di Daniela Bandini

Duri.jpgDuri a morire — In ordine alfabetico: ARONA, BARBARA, BERNARDI, CACCIATORE, CARABBA, FILASTO’, LOCATELLI, NEROZZI, PALAZZOLO, QUADRUPPANI, TINE’. A cura di Raffaella Catalano. Prefazione di Alda Teodorani, Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2003, € 13,00.

Il 21 gennaio in questo sito è apparso un commento di Danilo Arona, autore dello struggente racconto La culla di Giuda pubblicato in Duri a Morire. Si trattava dell’interessante punto di vista di chi, dall’interno del guazzabuglio editoriale, attua scelte particolari, “di genere”, incurante di chi spaccia il “noir” italiano come morto e sepolto, semmai un giorno abbia visto la luce. Questa raccolta è la dimostrazione che il noir è vivo e vegeto.


Il cammino intrapreso con Duri a morire è senz’altro una piccola rivoluzione nel campo letterario italiano. E lo è per due ragioni: la prima, la scelta dell’editore. Una casa editrice del sud, di Palermo, e poi gli autori, diversi nello stile, nell’area geografica, molti provenienti anch’essi dal sud, che si uniscono per dare un forte segnale di esistenza, e non di resistenza, e che comunque vada non potranno essere giudicati come “qualcuno che si è già sentito, o letto, o visto, mille volte…”
Colpisce l’originalità, colpisce la determinazione linguistica di chi ha veramente da dire tante cose, la straordinaria vitalità dei personaggi e la mancanza di rassegnazione di questi scrittori, quasi l’orgoglio di non essere rimasti sepolti dalla scontata e snobistica scelta editoriale delle “grosse” case editrici che non riescono davvero più, da sole, a interpretare il bisogno crescente di letteratura. Non dico noir, cannibali, genere, nicchia… Dico letteratura. Grazie a Raffaella Catalano, che è riuscita a coordinare il tutto. Sono scelte che fanno ben sperare. Perché leggendo Duri a morire si capisce che di cose da dire che ne sono davvero tante ancora, e qui da noi, in Italia. Chiedo sinceramente scusa agli autori per la sinteticità con la quale descrivo le loro opere, ma ritenevo giusto provare a tracciare una pennellata di colore per ciascun racconto.
Se io muoio vado all’inferno, di Luigi Bernardi. Un racconto gelido, sulla disperazione di un’eredità culturale e di ruolo, nonché sull’impossibilità di sfuggire a delle regole che per qualche tempo sembravano essere tutte dalla tua parte. Un boss e suo figlio, i destini separati che si uniscono nella drammatica realtà del quotidiano spezzato.
Il nemico, di Ugo Barbàra. Il linguaggio è di chi conosce il gergo di certi ambienti, e anche le emozioni sulla pelle sono di chi le conosce. Dalla tragica fatalità di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato scatta, involontaria, la rivalsa di tutta una vita. L’ultimo scatto di orgoglio, la chance da non sprecare.
Di che colore è uno sbirro, di Giacomo Cacciatore. La devastante presenza psicologica dell’ombra paterna, alla quale non puoi sfuggire, sulla tua vita. Il suo retaggio di banalità e di luoghi comuni, di sospetti e onnipotenze. Un’ombra che lo perseguiterà fino a fargli commettere quell’errore che sembra più una vendetta postuma di chi aveva sempre giudicato il proprio figlio un incapace. Geniale.
Nemmeno una fototessera, di Alessandro Locatelli. E’ la lunga lettera di un uomo che apparentemente sembra rievocare un vecchio amore, sembra riesumare antiche passioni per il gusto del ricordare certi momenti della vita, le speranze, i bei momenti…Comincia con “Amore mio”, ma non finisce… E’ un crescendo avvincente che non sai dove andrà a parare, e lo leggi tutto d’un fiato.
La culla di Giuda, di Danilo Arona. Un racconto che stilla, letteralmente, adrenalina. Paralizza i movimenti o li fa scattare al ritmo imposto da una regia stilistica che non lascia scampo. Affascinante la storia, insomma, “hasta siempre comandante”… Finchè c’è vita c’è speranza, ma davanti alla bara di una vecchia militante si deve arrivare a suonare, anche con le mani massacrate e con nuovi amici: i giganteschi ratti metropolitani…
Il canguro con la giacca, di Enzo Fileno Carabba. Forse il più surreale di tutti i racconti: quando un avvenimento involontario può scatenare una rivoluzione genetica… Da una opportunità la mutazione. D’altronde è così che accadono realmente le cose in natura, no? Angosciante. Il riscatto della specie.
Il sogno del cerchio, di Gianfranco Nerozzi. Breve racconto, ma talmente intenso che alla fine hai le lacrime agli occhi. La vita distrutta di una famiglia, e il pensiero che possa essere solamente un approfondimento giornalistico. Chissà quanti 31 dicembre simili hanno dovuto vivere coloro che si sentono nelle mani degli estorsori… E il sorriso idiota di un figlio che vuoi preservare da un male ancora peggiore di quello della morte per mano altrui.
Olivetti, di Salvo Palazzolo. Ci sono eventi che in Sicilia sono come l’11 settembre per gli Stati Uniti. Sono la strage di Capaci, l’uccisione di Borsellino e l’omicidio di padre Puglisi. Hanno creato un “prima di” e un “dopo il”. La ricostruzione assolata, gergale, spezzata… Deve essere così, come quella descritta, l’esperienza di trovarsi dietro le sbarre per avere compiuto un delitto diverso dagli altri, forse al di sopra delle tue possibilità.
L’uovo, di Antonio E. Tinè. Scrittura del territorio, anche per questo racconto. Come per i prodotti Dop, lasciamo il linguaggio a chi lo sa gestire. E’ un autentico dramma quello che ci apprestiamo a leggere, ma che lascia trapelare un sorriso, nel finale. Scritto egregiamente, parla di un sequestro per fini per così dire anomali, che però sequestro rimane.
La collezione, di Nino Filastò. Raffinatissimo, con un crescendo intuitivo ineccepibile, La collezione è un racconto da incorniciare e rileggere ogni tanto. Chissà perché, più che di averlo letto, mi sembra di averlo visto: ha tutte le caratteristiche di un corto, di un episodio noir in bianco e nero.
Spongiforme, di Serge Quadruppani. Il morbo della mucca pazza e la sorveglianza sui sintomi, verificabili o meno, dell’inizio della malattia. L’inseguimento dell’attimo in cui un uomo diventa un paziente, una molteplice quantità di emozioni, un caso clinico. Di chi sa la portata del disastro e attende, con perseveranza, che tutto si compia.