di Giovanni Pacchiano
[da Il Sole 24ore, 28.12.03]

adocchichiusi2.jpgC’è qualcosa di bressoniano nel personaggio di suor Claudia, una specie di dolorosa Mouchette che campeggia nel nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio, Ad occhi chiusi. Lei da bambina, a nove anni, viene violentata dal padre, un mascalzone che passa le sue giornate in camera da letto, a far nulla. Violentata e picchiata: un’abitudine che si ripete nel tempo (la madre, fuori al lavoro, finge di non accorgersi di nulla, nonostante i lividi che segnano la figlia). Poi, un giorno, il galantuomo, si accorge che la bambina è troppo cresciuta: non fa più per lui. E mette gli occhi sulla figlia minore. Ma, quando la chiama col pretesto di doverle dire una cosa, e lei si muove “verso il piccolo corridoio, stretto e oscuro”, in fondo al quale c’è la stanza del padre, ecco Claudia precedere la sorellina, come per proteggerla, e, al padre che la minaccia: ”Adesso ti faccio vedere io, piccola troia”, oppone un coltello lungo e affilato…

Fine di una storia drammatica. Inizio di un’altra storia buia: gli anni del riformatorio, poi, per fortuna, la scuola, il recupero di un (apparente?) equilibrio, il lavoro come volontaria in una comunità che accoglie ex prostitute e ragazze abusate. Lei si fa chiamare suor Claudia, ma suora non è. Forse, è un modo per ripararsi dai rapporti con le persone. Ma i ricordi che tornano, e come se tornano, dal momento che ogni giorno, nella sua missione, suor Claudia è a contatto con vicende di sopraffazione e di violenza, fanno ancora molto male…
E’, appunto, suor Claudia, “una ragazza sulla trentina, o poco più”, una ragazza che si nota, alta com’è, “almeno un metro e settantacinque”, con i capelli legati a coda e i suoi jeans scoloriti e un giubbotto consunto di pelle nera, a presentarsi dall’avvocato Gudo Guerrieri, il protagonista del romanzo (un legal thriller che è molto più che un legal thriller: ottima qualità, scritto benissimo, con uno stile semplice sino alla naturalezza, senza vezzi o enfasi), per parlargli del caso di Martina Fumai. Luogo della vicenda: Bari. Guerrieri, quarant’anni, è simpatico, spiritoso e onesto. Uno che tira dritto per la sua strada senza darsi arie, e che, frequentando il Palazzo di giustizia, è vaccinato a ogni situazione e a ogni carattere. Ci piace: ama alla follia “La casa dei giochi” di David Mamet (anche noi) legge Kavafis, frequenta una minuscola sala cinematografica dove si proiettano vecchi film da mezzanotte all’alba. Quando non riesce ad addormentarsi, legge i Minima moralia di Adorno nella speranza (vana) che la noia gli porti il sonno. Ha una fidanzata, Margherita, che vuole prendere il brevetto di paracadutista. Lui, che ha paura del vuoto, la invidia. Si sente pavido, ma sul lavoro, è un avvocato con le palle. La bella Martina Fumai, trentacinque anni, un passato da anoressica, è perseguitata dal suo ex convivente, un bullo pervertito e ossessivo che lei ha mollato dopo anni di maltrattamenti e umiliazioni, e che ora, non sopportando l’affronto, non le dà tregua. Un caso facile? Purtroppo lui, il Gianluca Scianatico, “famoso balordo ed esponente della cosiddetta Bari bene”, medico in una clinica universitaria ma anche “ex picchiatore fascista, giocatore di poker” e — si dice — “cocainomane”, è figlio di Ernesto Scianatico, “uno degli uomini più potenti della città”, e “presidente di una delle sezioni penali nella Corte d’appello”… Abbiamo voluto dare al lettore solo un quadro generale. Le premesse della trama e i personaggi. Coinvolgente com’è, il libro va letto, non raccontato. Ma di una cosa siamo certi: al suo secondo romanzo, Carofiglio è un talento da cui ci aspettiamo molto.