iraqusa2.jpgE dopo la guerra venne la guerriglia. Mentre pendola tra il ranch e lo studio ovale, George Bush Jr pensa a come premere sulla Siria, a come fomentare la rivolta in Iran, a come risollevare a colpi di decreti proinquinamento la sua economia, a come distruggere la classe media in tutto il mondo – ma pare essersi scordato dell’Iraq. Bisogna farsene una ragione: sono gli effetti delle atomiche tattiche che la fiction lancia un po’ ovunque in questi tempi. Il più inefficace dei suoi ordigni è stato sganciato dalla fiction su tutto il pianeta mentre i gloriosi mezzi americani compivano la loro cavalcata nel deserto disabitato. Il blitzkrieg neoconservatore lascia il tempo che trova: quello ricordato dalla memoria collettiva. Una guerra lampo? Tutt’altro. Loro sono ancora in guerra in Iraq. E stanno perdendo. E’ uno stillicidio tragico – ma sappiamo bene che Bush non si occupa del nucleo umano che la tragedia mette in discussione: lui è la tragedia, la tragedia dell’inumano che corrode vita, libertà e sogno. Stanotte è morto un marine a Baghdad, 21 sono rimasti feriti. Fanno 27 morti angloamericani dalla supposta fine della supposta guerra. Benvenuto nel tuo nuovo Vietnam, George Bush Jr.

Tutto ciò accade per un unico motivo: hanno troncato HUMINT. HUMINT è il protocollo Human Intelligence: servizi segreti con agenti informatori e operativi sul territorio. Da lunga pezza gli americani hanno puntato alla disgregazione della comunità di HUMINT: si sa, gli uomini costano, l’economicismo non ammette né repliche né mediazioni, e coordinare macchine è sempre più conveniente che stipendiare le persone, le quali ambiscono tra l’altro a contributi pensionistici. E poi, lo sanno tutti, l’America è una superpotenza tecnologica. Tutto vero, tutto ragionevole, tutto molto economico: e si è passati da HUMINT a SIGINT e DIGINT, sistema di controllo di cui Echelon è stato apicale ed emblematico progetto. Scelta che, sia sul piano strategico sia su quello tattico, è criminale, scellerata e assassina. Le intercettazioni non bastano. iraqusa1.jpgQuesta svolta nell’intelligence americana (che, sia chiaro, non è la più potente del mondo: i servizi vatricani e il Te Wu cinese la surclassano per estensione e intensità) è figlia di una visione del mondo che può così essere riassunta: il mondo è misurabile, a ogni punto di realtà può essere fatto corrispondere un pixel, tutto è intercettabile e interpretabile digitalmente, il reale può essere elevato a videogioco. Verità che ha ben rappresentato Fox News, con quella devastante diretta dagli autocarri muniti di telecamera, che procedono senza resistenza nel piatto deserto iracheno, con la Cavalcata delle Valchirie in sottofondo.
Poi arrivano quattro pastori e squarciano il velo di Maya tessuto dalla fiction.
Perché la resistenza umana, non virtuale, che l’Iraq sta schierando a difesa dei perduti interessi di un dittatore che, lui sì, è ormai soltanto virtuale – questa sorta di sfinimento guerrigliero che abbiamo visto impegnare giganti geopolitici per quanto dura la storia dell’uomo – ha in sé qualcosa di arcaico, irregolare, sbagliato, obliquo e, soprattutto, letale. E’ come se Eschilo si schierasse contro Euripide. Da dietro la storia, l’uomo appare più umano, persino nel momento antiumano per eccellenza, quando egli sottrae la vita a un proprio simile.
Il Pentagono si è messo in una palude deserta. Non ne uscirà facilmente. Non ha predisposto piani per conservare uno status quo accettabile in questa che, a differenza delle nazioni vicine, è l’entità geografica più facile da occupare e mantenere.
Il fallimento della politica militare di gestione del dopoconflitto da parte degli americani riapre la possibilità che l’ONU avanzi pretese di intervento a Baghdad. Non dico che una simile eventualità vada scongiurata (la tentazione è forte: le Nazioni Unite non hanno saputo controllare una zona che fosse una tra quelle in cui sono intervenute dopo gravi conflitti; e, in più, hanno lucrato sul commercio di armi, droga ed esseri umani). Spero soltanto che una voce autorevole si faccia sentire: quella dei movimenti e delle associazioni vicine ai movimenti. Spero che si costituisca un soggetto attivo, non composto da ONG a bella posta create dalle tecnocrazie occidentali, e che questo soggetto abbia una rappresentanza quasi monopolista nel limbo che si spalanca tra USA e ONU da una parte, e zone disastrate dall’altra. Il modello Emergency è, in questa prospettiva, soltanto l’incipit di un’opera colossale a cui lavorare senza risparmiarsi. Bisogna allargare i confini di una globalizzazione buona. C’è necessità di un interventismo della libertà.