizza per l’esistenza delle prigioni. Al contrario, il sistema gode di ampio consenso. Eppure come funziona è noto a tutti, così com’è noto che polizia e pubblici ministeri minacciano usualmente i sospetti più recalcitranti ricordando loro le violenze e gli stupri che subiranno in galera: «Stai per diventare l’amichetto di un uomo molto cattivo», ha sentenziato un magistrato inquirente rivolgendosi a un imputato. Anche le discussioni sulla pena di morte normalmente si svolgono senza dar luogo ad isterie, specialmente ora che il condannato viene amabilmente ‘addormentato’ facendolo sdraiare su un lettino e iniettandogli nel corpo una sostanza letale. Non ci sono più rotture del collo, ustioni al cervello, scoppio degli organi interni e respiri affannosi alla disperata ricerca di ossigeno. Oggi che il boia è stato sostituito da un tecnico paramedico, l’estetica della morte è diventata più accettabile, con gran rimpianto di molti, va detto. In ogni caso, resta il fatto che la morte è definitiva, mentre il dolore non letale è solo temporaneo, ed è sorprendente che quella si approvi e questo si respinga.
Venditore — Le ricordo che in Europa la pena di morte non è affatto considerata accettabile.
Orco — Ed è il motivo per cui occorrono demospecialisti come Lei, capaci, verbigrazia, di educare la popolazione al rifiuto della pena capitale e ad accettare nel contempo come male inevitabile gli intelligenti effetti collaterali di un bombardamento chirurgico. Se ci riflette, troverà paradossale che una pena tanto esecrata quando colpisce un solo colpevole possa essere serenamente comminata a migliaia di innocenti, senza significativi sussulti delle coscienze e ribellioni di popolo. Non credo sarebbe possibile se mancassero figure austere come la Sua, che rassicurano gli altri sull’umanità dell’esecuzione. Le stesse persone potrebbero, con il medesimo grado di probabilità, indurre la pubblica opinione a convenire sulla bontà e l’utilità della tortura. Insomma, ci vorrebbe un Garante della Tortura.
Venditore — Lei mi lusinga, però l’avevamo pattuito: nientre trucchi. Il suo discorso sembra logico e molto democratico, ma non sono sicuro che non sia un sofisma. Ad ogni buon conto ribadisco che la tortura è sempre stata e sempre sarà una violazione intollerabile della dignità umana: le ragioni della libertà devono prevalere ad ogni costo sulla lotta al crimine, all’eresia, al dissenso. Su questo assunto è nata la civiltà giuridica moderna, quando il 30 novembre del 1786 il Granducato di Toscana aboliva, primo Stato al mondo, pena di morte e tortura.
Orco — Ma andiamo, i record patriottici lasciamoli a Ciampi! La Sua ostinazione è nient’altro che ipocrisia fuor di misura, non mi faccia il cattolico! Sia onesto e ammetta, come hanno fatto due illustri fautori delle libertà civili, Floyd Abrams e Harvey Silvergate, in una recente discussione con il sottoscritto, che «in una democrazia, talvolta è necessario fare alcune cose di nascosto e sottratte ai controlli». Entrambi infatti consentono all’uso della tortura non letale quando serva ad impedire migliaia di morti, ma non vogliono che venga ufficialmente riconosciuta dal sistema giuridico americano. Insomma, la Giustizia come è sempre stata: cieca e con la spada. Gli argomenti contro la tortura sarebbero comprensibili solo se sollevati da un quacchero che si oppone alla pena di morte, alla guerra, all’autodifesa e all’uso di misure estreme contro i criminali in fuga, ma suonano assurdi se si giustifica l’uccisione di una persona o di mille sulla base del calcolo dei costi e dei benefici…

Da un tavolo vicino si alza un quacchero e si rivolge ai due con tono garbato.

Quacchero — Gentili filosofi, scusate l’intrusione, ma sono stato chiamato in causa e mi piacerebbe partecipare alla discussione.
Orco — Ohibò! Questa poi! Io dicevo ‘quacchero’ in senso lato. Lei non esiste, se ne convinca e torni al suo posto.
Venditore — (Sono in difficoltà, costui potrebbe farmi comodo…) Ma no, sieda con noi: tutti qui hanno diritto di parola, dica la sua e non abbia tema dell’Orco, in fondo non è più malvagio di me.
Quacchero — Grazie.
Venditore — Vuole un palloncino?
Quacchero — Avrei preferenza di no.
Venditore — (L’inizio non mi piace!)
Quacchero — Signor Orco, da quanto ci racconta è manifesto che se ci recassimo negli U.S.A. dovremmo accuratamente evitare di rimanere in una stanza con un agente della CIA o dell’FBI, soprattutto quando è presente un difensore dei diritti civili.
Orco — Spropositi da quacchero!
Venditore — Eppure secondo Thomas Friedman in seguito allo scandalo delle torture gli Stati Uniti correrebbero «il rischio di perdere qualcosa di molto più importante della sola guerra in Iraq», correrebbero «il rischio di perdere il ruolo dell’America quale autorità morale e ispirazione per il mondo».
Quacchero — Ma chi mai glielo riconosce questo ruolo?
Orco — Se è per questo cani e porci, mi creda, e anche esplicitamente qualche ministro degli esteri europeo, per esempio Joschka Fischer, per il quale «dopo lo scandalo delle torture, l’America deve riconquistare la leadership morale dell’Occidente». Segno che fino a quel momento l’America ce l’aveva e che l’ex ribelle tedesco tornerà sereno solo dopo che se la sarà ripresa.
Venditore — E le altre democrazie, forse che contano meno?
Orco — Non è solo che le altre democrazie contino meno, come sostiene Clinton. Questo lo si dà per scontato. Il problema è più generale. Lo illustrerò con la parabola del sergente Hartman di Full Metall Jacket: «Io sono un duro, però sono giusto. Qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani o messicani. Qui vige l’uguaglianza: non conta un cazzo nessuno!»
Quacchero — God bless America!
Venditore — Com’è possibile riconoscere primato morale a un paese come gli Stati Uniti che si è macchiato di crimini orrendi per tutta la sua storia, senza soluzione di continuità? Inoltre, caro Orco, è stato proprio Lei a ricordare quanto poco valgano i diritti umani dalla vostra parte dell’Atlantico. E come dimenticare che un ordinamento giuridico che ancora prevede la pena di morte è indice sicuro di radicata barbarie? Al massimo sarete come la Cina e la Russia.
Quacchero — Bella gara!
Venditore — Quindi converrà, caro Orco, che il primato morale nel mondo spetta certamente alle democrazie, ma tra queste a quelle europee.
Orco — Ma per carità! Che esagerazioni! Russia e Cina sterminano minoranze e dissidenze per statuto. Almeno quando erano comunisti qualcosa si poteva dire, ora che sono dei nostri più che bofonchiare non si può: ci rimangono solo Corea del Nord e Cuba a regalarci qualche soddisfazione. Riguardo all’Europa, per tacere del prima, basti ricordare che sono stati i militari francesi ad insegnare negli anni ’60 e ’70 a quelli statunitensi e sudamericani le tecniche di tortura. Il Pentagono ammirò sempre la loro «Scuola di guerra antisovversiva» e il lavoro che svolse in Indocina e Algeria.
Venditore — Si tratta però di episodi lontani. Ora abbiamo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Carta canta villan dorme, si sa. Qui il metro di giudizio non è solo quello della democrazia, ma quello della dignità umana e la tortura è considerata un limite invalicabile: tutte cose molte belle che voi non avete.
Orco — La Carta, la Carta… Si fa presto a dire la Carta! Le torture degli inglesi, per esempio, non sono più morbide di quelle americane, e inoltre quando possono anche loro fanno a pezzi la popolazione civile che è una bellezza. Si rilegga il dossier di Amnesty International sull’Iraq meridionale, in particolare sulla zona di Bassora e al-Amara. E sono torture laburiste, mica tory, sevizie e omicidi di Sinistra, caro mio, roba che le compete direttamente.
Quacchero — Non si potrebbe dir meglio!
Venditore — Sì, ma converrà che la superiorità della democrazia su tutti gli altri sistemi di governo sta nel fatto che «in democrazia chi è responsabile politicamente di queste ignominie si dimette e chi le compie materialmente va in galera. I generali responsabili delle torture sui prigionieri iracheni devono finire in galera». Lo ha detto il professor Buttiglione!
Orco — Questo è vero, verissimo.
Quacchero — Ma i generali li avete avvertiti?
Orco — Sono democratici, sono d’accordo.
Quacchero — Sicuro? Non sarà perché finora in galera non c’è andato nessuno?
Orco — Se è per questo neanche i politici si sono dimessi, solo i vertici della CIA. Perché dunque si dovrebbe cominciare dai generali?
Venditore — Signori, Signori! Non facciamo accademia: è il principio che conta, mica la sua maniacale applicazione, de hoc non disputandum: in democrazia si ha il dovere di fare ciò che si può e il diritto di pretendere ciò che si ha il dovere di fare quando non si può.
Quacchero — Ma che va blaterando?
Orco — Lasci che si spieghi…
Venditore — Ed è propriamente in ciò che consiste la nostra preminenza.
Orco — Tutto chiaro.
Quacchero — Cristallino! Come dice Molière, è per questo motivo che vostra figlia è muta.
Venditore — Occorre quindi riconoscere, caro Orco, che tra le democrazie la palma di fabbricatori di principi va a quelle europee. Ma torniamo alla pena di morte: un oceano ci divide dall’America, questo è innegabile.
Orco — Che vuole che le dica, avevamo provato ad abolirla dopo tutti quei disordini negli anni ’70, ma è come il baseball, sembra che il popolo e i governatori non possano farne a meno. L’abbiamo dovuta reinserire.
Venditore — Si deve arrendere, esimio collega, è di tutta evidenza: finché le cose staranno così i più democratici saremo noi. Oltre a scarpe italiane e vini francesi, meglio fareste a importare qualcuno dei nostri modelli per la tutela dei diritti.
Orco — Be’, in questo c’è del vero. Pensi che dopo l’11 settembre, negli U.S.A. si è arrivati al punto che qualcuno ha suggerito di istituire documenti di identità per ogni cittadino, da portare obbligatoriamente. Certo, combinando brutalità e macropolitiche di enorme portata con misure micropolitiche preventive senza alcuna considerazione per le libertà civili e senza scrupoli morali, una nazione molto potente otterrebbe il massimo vantaggio nella lotta al terrorismo. Prenderebbe di mira i suoi avversari, tanto all’interno come all’estero, per eliminarli dalla circolazione. Chiuderebbe le frontiere del paese e adotterebbe rigide restrizioni alla libertà di movimento, esigendo che ogni persona presenti un documento d’identità ogni volta che le fosse richiesto. Tuttavia è una brutta china, impensabile per una democrazia.
Quacchero — Ma se in Italia anche i controllori dell’autobus possono chiedere i documenti!
Orco — Come, come?
Quacchero — Altroché, si figuri che negli alberghi è obbligatorio comunicare i nomi dei clienti ai carabinieri!
Orco — Alla faccia della privacy!
Venditore — Si taccia Quacchero, non faccia la spia! E Lei, caro Orco, non meni il can per l’aia ora che è alle corde ed è quasi arrivato a confessare che un modello come gli Stati Uniti è meglio perderlo che trovarlo. Altro che autorità morale! Se lo ricordi: l’Europa è la regione dei diritti.
Orco — Suvvia, non trascenda!
Venditore — Mi scusi… a volte la vis polemica… mi faccio trascinare con il rischio che mi scappi qualche palloncino. Volevo solo dire che la culla della civiltà è ormai la vecchia Europa.
Quacchero — Ormai? Ma non era l’Iraq?
Orco — Non più, abbiamo fatto un buon lavoro con i siti archeologici.
Quacchero — Lei è un filosofo molto crudele.
Orco — Né più né meno dei miei colleghi.
Quacchero — Questo sì.
Venditore — Comunque nemmeno di noi si può dire che siamo tutti civilizzati alla stessa maniera. Al contrario, prosperano i tartufi. Si è visto ultimamente: da Destra si sono alzate voci inorridite per le torture di Abu Ghraib. Ma dov’erano costoro quando dopo l’11 settembre negli Stati Uniti si è riaperto il dibattito sull’opportunità del ritorno alla tortura, sulla sua legittimità come risposta alla guerra «asimmetrica» scatenata dal terrorismo? Dov’erano questi signori quando Alan Dershowitz — uno dei massimi giuristi americani, anch’egli storico campione dei diritti civili e professore a Harvard — proponeva in un libro di grande successo di infilare spilli sotto le unghie dei terroristi, adducendo la stessa Sua scusa, caro collega, che siccome lo si fa ugualmente, tanto vale prevederlo per legge? Tacevano, gli ipocriti! E sono gli stessi realisti che ci mettono in guardia contro una visione angelicata di qualsiasi conflitto, contro la pretesa d’una guerra senza i suoi orrori. E i principi allora, che li enunciamo a fare? Se si decide di dire che non si può, poi bisogna insistere a dirlo sempre, questa è la democrazia, non che ognuno fa come gli pare.
Quacchero — Insomma, Lei rivendica una sorta di diritto/dovere alla giaculatoria.
Venditore — Non sia insolente, il peccato d’omissione è cosa grave. Nulla può passare sotto silenzio. Quando si parla di tortura si va alle radici stesse della nostra civiltà, si toccano principi incomprimibili che non tollerano né distinzioni, né condiscendenze. Vi sono fenomeni che non possono nascere senza un clima culturale che li prepari e li accompagni, ed è di questo che si deve parlare se si vuole davvero estirparli. Dalla Magna Charta in poi…
Quacchero — Eh no, adesso non introdurrà mica l’habeas corpus?
Venditore — Perché no? C’entra piuttosto bene.
Quacchero — Perché — diciamo la verità — à propos de truffes, anche Lei, egregio Venditore di palloncini, emana un intenso odore di fungo ipogeo e prospera grazie alla pervasiva diffusione della quarta scimmietta, quella che si tura il naso (ci sarebbe anche la quinta, ma lasciamo perdere…). Lei sproloquia di clima culturale, ma perdoni la curiosità, Lei dov’era negli anni Settanta e Ottanta quando in Italia la legislazione d’emergenza comminava secoli di carcerazione preventiva a imputati che in molti casi risulteranno prosciolti da ogni accusa (spesso dopo aver subito la tortura di lunghi anni di custodia cautelare, come i cinque e mezzo inflitti a Emilio Vesce)? Dov’era quando a quei tempi polizia e carabinieri praticavano abitualmente trattamenti inumani e degradanti — a volte vere e proprie torture — sui fermati e magari sui loro parenti e amici e la «legge Reale» assicurava l’impunità per centinaia di omicidi di Stato? E quando i secondini seviziavano i detenuti nelle carceri speciali? E più di recente, dove si nascondeva quando illustri giuristi e politici di Sinistra hanno giurato sulla limpidità di quei processi per richiedere con la bava alla bocca estradizioni dalla Francia? Perché non ha creduto necessario intervenire per ripristinare un po’ di decente verità? E — a proposito di intangibili diritti umani — dov’era quando la Marina militare, comandata dal Suo governo, colava a picco una nave di profughi albanesi causando più di cento morti? Perché invece di trastullarsi con dotte disquisizioni giuridiche sulla Bicamerale non dedicò una riga all’accaduto su quel bel quotidiano reazionario dove ogni tanto scrive? E sui mutamenti di clima culturale, se lo ricorda il ghigno realpolitiko dell’amico Suo mentre faceva a pezzi il tabù della guerra? Perché non si udì la Sua stentorea protesta? E come spiega il Suo silenzio mentre l’embargo filantropico dell’ONU provocava la scomparsa per fame e malattia di mezzo milione di bambini iracheni? Non fu orrenda tortura a morte? E perché tacque quando la clintoniana Madeleine Albright rivendicò paternità e ragionevolezza di quella strage e tace ora quando dalle Sue parti si invoca la bontà dell’asinello e si condanna la ferocia dell’elefante, come non fossero entrambi le bestie che sono? E quando il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura raccontò del «collasso delle carceri italiane» in seguito a un’ispezione nel febbraio 2000, perché non si udì la Sua voce indignata? E non si vergogna neanche un po’ dei Centri di Permanenza Temporanea? Non poteva autorevolmente farsi avanti per impedire tanto scempio giuridico e umanitario? E in quali faccende era affaccendato, palloncini a parte, quando il 17 marzo 2001 a Napoli le forze dell’ordine del ministro Bianco hanno collaudato con successo le future modalità della mattanza genovese? E perché non proferì parola quando il Suo partito, all’opposizione per la katastrophé, votò con la Destra i bombardamenti umanitari in Afghanistan? E il quasi unanime entusiasmo parlamentare per il 41 bis? Come lo giudica? Non è tortura il 41 bis? Oppure per i mafiosi e i terroristi si può? È troppo facile, dopo, lamentare, come fa Lei, che l’ansia di sicurezza cancelli i diritti! E ora, ora che delle torture in Iraq non parla più nessuno, che su quelle in Afghanistan si continua a tacere, che il ministro della Giustizia iracheno pretende l’immediato ripristino della pena di morte, che il campo di Guantanamo è ancora lì, che nelle carceri italiane tutto continua come prima, che dal Colle e dintorni si riafferma nel patrio tripudio mediatico la cultura dell’italico orgoglio e si celebra la Repubblica democratica col grottesco, inquietante ripristino di parate, tribune e medaglie e rievocazioni nefaste di guerre gloriose e morti eroiche, Lei dov’è? A chi vende palloncini?
Venditore — Moderi gli argomenti! Lei è un violento, caro il mio Quacchero, se lo lasci dire, e se continua così caldeggerò il Suo isolamento, a norma di 41 bis. Inoltre sta attentando alla mia privacy, cosa che non mancherò di segnalare al Garante.
Quacchero — Il Garante della Privacy? Ma lo sanno tutti che non serve a nulla, è anche meno utile di quello delle Comunicazioni. Come assicura un ex comandante del Sismi, che certo a riguardo non ha ragioni di mentire, «chi pensa di non essere spiato, oggi, o è ignorante o è stolto. Le leggi sulla privacy? È come aprire un ombrello durante un maremoto». O difendersi dagli orchi con gente come Lei, aggiungo. Ad esser giusti, però, un ombrello sarebbe molto meglio del Garante, per via del gran risparmio…
Venditore — Ora basta! Questo Quacchero è molto molesto.
Orco — Ma infine, chi è?
Venditore — E chi lo sa?
Orco — Di certo è antiamericano.
Venditore — Di più: è antidemocratico! Secondo me neanche vota.
Orco — Allora è un terrorista!
Venditore — È assai probabile. Forse è un quacchero musulmano.
Orco — Che si fa?
Venditore — Affidiamolo ai giannizzeri, a loro lo dirà chi è, questo è sicuro.
Orco — Giusto! Lo acchiappi.
Venditore — Fa resistenza…
Orco — Lo persuada…
Venditore — Democraticamente?
Orco — E come sennò?
Venditore — Fatto!
Orco — Bene. Guardie, a noi! C’è un facinoroso…
Venditore — Appena in tempo, l’ordine è salvo.
Orco — Dove eravamo rimasti?

Si odono in lontananza fuochi di mortaretti e fanfara di Bersaglieri.